A lezione dai classici greci: VARATHRON – The Crimson Temple

Nonostante tutto, pare ancora naturale riferirsi a questi Varathron, quelli post “reunion”, come nuovi. Però i “vecchi” hanno fatto due dischi (leggendari, sì) in tre anni, mentre questi qui, i “nuovi”, esistono da quasi vent’anni di ininterrotta produzione (con un disco ogni 4 o 5 anni, eh). Un po’ tirata per i capelli, quest’uscita qui. La mia, dico, non il loro disco. Pare che uno si dimentica di tutti gli esordi, dei demo, e del peso specifico di certi dischi in certi momenti storici. Ma questi Varathron qui, che stanno in piedi su per giù con formazione fissa da quasi due decenni, forse è il caso di considerarli senza tirare in ballo i classici. Forse.

Proprio per niente no, dai. Non fosse altro perché poi fare il confronto con i Rotting Christ viene automatico, con Sakis Tolis perso nella sua fase “ZUMPA-ZUMPA-SATANA-LLALERO” che offre spesso motivo di ilarità in Redazione (quando Barg si silenzia e Tola infierisce). No, però, mica saltiamo a conclusioni. Tipo che so’ sempre stati meglio i Varathron, che sarebbe un po’ una cazzata (un po’ tanto), pure ingenerosa nei confronti di chi è rimasto sul pezzo dagli inizi e ha cambiato più pelli. Oh, è una fase, che devi fa’, quella del buon Sakis. Invece Necroabyssious pare proprio in forma. Charles e Ciccio ci avevano parlato di due capitoli precedenti. Erano piaciuti e (parlo per me) piace pure questo nuovo The Crimson Temple, che si presenta subito con l’abito buono: ennesima copertina capolavoro di Paolo Girardi, strumenti a corda fintomedievali/mediorientali/salcazzo e credo che quegli altri che arrivano dopo siano zufoli. Poi massacro. Preciso, ben ordinato, produzione né sporca, né lucida. No plastica, no, però pulita. Definita. Quindi, su mid-tempo e accelerazioni, il farneticare convulso di Necroabyssious si staglia per bene e trasmette un bel senso di angoscia e follia. Figata, insomma. Nel singolo Crypts in the Mist ci trovi un po’ tutto, death scandinavo, heavy classico e, sì, quel black greco. Il riff cadenzato, macabro ed epico, quei synth raggelanti. Dice due o tre cosette su The Crimson Temple.

 

Tipo che appunto ti puoi riferire sì ai classici (classici per davvero), ma questi Varathron che esistono da venti anni fanno pure la cosa loro. Sarà che suonano bene, sarà che sono prodotti bene. Sarà che all’inizio Cimmerian Priesthood pare Fear of the Dark, ma poi è grecità. Astrale ed ancestrale. Insomma, il fatto è che The Crimson Temple è il disco della reincarnazione maggiorenne di una band classica, ma anche un disco moderno. Giorni nostri. Con quella specie di black mischiato con death, heavy, satanismo estetico e uno starnuto di etnico che è (incredibilmente) fruibile. Potabile, quasi. E soprattutto è ai livelli dello standard (non mainstream, per carità) di certo metallo moderno che non arriverà in classifica da noi, ok, ma nei festival estivi europei si accaparra gli orari migliori. Per dire, in alcuni passaggi, quelli meno impantanati nelle care vecchie e mefitiche paludi, il metal di questi Varathron è mica distante da certi Behemoth. Parlo di The Satanist che, oh, a me è piaciuto un botto. Insomma, musica che può piacere a vegliardi e pischelli. Non vedetela come una critica perché proprio non lo è. Anche perché a cinquanta e passa anni mica ti metti a giocare con una vecchia drum machine, una pianola Bontempi e un distorsore da due soldi. Invece di sembrare trve rischi di sembrare solo un poraccio.

Insomma, fanno benissimo Necroabyssious e soci a suonare così, anche perché lo fanno davvero bene. Poi quando indulgono su quella modalità lì, quella delle urla farneticanti e concitate sopra un tappeto in blast, che pare (occhio che ora la sparo davvero grossa) una specie di David Tibet che si ritrova in un racconto lovecraftiano, io mi gaso (Shrouds of the Miasmic Winds). Mi piace troppo, per questo per esempio mi piacciono gli A Forest of Stars, mica per i violini. The Crimson Temple ha diversi brani trascinanti e nessun riempitivo. Ci trovate piuttosto diversi motivi di scapoccio e pure qualche attimo di nostalgia. Lo accennavo all’inizio, ma poi non mi ci sono soffermato, parlando piuttosto sulla modernità dei Varathron di oggi: che questa band qui, o una sua incarnazione precedente, fosse uno dei tre vertici della trinità sconsacrata del black greco anni ’90 si sente. Si sente benissimo, state tranquilli. Semplicemente questa cosa qui non è il centro del discorso e questo non è un disco di revival. D’altronde i classici non servirebbero ad andare in giro con la tunica e la cetra, pretendendo che aerei e computer non esistano. I professori a scuola ti dicevano che i classici greci restano sempre attuali, calati anche nel presente. Magari parlavano dei Varathron, boh. (Lorenzo Centini)

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