Here Be Dragons, gli Avantasia timbrano ancora il cartellino
Tobias Sammet è in giro dal 1995, cioè da trent’anni, e ha pubblicato esattamente venti dischi di inediti, equamente distribuiti tra Edguy e Avantasia e tutti quasi completamente scritti e arrangiati da lui. Calcolatrice alla mano fa un disco ogni anno e mezzo, grossomodo sempre dello stesso genere musicale, anche tenendo conto delle ovvie differenze tra primi e ultimi Edguy e tra gli Edguy in generale e gli Avantasia. È una media sinceramente spaventosa, e rimane tale anche se guardiamo solo alle ultime uscite degli Avantasia, una ogni tre anni a partire dal doppio (!) disco del 2010, en passant una delle prime recensioni uscite qui su Metal Skunk.
Ma Tobias Sammet è tedesco. Se credete nell’esistenza dello spirito popolare, del volkgeist per dirla appunto alla tedesca, saprete che i crucchi mantengono invariabilmente determinate caratteristiche quando scrivono musica. La coralità, la linearità, la rigidità stilistica, ma anche e soprattutto la capacità di sfruttare il mestiere e l’aderenza alle regole allo scopo di non svaccare mai, neppure nelle fasi più tarde della propria carriera. Se ne era già parlato a proposito dell’ultimo Grave Digger, proprio perché questi ultimi sono tra i pochissimi gruppi tedeschi ad essere finiti male nella propria fase discendente, manco fossero degli svedesi qualsiasi. Si diceva appunto che un gruppo tedesco può fare un disco insipido, trascurabile, inutile, persino moscio, ma mai (o quasi) orribile.
E questo è il motivo per cui il presente Here Be Dragons, decimo disco degli Avantasia uscito ad appena tre anni dal precedente A Paranormal Triccheballacche, è impossibile che faccia schifo a qualcuno, a meno che non si odi visceralmente l’heavy metal. Ma, anche in quest’ultimo caso, le melodie avrebbero un senso se arrangiate diversamente. Tobias Sammet non ha più da un pezzo l’ispirazione di un tempo, e l’ultimo suo album veramente bello è Hellfire Club degli Edguy, del 2004. Da allora è riuscito a centrare qualche pezzo (più di qualcuno, ad essere sinceri), da Superheroes a The Raven Child, ma mai un disco intero. Eppure, ogni volta che esce qualcosa di suo, non si scende mai sotto la soglia del quantomeno piacevole di sottofondo. Here Be Dragons è il solito album degli Avantasia, con meno ispirazione del solito, con una copertina particolarmente brutta e con sempre meno impegno e fantasia. Però niente da dire, si lascia sentire. Qualche pezzo è carino, tipo il primo singolo Creepshow, qualche altro decisamente meno, tipo il secondo singolo The Witch, che indulge un po’ troppo in quelle fascinazioni sinfoniche che stanno distruggendo dalle fondamenta il power metal. Si va avanti, ci si alza la mattina e si ricomincia stolidamente la routine quotidiana perché semplicemente non c’è altra cosa da fare, a questo punto. Però la mancanza di passione ormai è palpabile, e si ha l’impressione che lui non ci provi neanche più. Gli ospiti sono ormai ridotti a uno per canzone, senza quei dialoghi a più voci che caratterizzavano gli episodi migliori degli Avantasia e che davano senso al concetto di metal opera che tuttora viene strombazzato nelle pubblicità. Semplicemente c’è una singola voce, tendenzialmente intercambiabile, che canta alcune parti di un pezzo mentre Sammet canta il resto: tutto più semplice, meno impegnativo e meno sbatti, come dicono a Milano. Noi continueremo a sentire i suoi dischi, perché qualcosa di buono o quantomeno di carino ci sarà sempre; ma quanto ci mancano quegli anni d’oro. (barg)


a me pare invece oltre la soglia media del resto che viene pubblicato nell’ambito metal .. opinioni
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Sono le 23:00, leggo la recensione in un hotel di Città Sant’Angelo, mbriaco come una sasizza, a “paranormal triccheballacche” mi è partita una risata equina che mi hanno bussato i vicini.
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Più invecchio, forse diventando più stanco e presuntuoso, più mi sembra di sentire quella differenza nella composizione che sta tra l’idea forte, che ti porti in testa giorni, e già godi al pensiero di buttare giù, anche mesi prima di aggiustarla e tradurla in qualcosa di concreto, ed i brani composti direttamente sul DAW perché devi produrre, andando per tentativi, finché dici “dai, questa funziona”. Non riesco più ad ascoltare quelli che mi sembrano fatti in questo secondo modo, che spesso non sono nemmeno “brutti”
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