Il nuovo SKELETAL REMAINS è uno dei migliori dischi death degli ultimi anni

Scrivere articoli sui casi umani che da sempre ci appassionano è particolarmente stimolante, ma con le recensioni, sarò sincero, non è affatto così: ho iniziato a scriverle nel 2001, di dischi sotto i ponti ne sono passati sin troppi, chi suona e chi scrive è vistosamente invecchiato, e certe volte si corre il rischio di ripetere le stesse cose. C’è chi si rifugia in un mesto track-by-track e risolve, o almeno così pensa, grazie all’aggiunta di un paio di frasi raccattate dal volantino promozionale allegato al promo. Come regola base mi pongo sempre quella di non farmi cogliere da uno smisurato entusiasmo, un fattore che mi capita di frequente con certi gruppi sudamericani che fanno proto-thrash sulla scia di I.N.R.I. Quantomeno sulle prime, perché dopodiché li risento a freddo e m’accorgo che sono tutti uguali, sì, con l’attitudine giusta e il suono giusto, ma pur sempre privi di quel briciolo di spessore che li consacrerebbe nella mia testa.

Diciamo che ogni anno è un miracolo se esce un album metal per cui realmente esaltarmi, così da condividere con voi l’euforia. L’anno scorso quel disco poteva essere quello dei Dying Fetus, per dirne uno. E l’annata scorsa dal mio punto di vista è stata buona, ma con pochi titoli maiuscoli. Pochi titoli che riascolterò nel tempo, insomma.

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Il 2024 era partito grossomodo nella stessa maniera, poi è arrivato l’otto marzo e, mentre zingari e ambulanti di vario genere vendevano ciocche di mimosa ai ritardatari e agli smemorati ai semafori di tutta Sesto Fiorentino, ho messo il nuovo Skeletal Remains e ho atteso che il verde scattasse. 

Sto consumando Fragments of the Ageless. Il quinto disco dei californiani è pazzesco perché ha i suoni, lo stile, gli interpreti e soprattutto ha le canzoni. Che sono un po’ l’aspetto latente di oggigiorno, in una scena sì capace di reinterpretare le annate migliori, ma non di scrivere le nuove Where the Slime Lives o Dead by Dawn. Gli Skeletal Remains ostentano una personalità – sì retrograda, ma straripante – che nel mondo musicale contemporaneo è certamente latente.

Relentless Appetite in un minuto mi ha presentato una voce sulla scia del David Vincent d’annata, un break centrale alla Deicide e una pioggia di riff tutti riusciti, in rapida sequenza. Il riferimento palese ai Morbid Angel l’avrebbero cementato con i brani seguenti: Cybernetic Harvest come i maestri insegnarono da Domination in poi, e con la capacità di distinguersi che molti loro cloni non hanno. Seguono accelerazioni brutali di scuola Hate Eternal e Vital Remains, e, dei primi, ritroveremo anche una cover di Messiah of Rage, un loro storico brano che trovò spazio nello split con gli Alas. Apro parentesi: Luca Bonetta dove cazzo sei?

Alla voce singoli spicca To Conquer the Devout, con i Morbid Angel da tutte le parti e in particolar modo negli arrangiamenti di batteria di Pierce Williams, già nei Torture Rack. La sensazione è che oggigiorno riesca meglio svolgere la parte dei Morbid Angel a questi soggetti qua che non ai Morbid Angel stessi. Il problema degli imitatori è che, appunto, in molti si limitano ad essere dei semplici imitatori. Ma poi al centesimo tentativo trovi quattro tizi californiani che sanno davvero entrare nella parte dei Morbid Angel e che vi implementano idee proprie, ed altro che a breve andremo a approfondire. E tutto funziona alla meraviglia. Fragments of the Ageless è quel centesimo tentativo dopo novantanove appena apprezzabili o completamente a vuoto.

Il resto del pacchetto merita ulteriori menzioni. Alla chitarra troviamo un tale che si firma Mike de la O: è pelato e in ogni gruppo death metal è necessaria l’assunzione di un musicista pelato. Apporta un tono arioso alla sezione solista, che rompe un po’ ii toni cupi cui si va perennemente incontro. Un po’ il mestiere di Santolla allorché entrò nei Deicide, seppure con uno stile differente. Poi accelerano e si respira pari pari l’aria di Covenant. Riacquisisce un senso il fatto stesso che sia lunedì mattina.

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Forever in Sufferance riporta al tono del techno death dei primi anni Novanta, tiene i Morbid Angel da parte fino a metà scorrimento e poi rievoca in un certo senso alcune cose di Blessed are the Sick. È il momento retrò per eccellenza, certificato dall’immancabile assolo di basso. In Verminous Embodiment è come se a sorpresa gli Skeletal Remains si divertissero a omaggiare i Cannibal Corpse di fine anni Novanta; dopodiché è Unmerciful l’ultima cannonata fra una strumentale e un’altra, con tempi inizialmente rallentati e un piglio decisamente battagliero. Evocation (The Rebirth) fra le strumentali è l’unica che non ho capito. Tecnica, con tanta atmosfera, quasi un tentativo di proporci un pippone alla Blood Incantation senza riuscirci. Prendiamo nota, magari un giorno gli Skeletal Remains scriveranno un album su queste coordinate ma, al momento, questo rimane un episodio un po’ stonato.

Gli Skeletal Remains hanno inciso solo buoni album. Giusto il primo un po’ acerbo, Beyond the Flesh. Oggi, con una certa probabilità, ci consegnano il loro titolo migliore: la batteria esce fuori leggermente peggio che in passato, ci sono lungaggini che si contano sulle dita di una mano, e il fattore Cannibal Corpse è quel qualcosa in più di cui forse avrei fatto a meno. Ma in sostanza penso di aver ascoltato uno dei migliori album death metal degli ultimi anni, una cosa, questa, che non affermerei mai in sede di recensione se non dopo aver contato non fino a dieci, ma fino a cento. (Marco Belardi)

3 commenti

  • Avatar di Fanta

    Lo ascolterò volentieri.

    P.s. mò faccio come AI: a quando una recensione dei nuovi Morbid Saint e Atrophy? Devo dire che non mi aspettavo nulla dai primi. E il disco l’ho trovato discreto. Alla fine però ti rimane pochissimo in testa. Mentre a mio modo di vedere gli Atrophy (con unico mento originale) hanno tirato fuori un disco e della madonna.

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  • Avatar di Fanta

    Sto disco è una bomba Belà. Ordinato.
    Grazie.

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