Vent’anni nelle segrete di Torquemada: BRODEQUIN – Harbinger of Woe

Come potevamo esimerci dal parlare del nuovo Brodequin? Questi sono i ritorni che mettono il buonumore. Stiamo parlando di uno dei gruppi migliori saltati fuori dai penosi anni duemila, i peggiori in assoluto per il metal. In quel decennio gli americani pubblicarono due album di assoluta qualità e un terzo che registrò un prevedibile calo, dovuto anche all’addomesticamento dei suoni, diventati più “ortodossi” ma anche meno spappola-cervella. Methods of Execution era comunque un buon album, anche se un po’ sotto tono dal punto di vista sonoro.

Questo “addomesticamento”, che sia chiaro non volle dire addolcimento (i tempi comunque non scendevano quasi mai sotto i 200 bpm) è comunque la via maestra che il trio di Knoxville vuole intraprendere anche oggi, a venti anni esatti di distanza dal precedente Lp. Questa volta però la qualità della produzione, a differenza di quanto avvenuto sul predecessore, è nettamente superiore. A distanza di tanto tempo, è il minimo a cui si poteva aspirare.

I Brodequin sono pesantemente debitori dello stile dei Broken Hope, che con Repulsive Conception furono i primi a portare un certo stile, fatto di blast beat perenni, testi vomitati sopra tutto e tutti, assoli compresi, e totale annichilimento del cervello di chi ascolta. Anche oggi non possono e non vogliono abbandonare lo stile che li ha resi un gran bel gruppone di death metal brutale e quindi si ripresentano per quello che sono, ovvero un gran bel gruppone di death metal brutale.

brodequin_harbinger_of_woeI suoni sono moderni ma non risentono troppo degli artifizi che tutti noi ben sappiamo, e in questo momento storico risentire un disco con questa formula fa piacere sempre e comunque. Non so voi ma io sono uno di quelli che dei canovacci di questo sottogenere di death metal non si stufa mai: un blast ferocissimo, qualche momento di sapiente groove e tanta, tanta brutalità gratuita. Harbinger of Woe è quindi una piacevolissima conferma, nonché segno che i Brodequin sono tutto tranne che defunti. Si sono presi un nuovo batterista, tale Brennan Shackleford, e fanno paura esattamente come prima.

Se proprio dobbiamo trovare un difetto ad Harbinger of Woe, almeno secondo il vostro affezionatissimo, è che non suona come Instruments of Torture (molto comprensibilmente), a cui quella produzione lo-fi e quel rullante maledetto aggiungevano carattere. Con questi suoni sembrano quasi volersi adeguare alla norma, se non fosse che lo standard dei pezzi è parecchio alto.

Insomma, al netto di particolari sconvolgimenti non vedo nessuno in grado di scalzarli dal podio dei dischi “di genere” quest’anno, specialmente dal momento che i Dying Fetus sono usciti l’anno scorso e nel duemilaventiquattro probabilmente se ne staranno buoni, discograficamente parlando. E, a conti fatti, non è che questo nuovo Brodequin sia poi tanto inferiore a Make Them Beg for Death. Anzi. (Piero Tola)

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