FIRENZE METAL @Viper Theatre – 18.11.2023

Merenda alle 17:30, perché noi toscani alla merenda ci teniamo, e, con due focacce in pancia ripiene d’ogni genere alimentare che ho trovato nel frigo, mi dirigo carico a pallettoni alla location fiorentina per eccellenza: il Viper Theatre. Otto giorni fa, nello stesso luogo, una bolgia disumana per lo show di Yngwie Malmsteen a vent’anni da quello al Tenax. Stavolta organizza Firenze Metal, e non è una manifestazione secondaria come i contest di qualche tempo fa. È il Firenze Metal, l’ultima volta ad aprile con Necrodeath e Deathless Legacy a fungere da nomi di richiamo.

Impossibile pensare di rivedere il locale stracolmo degli ottocento, quasi novecento ammassati d’innanzi al guitar hero svedese. Tiro due somme e ne ipotizzo la metà esatta: i Mortuary Drape in Toscana tirano, giacché da sempre spingiamo sui concerti power metal, death e black e facciamo vilmente muro su tutto il resto. Fortunatamente mi sbaglierò sul numero dei presenti, e lo capirò a giochi iniziati. Il grosso cruccio gestionale del Firenze Metal novembrino consiste nella presenza simultanea di otto band, di cui quattro a scaletta intera e due considerabili come headliner. Cominciando alle 19:30, il che ufficialmente avverrà attorno alle 19:45, si rischia che la classe operaia non vada mai più a letto. Sfortunatamente non mi sbaglierò su questo. Ma rimane la miglior serata cui ho preso parte al Viper Theatre. 

I primi a dare battaglia sono gli ADRENALINE, capitanati da un tale gigantesco che mi ricorda i Browbeat, visti all’Alchemica, e certo look hardcore stradaiolo alla Social Distortion. A un certo punto si toglie la canottiera suscitando il malore e conseguente svenimento delle ragazzine nelle retrovie: per chi si bagna e chi litiga e viene piantata in asso dal ragazzo, accorrono numerose e fragorose le ambulanze da Careggi. Tanti maschi sopraggiunti per rimorchiare si deprimono e scoprono il doom. Il loro show è energico e non c’è un membro della formazione che non abbia sufficiente presenza scenica e capacità di tenere il palco. Le canzoni ahimè mi entrano da un orecchio ed escono dall’altro: mi sono sentito l’album proprio oggi e credo che The Cage sia la meglio costruita. Schiena contro schiena dei due chitarristi e altri schematici ma vincenti siparietti già visti, e il loro spettacolo si conclude senza particolari intoppi.

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Adrenaline – PH: Marco Belardi

Gli SPEED KILLS ci ricollegano a quei contest che ho menzionato sopra. Hanno vinto il primo di due Metal Forever (il secondo ha concesso ai livornesi Diesanera di suonare nient’altro che al Wacken) e oggi si contenderanno lo scettro di migliore band thrash metal della serata con i Game Over. Il loro cantante aizza e diverte la folla come suo solito; i pezzi sembrano più centrati che in passato eppure sono all’incirca gli stessi. Nel frattempo i maschi riacquisiscono lentamente il colorito facciale in platea. Molti di loro, però, indossano una vistosa t-shirt rosa su cui ritorneremo più tardi. Non c’è niente che non vada nel concerto degli Speed Kills: hanno un sacco di seguito e corrispondono al genere di band che potrei definire gruppo autobus. Suonano sovente, e bene, e in qualche maniera si portano dietro mezza Firenze, il che fa felici tutti: gli organizzatori, i presenti, poiché si scatena il delirio, e il gruppo stesso. Se questo sia barare, marketing o qualunque altra cosa non m’interessa, e fanno bene ad attuarla. Suonare in apertura a un festival certe volte è deprimente, perché lo fai davanti a due gatti appollaiati ad attendere i nomi in chiusura. Al Firenze Metal come per magia capita un effetto quasi contrario: anche su questo ritorneremo più tardi.

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Speed Kills – PH: Marco Belardi

Le due esibizioni a seguire sono denominati release party, ossia in promozione dell’uscita discografica più recente. I DRVN sono giovanissimi e mi fanno ricordare che, dopo tutto il tempo passato a fotografare inginocchiato, l’indomani menisco, legamenti e crociato destro presenteranno il conto, facendo rimbombare nella mia testa il termine fisioterapia. Una gentilissima fotografa poco prima dell’inizio mi dà una dritta: “Questi qua saltano parecchio”. Mi manca una foto concertistica con un bel salto, mi dico. Alla fine del concerto dei Drvn avrò una decina di scatti al bassista a mezz’aria, una sorta di jetpack di Duke Nukem, uno che non sta davvero mai fermo. Forse addirittura ne abusa. La cantante mi ricorda per l’attitudine e il piglio Sandra Nasic dei Guano Apes: piccolina e cazzuta. È altresì acerba e credo possa imparare molto dalla tedesca. In linea di massima il loro spettacolo è buono, ma mi lascia poco sotto il profilo dei pezzi, come già accaduto agli Adrenaline. Noto molta attenzione all’aspetto della resa live in entrambi i casi, e che, alla base di tutto questo, ci sono brani migliorabili e una scaletta ancora non pronta per palcoscenici dove il primo impatto è tutto. A differenza degli Adrenaline, i Drvn suonano molto meglio su disco che non dal vivo.

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Drvn – PH: Marco Belardi

Gli INNER CODE sono un gruppo sul quale esprimerò un’opinione condizionata e comunque sincera. Conosco il loro cantante Jago Balistreri, che appunto lavora per Firenze Metal, il che rende il mio responso da prendere con le pinze. Nei due precedenti concerti ho ammirato tanto desiderio di dare nell’occhio: tutti quei salti, tutta quell’adrenalina sono anche il frutto dell’emozione di ritrovarsi – per gli Adrenaline assolutamente non una prima volta, nel caso i Drvn non posso esprimermi – su un palco che dava la faccia a settecento persone. E già io ne avevo calcolate quattrocento, o poco più, alla vigilia, chissà se la sorpresa è stata altrettanta per loro. Gli Inner Code in estate suonavano all’aperto allo Stony Pub di Rosano, all’odore dell’Arno che gli scorreva vicino e degli ottimi hamburger, e si sono comportati come veterani abituati a inscenare un concerto. Non hanno mai ceduto all’emozione o al desiderio di strafare. Jago non l’avevo ancora sentito se non occasionalmente su disco (Nuovi incubi di qualche tempo fa), ed è un cantante death metal eccezionale. Può e deve migliorare nella gestione del pulito per ottenere il massimo dai ritornelli – lo schema canoro è il medesimo dei Fear Factory, musicalmente cascano da altre parti e magari un giorno ne parlerò – ma è a tutti gli effetti un ottimo frontman. Le luci per l’occasione sono diverse, tanti raggi e reticoli, perché il pattern visivo è mutevole e completamente a discrezione dei singoli gruppi, così come le proiezioni sul retropalco.

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Inner Code – PH: Marco Belardi

Il pattern sonoro che anticipa il concerto dei ferraresi GAME OVER è invece splendido.  Ultimano i ritocchi al check e la stessa fotografa di prima mi si avvicina e mi fa: “Lo sai a che somiglia questa musica di sottofondo?”. In contemporanea diciamo in due “a un porno anni Ottanta”. Che volere di più dalla vita di un gruppo thrash metal che ha per preludio al proprio concerto le musiche di un porno anni Ottanta. Vi biasimo, Game Over, per non avere a quel punto sfruttato quel bellissimo proiettore che stava in alto. A differenza degli Speed Kills, i Game Over ci rimettono sul frontman, che ha la tracolla coi proiettili e ha grinta, ma non è Andrea degli Speed Kills. Il loro punto d’interesse massimo è il chitarrista Ziro, armato di Jackson bianca, che interpreta da manuale il modo in cui un musicista metal dovrebbe stare sul palco. Ziro è assieme all’accorrente Poldo il man of the match, sebbene in tono minore per non aver sdoganato tutte quelle magliette rosa col cuore di cui ora vi parlerò: il thrash metal dei Game Over è privo di fronzoli eppure cela una cazzimma di fondo tipicamente rock’n’roll. Non somigliano ai Sodom ma hanno la loro attitudine. Hanno anche una certa esperienza, avendo quattro album all’attivo: dell’ultimo Hellframes mi occuperò a breve.

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Game Over – PH: Marco Belardi

Bravi tutti, ma dimenticate quel che avete letto finora. Il terzultimo gruppo del Firenze Metal di novembre 2023 si chiama SLUG GORE e per quello che mi riguarda la faccenda si è conclusa con loro. Due di loro sono rinomati youtuber, il che non fregherebbe un cazzo a nessuno non fosse per il fatto che la stessa capacità geniale di vendere un prodotto, qualunque esso sia, te la rivogano sul palco. Al loro banchetto c’era una fila di persone dirette alla loro maglietta rosa riportante il logo e la dicitura I Love Gore. Lo schermo antistante il palco era ora un delirio di immagini di vecchi videogiochi, da Metal Slug a Tomb Raider. Il logo di ogni videogame era diventato Slug Gore. Da puttanate del genere capisci quanto impegno imprimano in un’impresa, attività o band. Il concerto è stato un genuino bagno di sangue con gente che si scassava fino al mixer, e questo Poldo, il loro cantante, in cappellino, pantalone largo e parlata tranquillona, che scherzava sulla cover dei Deftones – inesistente – dovuta alla mancanza di brani poiché si suona grind e sono già finiti, e presentava una canzone dedicata a Tremors. Ora tornava sul palco con una motosega e fendeva l’aria coi calci volanti per un minuto. Infine si complimentava con un gruppo giovane, finalmente giovane, il che è un buon segnale. Ha ragione lui, su tutta la linea. Quello degli Slug Gore è stato il miglior concerto che ho visto al Firenze Metal, nonché la pietra tombale sulle portate principali della serata, perché l’asticella delle aspettative era ora a puttane.

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Slug Gore – PH: Marco Belardi

I FROZEN CROWN sono in sei. Non hanno Janick Gers a sprecare lo slot della terza chitarra, ma il loro compositore e autore del controcanto, Federico Mondelli. La terza chitarra mi risulta inoltre aggiunta di recente e corrispondere alla rossa Alessia Lanzone. Tre uomini e tre donne. La scena se la prende tutta Giada Etro, la cantante. Sa tenere il palco davvero bene, eppure è come se il Viper Theatre sia ancora in balia dell’effetto narcotizzante dovuto al gruppo precedente. Non c’è una particolare risposta, la scaletta è lunghissima e viene riproposta una torrenziale carrellata del loro power metal, il quale narra delle stesse faccende di perturbazioni nevose di cui sono invaghiti gli Immortal. Un altro motivo per cui non mi sono goduto il loro concerto è che non rientro nella categoria a cui Poldo aveva dedicato un plauso, e pertanto, essendo un quasi quarantunenne svegliato dalla figliola poco prima delle sette, comincio ad essere annichilito dalla stanchezza. Comincio inoltre a pensare che mangerei qualche porcheria disumana.

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Frozen Crown – PH: Marco Belardi

Non ho molto da dire sui MORTUARY DRAPE. Non meritano un pubblico minore di quello che c’è stato sinora. Ma alle 2:15 di notte stanno ancora suonando, il che pone i piemontesi in una posizione strategicamente sfavorevole: il loro pubblico è più anziano di quello di Slug Gore e Frozen Crown, e un pubblico anziano difficilmente reggerà certi orari. Le mie foto da un’ora abbondante iniziano a essere una più alla cazzo di cane dell’altra. Ciò nonostante fanno il loro dovere meravigliosamente. I pattern visivi sono ora un lontano ricordo: un altare, due candele proiettate sullo schermo e un buio quasi perennemente pesto. Come deve essere. Non mi dilungherò poiché ho in cantiere la recensione del nuovo Black Mirror, ma il concerto dei Mortuary Drape segna la differenza fra la vecchia e la nuova scuola. Il metal moderno non mi disgarba in quanto moderno, ma per frequente carenza di attitudine. I Mortuary Drape, a partire dalle canzoni, efficaci, memorizzabili, dinamiche, un thrash death costruito sui principi del black metal senza sbagliare una virgola, aggiungono oscurità, deformità, rituale. Che sarebbe stato dell’heavy metal tanti anni fa senza questa magia che lo ha fatto sopravvivere forte, potente e pauroso per decenni? I Mortuary Drape sono una sorta di dimostrazione di come era il prima e di come è l’oggi. E oggi ci sono tantissimi gruppi bravi a cui manca un determinato carattere che si concilia con l’essenza del metal. Solo negli Slug Gore, al netto della loro prorompente ironia, ho ritrovato qualcosa che combaciasse con la mia descrizione.

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Mortuary Drape – PH: Marco Belardi

A un certo punto, non troppo dopo la fine del loro concerto, con ancora Necromaniac cantata a squarciagola che mi rimbombava in testa, esco e penso che i cani a ragion veduta e un po’ a sfregio avranno annaffiato di piscio l’intero salotto e che pulirò mattonelle e fughe fino a notte fonda. Non è andata così, per fortuna: anche questo, però, fa parte del pacchetto del metallaro a cui Poldo non allude. Godermi una serata del genere a questa età, ad ogni modo, non ha prezzo. È ritornato il Firenze Metal, ed è ritornato con tutti i suoi tratti distintivi: tanta musica accomunata dalla distorsione e tante persone, potenzialmente interessate a un gruppo o due, che si ritrovano a godere di altri inaspettati concerti. Un buon motivo, questo, per ampliare la comunità metallara e finalmente per aggregarla davanti a palchi di un certo rilievo. (Marco Belardi)

Un commento

  • Avatar di Cattivone

    Ahahah, l’ho anche visto qualche video di questo Poldo, sapevo fosse metallaro, non pensavo suonasse in un gruppo valido.
    Se mi capitano nei paraggi questi Slug Core vedo di non perdermeli.

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