Do You Still Love Me?, la fine della corsa per i PLANES MISTAKEN FOR STARS
Che sfiga nera e balorda, i Planes Mistaken for Stars, nome che oggi ci ricordiamo davvero in un numero di persone che forse basterebbero per organizzare una partita di calcetto, ma che a un certo punto poteva e meritava di diventare “di peso”. Quel punto era poco meno di venti anni fa, con l’uscita nel 2006 di quella cosa indefinibile che è Mercy. Prima di allora, la band guidata da due chitarristi e cantanti, Gared O’Donnel e Matt Bellinger, si era allontanata nel corso di tre dischi dagli esordi emo quasi ortodossi (quando l’emo era una cosa seria) imbastardendosi sempre più con post-hardcore, americana, rock’n’roll e metal, in una maniera che non ha nulla a che vedere con, che so, gli AFI o quella roba là. Aspetto da camionisti e disagio vero. Due cose che non costituiscono per forza un vanto o un plus, ma era per dirvi che questa era una band vera e non un costume da Halloween. Basso profilo, solitudine, alcool, bagni dei bar che puzzano di vomito. Magari un divorzio alle spalle, un lavoro di fatica e la schiena che fa male, e la testa fa male e il cuore fa male e allora bere e vomitare. No, lo so che non era questo che vi veniva in mente quando parlavo di emo e lo so che non è proprio un immaginario vendibile. Comunque, nel 2006 Bellinger se n’era già andato, dalla band, non ancora da questa vita qui. Uscita inizialmente prevista per il sesto giorno del sesto mese del sesto anno del millennio (provate voi a scriverla diversamente come data), Mercy uscì in realtà più in là, in ottobre, per via degli impegni di Matt Bayles, il produttore. Non l’ultimo arrivato: Mastodon, Alice in Chains, Pearl Jam, Botch, Isis, Deftones, Soundgarden e The Sword tra gli altri. E infatti Mercy suonava da dio.

Io li conobbi in quel momento lì. Disco stupendo, che se Converge, Cave In, Kylesa, Trail of Dead, Mastodon stessi e tante di quelle forme di metal e rock ibridate che andavano in quegli anni vi piacciono dovreste provare a fare vostro. Nel senso di entrarci in sintonia, perché O’Donnel pare il cantante sbagliato, ma nel posto giusto. Da questo disco ancora più canta, anzi cantava, con un rantolo gutturale tipo Matt Pike e nonostante questo riusciva ed essere più emotivo di tanta gente che canta bene anche se quello che canta non conta un cazzo. E lo so che zio Pike era l’ultima persona che vi veniva in mente prima, quando accennavo all’emo. No, davvero, Mercy è di quelle gemme che se le ascolti (e sei nelle corde) non te lo scordi più. Un viaggio nero in province perdute, disperate, tra violenza e solitudine, soprattutto solitudine, solitudine terribile. Forse troppo emotivo, infatti la band collassò di lì a poco, comunicando lo scioglimento nemmeno un anno dopo, quando su un disco del genere si poteva costruire una carriera. Forse non una carriera di vero successo, chiaro.
Dopo lo scioglimento, come a volte succede, il nome però l’hanno rimpianto in tanti, anche nomi di qualche peso, e alla fine la band s’è convinta a rimettersi in piedi, ma ancora senza Bellinger. Il risultato, a dieci anni da Mercy, si chiamava Prey ed era un bel disco davvero. Non al livello del precedente, ma bello, cazzo, con qualche canzone commovente e comunque sufficiente a farti dire bentornati, bentornati ragazzi. Insomma, un nuovo inizio. Magari quello della volta buona. E invece no, manco per sogno. La sfiga non aspettava un momento migliore, per assestare i suoi colpi. Il primo, indiretto forse, ma terribile, la morte nel 2017 dell’ex Bellinger. Una storiaccia di arresti per rapina, possesso d’armi da fuoco, resistenza a pubblico ufficiale e poi infine un suicidio, per mezzo di una corda al collo. Il secondo colpo, ancora più fatale: un cancro all’esofago che ha colpito proprio O’Donnel. Non oso immaginare. E lui che comunque ha continuato a fare quello che amava fare, perché in quei casi che ti resta: scrivere, registrare nuova musica, dare sfogo a demoni e maledizioni che ti perseguitano. Fino alla morte, sopraggiunta nel 2021, 25 novembre. Questa la storia. Il disco che è appena uscito, pochi giorni fa, si intitola Do You Still Love Me? ed è il frutto di quel lavoro di scrittura di O’Donnel, consapevole che stava morendo e con la brutta fine dell’ex compare in testa ad unirsi all’altra serie di demoni che già portava di suo. Gli altri membri della band hanno poi dovuto continuare a lavorarci, ma le canzoni c’erano e le tracce vocali pure, quindi era giusto così, non lasciarlo incompiuto, il suo ultimo lavoro.

Il risultato è un disco disperato come al solito, anzi più, che di speranza, davvero, non ce n’era proprio più. Parte, di botto, con le parole “Matthew is Dead” ed è proprio quello il titolo del primo pezzo. Cantare la morte del tuo vecchio compare sapendo che la tua è lì che ti aspetta, ad un passo. Anzi proprio nella gola, quella che devi sforzare per cantare.
Matthew is dead
and we all think we’re next.
We float about in vain,
we float about and feign indifference.And Matthew, if you knew
how fierce I tied your heart to mine,
you’d die a thousand times.
Di musicisti alle prese con dolore indicibile nei loro brani se ne conoscono. Di musicisti che hanno affrontato un dolore così per una morte altrui mentre affrontano la propria no, non so se sia successo ad altri. E spero di no. La musica quindi, magari, scusate è pure in secondo piano. Perché tanto nessuno vi sta puntando una pistola alla testa per comprarlo, questo disco qui, e noi stiamo raccontando la storia di una band colpita da una sorte nera, nerissima. Ed era una band che aveva un potenziale grandissimo, se solo non avesse dovuto incassare colpi troppo grandi per chiunque.

E Do You Still Love Me? non è un brutto disco, anzi, tutt’altro. Non ha l’energia di quelli che lo hanno preceduto, ma è anche ovvio e mettersi a confrontarli non avrebbe senso e non sarebbe rispettoso. Non ha nemmeno un suono bello come quello di Mercy e non credo che nessuno si sarebbe messo a pagare un produttore di un certo livello per fare un disco dai demo di un gruppo quasi sconosciuto (ingiustamente) e col cantante già da un pezzo dentro una fossa. È triste, lo so. Non è un disco da starci allegri, figuratevi. Eppure O’Donnel non ha mollato fino all’ultimo e l’album dei momenti belli, ma belli belli, ne ha. E poi, ovvia mestizia, non può che giocare a volte con più meditazione e quindi approfondendo quel legame, in nuce già da prima, con gotico americano e grunge. Quindi per una Further ancora quasi arrembante c’è una Do You Still Love Me? No. 1 che in pratica è la bozza di Outshined dei ‘Garden presa in mano dai Tad e lasciata marcire in una segheria abbandonata. Per una Arrow ancora quasi emopunk c’è una Modern Logic che suona nuova e fresca (pare brutto dirlo), con suoni luminosi e morbidi ed il tono confidente di Greg Dulli, uno che di abissi se ne intende, ma spero non così tanto. Pare proprio un pezzo dei Twilight Singers. Quasi sereno. Quasi pacificato. Mica con tutte le ferite rimarginate, no, questo no. Ma senza altro da perdere o da aggiungere. La lapide è pronta.
These dreams at their worst
all end in a hearse.
No, non sto a dirvi che Do You Still Love Me? e un capolavoro e sarebbe stato da stronzi aspettarselo. È da stronzi vivere aspettando gli eventi, o aspettando eventi. Farsi scandire le giornate dagli eventi. Però se avete amato i Planes Mistaken For Stars il minimo che possiate fare è ascoltare la voce di O’Donnel ancora una volta. Perché è davvero la fine della corsa. (Lorenzo Centini)

Bell’articolo.
Conoscevo la band vagamente, di nome, ma non avevo mai sentito nulla.
Li recupero e, anche non dovessero piacere, trovo questo lavoro che fate nel recuperare band e dischi con storie del genere, encomiabile.
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Complimenti, bell’articolo. Mi lascia perplesso la frase “quando l’emo era una cosa seria”… capisco cosa voglia dire ma in Italia c’è una scena tutt’ora florida e, secondo me, validissima. Alcuni nomi ci rientrano solo di striscio (i bravissimi Stormo) ma altri ne fanno parte a pieno titolo e sono assolutamente meritevoli (Riviera, Shizune, Stegosauro, Ojne etc…), ovviamente me li ha fatti scoprire il figlio di un amico. Non è metal ma devo dire che fra noise e screamo siamo messi bene in Italia.
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Giustissimo. In effetti mi sono espresso male. Perché sono rimasto un po’ a quel periodo in cui l’emo erano quelle fetenzie che poi sul mainstream hanno prodotto tipo dai 30 seconds to mars ai Tokyo hotel. Per troppa gente l’emo è quello lì. Vagli a spiegare i La Quiete…
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O anche i Promise Ring.
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Comunque grazie, non conoscevo questo gruppo e ieri sera ho sentito “Mercy” e devo dire che merita sul serio!
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