Avere vent’anni: SONATA ARCTICA – Reckoning Night

I semi del disastro c’erano già, ma non ce n’eravamo accorti, perché qui la formula reggeva e tutto funzionava ancora. Questo è, in estrema sintesi, ciò che si può dire col senno di poi di Reckoning Night, quarto e ultimo disco dell’epoca d’oro dei Sonata Arctica, estrema prova della creatività di Tony Kakko prima che la personalità di quest’ultimo prendesse il sopravvento rompendo il meraviglioso giocattolino che era riuscito a creare.

Stilisticamente, comunque, già si sentiva che si stava andando avanti. Rispetto ai precedenti, Reckoning Night è più (per carità di Cristo contestualizzate il termine che sto per usare) “aggressivo”, sia musicalmente, con qualche ritmo stoppato e un ruolo maggiore dato alle chitarre, sia liricamente, con l’odio misantropico e autodistruttivo di Tony Kakko che viene finalmente fuori in svariate occasioni. Il canone dei Sonata Arctica, lo stile cioè a cui si era fatto riferimento parlando di loro fino a quel momento, non era Ecliptica (ancora troppo in scia-Stratovarius, seppur forse il disco che gli Stratovarius non sono mai riusciti a scrivere) ma Silence. Lo stile di Silence era quello di un continuo tappeto di tastiere e doppio pedale su cui si innestavano le melodie vocali e i giri di tastiere. Chitarre messe quasi sempre fuori dalla struttura stilistica, assoli perlopiù affidati alle tastiere, batteria a martello sul rullante coi tom inesistenti, eccetera. Insomma, avrete presente, se conoscete il disco. Silence fu un capolavoro mai più replicato: Winterheart’s Guild ne fu una riproposizione in tono minore, al punto da sembrare la classica raccolta di pezzi scartati.

Reckoning Night, dicevamo, compie uno scarto netto rispetto allo stile di Silence. Un salto che si vede già dalla copertina, a tema marinaresco e dai toni rosso acceso, all’opposto delle ambientazioni nivali e notturne delle precedenti. In questo senso la scelta di Don’t Say a Word come singolo fu dirompente, col riff in palm muting e la voce rancorosa di Tony Kakko che manda minacce minatorie a qualche povera donna di sua conoscenza. Ma pure il midtempo di Blinded no More, o ancora la strombazzatissima White Pearl, Black Oceans, un pezzo narrativo di quasi nove minuti diviso in più parti che parte lento per poi velocizzarsi, andare di pompa, rallentare ancora e chiudersi infine tra lacrime e rassegnazione. È un album più roccioso, più solido, più compatto, eppure anche qui c’è un pezzo che sarebbe stato benissimo su Silence, cioè My Selene, che ironicamente è anche la migliore del disco e, ancora più ironicamente, è la prima canzone dei Sonata Arctica a non essere stata scritta da Tony Kakko ma dal chitarrista Jani Liimatainen, peraltro il chitarrista nonostante – ironicamente – questo sia anche il pezzo in cui le chitarre si sentono meno.

Detto questo, avete presente la lunga storia di orrori grammaticali dei gruppi metal che si incaponiscono a usare il latino senza conoscerlo? Bene, qui, e precisamente in Don’t Say a Word, c’è una roba che finisce quantomeno sul podio:

I WILL CARPE THE DIEM

E l’ho scritto bello grosso così che nessuno se lo possa perdere. I will carpe the diem, amici. Con il carico da dieci, nella stessa canzone, del raccapricciante “vade retro, alter ego”. Che bellezza. Ma gli strafalcioni non sono importanti: ciò che conta è la fratellanza e l’amicizia fra i popoli, e quindi stringiamoci forte e vogliamoci tanto bene, ascoltando per l’ennesima volta Reckoning Night, ultimo grande disco dei Sonata Arctica, che poi scenderanno lungo una spirale terrificante per salvarsi in calcio d’angolo solo con l’ultimo album. Viva la Finlandia, viva il power metal e viva noi, che sappiamo apprezzare tutto ciò. (barg)

4 commenti

  • Avatar di Hieiolo

    @trainspotting Ciao, per quanto prenda sempre per oro colato quanto dici, la tua affermazione ” ancora troppo in scia-Stratovarius, seppur forse il disco che gli Stratovarius non sono mai riusciti a scrivere” mi fa un po’ rabbrividire se penso che, imho, sono i Sonata che non sono mai riusciti a scrivere un “Episode” o un “Visions”.

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  • Avatar di Dario

    Mi è apparso il tuo articolo dalle pagine di Google e quando leggo sonata arctica schiaccio sempre. Per me è esattamente il contrario, per quanto la fase Power sia ovviamente la più amata da tutti, Reckoning night è stata la prima svolta della band che trova una sua identità in una musica più ragionata, progressive, senza dimenticare quello che sono stati. E dopo aver sperimentato con Una (rivalutato dopo anni), il masterpiece dei finlandesi rimane The days of Grays, la loro opera più matura, seguita da un ottimo SGHN e un carino Pariah’s child. Dopo le idee sono finite. E a differenza tua non salvo nemmeno l’ultimo album, ok il ritorno alle sonorità Power, ma piatto.

    ps. E no, my Selene non è il pezzo migliore di RN 😝

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