Brucia, Amelie, brucia: ETERNAL EVIL – The Gates Beyond Mortality
Un gruppo così è la panacea contro ogni male. Assicurazione auto in scadenza e hai tamponato due volte nello scorso anno? The Gates Beyond Mortality e passa tutto. Tua moglie dopo cena vuole vedere un film di Wes Anderson, Michel Gondry, Jean Pierre Jeunet? L’attacco di Guerilla Warfare ti farà dimenticare certe nefandezze filmiche. Però a quel punto due domande su chi hai sposato fattele. L’album è il secondo per gli svedesi Eternal Evil e ripresenta quella mistura a cazzo duro fra thrash metal alla tedesca e amabili echi di black/death nazionale alla Necrophobic. Non mancano soluzioni ritmate come nel caso della title track, che rinuncia alla rapidità esecutiva in favore di un assetto da singolo. L’arpeggio centrale alla Dissection fa il resto. La sezione ritmica è stata completamente rinnovata per l’occasione; i due perni della line-up restano tuttavia Adrian Tobar Hernandez, cantante, uno screamer dalle buone qualità con i capelli che avevano i Destruction nelle photo session del 1987 – ossia davanti agli occhi fino alla più totale cecità – e il chitarrista Nils Tobias Ozzy Lindstrom. Nessun componente degli Eternal Evil ha un nome e cognome al di sotto dei cinquantacinque caratteri. Pensate che in passato avevano un batterista di nome Alphonse Bouquelon, che a Firenze tradurremmo volgarmente in bucaccione.

Su tutte menziono Funeral Prayers, apoteosi dello scapoccio, della velocità e di come combinare gli anni Ottanta alla musica estrema del decennio seguente. Il resto stavolta lo fanno un assolo alla Kerry King che, meglio di così, il rancoroso e pelatissimo chitarrista degli Slayer non l’avrebbe potuto dettare. A livello di melodie, a proposito di Slayer, c’è una tendenza ai richiami orrorifici tale e quale a quella che caratterizzava Hell Awaits. Signs of Ancient Sin è il brano che mi ha maggiormente ricordato questo aspetto, e un po’ tutte tendono a adottare certe soluzioni almeno in apertura. Un’altra è Desecration of Light, oscura e melodica nei primissimi secondi, un’autentica bordata speed metal un attimo più tardi. È la grande e neppure sgradevole contraddizione alla base dei gruppi odierni: suonano tedeschi, come ho detto in principio, ma magari hanno una base melodica spiccatamente americana che non li rende né carne né pesce, e ciò è dovuto naturalmente al fatto che di musica ne hanno ascoltata davvero tanta. All’epoca doveva essere come crescere in una campana di vetro, con i vicini di casa in cima alla lista delle influenze stilistiche.
Bel disco, anche quando alza il minutaggio come in The Astral Below e nella conclusiva The Cursed Trilogy. Come menzione finale aggiungerei che è uscito su Listenable Records, un’etichetta verso la quale ho sempre nutrito uno smisurato e profondo rispetto per l’aver abbinato grandi uscite con assoluta coerenza, anche al netto della loro divergenza stilistica. Hanno lanciato i migliori Soilwork agli esordi, i Theory in Practice, traghettato gli Immolation a metà carriera e rilanciato gli Incantation allorché parevano una questione fatta e finita. Che dimenticavo? Vaffanculo Amelie, che tu possa bruciare in eterno agli inferni con in mano quel cucchiaio di merda. (Marco Belardi)


Sono più buoni quelli alla vaniglia del Madagascar 😲🤣
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Grazie della segnalazione, appena avviata, che devo farmi la barba.
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ok tutto, ma Jeunet è un genio.
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