Avere vent’anni: HAMMERFALL – Chapter V: Unbent, Unbowed, Unbroken

Non appena partono chitarre e batteria in Secrets ci si sente a casa. Il pezzo intero è una bomba, puro fomento ed esaltazione come gli Hammerfall ci avevano abituato fin dal 1997. Poi arriva Blood Bound, uno di quei classici singoli acchiapponi di pompa con videoclip meravigliosamente zarrissimo in stile Renegade ed Hearts on Fire che farebbero scapocciare pure chi Oskar Dronjak e compagnia li ha sempre schifati; quindi è la volta di Fury of the Wild, che chiude un trittico degnissimo di stare nella discografia precedente e che lascia far intendere che anche Chapter V sarà un altro discone da sentire a tutto volume in macchina fino alla fine.

Poi però succede qualcosa. Il meccanismo fino a quel momento rodatissimo si incrina, alcuni passaggi sono più forzati, l’epicità viene ricercata ma al massimo solo sfiorata, e soprattutto subentra la nemesi assoluta per un gruppo di questo genere: la mosceria. Certo, non in dosi massicce al punto da risultare prevalente, ma si sente che inizia a serpeggiare. Fatto un discorso a parte per le prime tre (e per Born to Rule, che spacca), i restanti pezzi di Chapter V sono comunque gradevoli, con alcuni momenti anche molto pregevoli, però insomma, ecco. Ci siamo capiti. E da lì in poi, purtroppo, le cose non sarebbero migliorate, ma in questo i cambi di formazione hanno avuto un grosso peso.

I testi sono sempre esaltanti, ma per i dischi degli Hammerfall varrebbe la pena fare una recensione parallela solo parlando dei testi. A tal proposito vale la pena citare i vari riferimenti ad A Song of Ice and Fire, pur se circoscritti solo ad alcuni titoli (tra cui lo stesso sottotitolo dell’album, Unbent Unbowed Unbroken, che riecheggia il motto di Casa Martell), mentre i pezzi in sé parlano di tutt’altro. In chiusura poi c’è una roba abbastanza incomprensibile, Knights of the 21st Century, dalla ingiustificabile durata di 12 minuti (anche se alla fine ci sono un paio di minuti di silenzio) e con un’ospitata di Cronos totalmente fuori contesto che ti verrebbe davvero di chiedergli ma perché? Il pezzo in sé non è definibile come brutto, ma è perfettamente inutile, e l’unica cosa che ti lascia in testa è il suddetto Cronos che raglia UAAAAHHHHHH UUHHHHH UAAHHHHHH THE PROPHECYYYY UUUUAHHHHH duettando con Joacim Cans che canta pulitissimo alla sua solita maniera. Sembra uno scherzo, e ironicamente proprio questo scherzo chiude la prima parte della carriera degli Hammerfall, quella che vale la pena di avere a casa e risentire periodicamente, nonostante tutto. (barg)

Lascia un commento