Avere vent’anni: IN FLAMES – Soundtrack to your Escape

Nonostante gli In Flames all’epoca vendessero tantissimo, fossero in vetta alle scalette dei festival e girassero spesso su Mtv, Soundtrack to your Escape può essere da un certo punto di vista considerato un mio disco-feticcio. Evidentemente non nel senso che piacesse solo a me, ma perché razionalmente è abbastanza indifendibile: l’album si pone infatti perfettamente in linea col solco tracciato dai “nuovi” In Flames, ovvero quelli che, come già detto, ricercavano l’innovazione e la progressione per il solo gusto di farlo, finendo però per ingolfarsi in un pantano di incomprensibili modernismi e fisime nu-metallare per qualche motivo concepite come nuove. Ma il nu metal, ringraziando la Madonna, era già bello che crepato, e di contro quel marasma di riff stoppati, ritornelloni in pulito ed effettini elettronichini stronzi appariva più che altro un piagnisteo adolescenziale fuori tempo massimo che metteva addosso pena e sconforto. Ironicamente c’era stato un tempo in cui gli In Flames “originali”, “innovativi” e “all’avanguardia” lo erano sul serio, tanto che i dischi fino a Whoracle, oltre ad essere invecchiati benissimo (specie The Jester Race, per gli altri il discorso è più ampio), hanno influenzato interi sottogeneri, anche in America.

A pensarci la situazione è paradossale: a metà anni ’90, mentre negli Usa il nu metal esplodeva, gli In Flames trovavano una nuova via al death svedese; dieci anni dopo si era arrivati a uno scimmiottamento incrociato rivolto all’indietro: il metalcore americano copiava quei primi In Flames e, contemporaneamente, gli In Flames riprendevano il nu metal dei vecchi tempi.

Epperò non posso farci niente: a me Soundtrack to your Escape piace, è sempre piaciuto. Non ne vado per niente fiero, specie riguardo cose tipo The Quiet Place, con tutti quei grotteschi birignao vocali di Anders Friden che si ostina a imitare Jonathan Davis senza ritegno e senza vergogna, con la stessa mancanza di buon gusto con cui, in altri momenti del disco, copia lo stile di Chino Moreno o altri del genere. I difetti che mi avevano reso indigeribile Reroute to Remain ci sono ancora tutti, ma molto più attenuati. La produzione è migliorata, la batteria non suona più come un fustino di Dixan in una stanza con le pareti di marmo e i singoli strumenti sono più riconoscibili; soprattutto qui i pezzi ci sono, le melodie acchiappano e i suddetti ritornelloni paraculi di solito funzionano. Perlomeno per quanto mi riguarda, perché sono cosciente del fatto che generalmente Soundtrack to your Escape sia considerato un disco minore o di passaggio e, al contrario, Reroute to Remain venga visto come uno dei migliori di questa fase. All’epoca mi ci approcciai con tutte le riserve possibili, probabilmente con il solo scopo di poterne poi parlare male con cognizione di causa, e invece mentre lo ascoltavo non riuscivo a capacitarmi di quanto mi stesse piacendo. Ho continuato poi a sentirlo per un po’, sempre però tenendo il volume delle cuffie molto basso quando giravo per strada, perché la mia paura era che qualcuno se ne accorgesse e mi puntasse il dito contro con sguardo austero e terribile, gridando: “Si vergogni!”.

“Sta ascoltando quel disco di merda degli In Flames! Prendiamolo e uccidiamolo!”

Alla fine però non ho mai smesso di ascoltarlo; non è una cosa di cui vado fiero, ripeto, perché qui il livello è molto basso proprio come concetto, ma così va la vita. Del resto ascolto regolarmente pure certi dischi degli Staind, degli Evanescence, dei Taproot e di gente molto peggiore, quindi c’è spazio per tutti. E, tanto per essere chiari, Soundtrack to your Escape è bello e tutto quanto ma ha molta meno dignità dei gruppi appena citati. (barg)

5 commenti

  • Avatar di weareblind

    Francamente una schifezza.

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  • Avatar di Cure_Eclipse

    Quanto sono fighe My sweet shadow e Dial 595 – Escape?

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  • Avatar di Fredrik DZ0

    Premetto, parlo da fan degli IF per tutta l’era Jesper… poi con molta selettività. Sinceramente lo trovo un disco altalenante, qualche gran pezzo alternato a parti molto meno a fuoco. Già all’epoca trovai molto più valido Reroute to remain, e il motivo è proprio nelle canzoni: se i pezzi non reggono, puoi infarcirli di birignao, di suoni “alla moda” (invecchiati malissimo, per inciso) ma non mi freghi. Non so, a distanza di 20 anni salvo un 50% di questo disco…il resto mi sembrò una raccolta di scarti da Reroute.

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  • Avatar di Carolina84

    Non sarà il migliore, ma è probabilmente il mio preferito della loro discografia. Ed è un peccato che, pur continuando a pubblicare dischi validi fino ad oggi, abbiano deciso di “tornare indietro” musicalmente parlando già a partire dall’album successivo. Questo è l’apice della ruffianeria e di ricerca del “moderno” che, tuttavia, ti entra in testa subito. Del resto, se vuoi ascoltare qualcosa di cattivo o pesante non metti su gli In Flames… in ogni caso dal vivo continuano a spaccare.

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  • Avatar di Schnell

    Non ho la benché minima voglia di riascoltarlo.

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