BULL ELEPHANT – The Long War
Il primo pezzo, Expansion from Perceived Reality, ha delle parti vocali che svariano tra il Robert Plant più d’antan, il Nick Holmes di Icon e il deathcore, e tutta la canzone è un continuo oscillare tra il rock anni ’70 (anche southern), il death metal fine anni ’80 (anche di stampo nordico: il disco lo produce Dan Swano, anche se non è stato registrato agli Unisound) salvo sparare tutto a mille verso il finale con un blast beat bello aggressivo che non esce comunque dai confini del death metal, con la voce che a questo punto diventa epica ed evocativa. Blackened Chaos Horizon è retta da assoli lancinanti incisi su partiture smaccatamente death’n’roll, con un cantato in linea. Scavallato un primo intermezzo di chitarra acustica, il disco ricomincia in crescendo con Berlin Falling, che parte melodica con un riff quasi alla Metallica sul quale si alternano growl e voci deathcore, poi spara a mille, poi ancora torna al rock lento e psichedelico anni ’70, quindi molla tutto, riprende, ritorna sempre un po’ lento, poi di nuovo un po’ veloce mentre la musica si fa più militaresca, bellicosa, quasi cinematografica. Come se fosse la colonna sonora di un film di guerra che culmina (ovviamente) con la disfatta dei cattivi e il trionfo dei buoni. Del resto le trame di questo tipo di film difficilmente si scostano da questi cliché. Ma va bene così, lo spettatore medio è quello che vuole ed è quello che ottiene.
Quando vi ho presentato i primi due episodi della trilogia degli inglesi Bull Elephant – tuttora completamente anonimi, visto che anche questa volta hanno spedito il CD (di nuovo in formato book 21 x 21 cm a 36 pagine con un riepilogo completo di tutta la trama della storia) senza mittente né recapiti, tra l’altro un buon mese prima dell’uscita ufficiale a metà novembre – vi avevo già detto che la loro musica è un vero casino. Un melting pot di cose completamente diverse che si amalgamano mirabilmente, grazie al loro estro e al loro stile compositivo che abbatte ogni tipo di barriera tra sottogeneri, di fatto concependone uno nuovo. Sono passati tre anni da Created from Death, e se da un lato la musica si è fatta più aggressiva (c’è parecchio più death metal, ma non tanto da soverchiare il resto) dall’altro lo è sensibilmente meno, grazie alla cospicua dose di chitarre non distorte e acustiche che non di rado si sdoppiano integrandosi alla perfezione.
C’è più rock, anche più heavy metal classico, più passaggi crepuscolari e meno violenti, ma gli arrangiamenti sono più fragorosi, più poderosi, più dolorosi e drammatici. Più coloriti, anche; più impressionisti, detto in termini pittorici. Nella lunghissima suite The Long War che dà il titolo al disco, a circa tre minuti e mezzo parte un lungo periodo thrash metal che sembra uscito da un disco dei Vio-Lence con tanto di cantato gracchiato stile Sean Killian (talmente uguale dall’avermi fatto pensare ad un’ospitata di lusso), preceduto da trame acustiche e seguito poi da musica marziale e maestosa di marcata influenza Paradise Lost mischiati con almeno altri cinque ingredienti, prog metal acido incluso. In tredici minuti ci mettono quasi tutto lo scibile musicale dell’heavy metal dalla sua nascita ad oggi (tranne come sempre il black metal, genere che hanno appena sfiorato nel debutto Bull Elephant e poi basta) e continuo a pensare che i componenti del gruppo siano tutta gente scafata con anni e anni di militanza nel metal che, per via della trama molto politicizzata di tutto il concept, non hanno voglia di avere troppi casini e di farsi riconoscere per strada. Forse pensano che qualche neonazi possa andare ad incendiargli casa.
Resta il fatto che il disco è vario, coinvolgente, scritto e suonato benissimo, con menzione per gli assoli di chitarra, spesso impostati “a cavalcata”: non diluvi di note alla Petrucci, ma con un’impronta più progressive rock anche mentre i riff infuriano. I brani più belli sono il primo e l’ultimo; ci sono due interludi brevi messi strategicamente come a far sembrare che la scaletta abbia una struttura palindroma, e a mio parere è così che l’hanno concepita. Un’accuratezza non da poco, tutti i dettagli studiati nei minimi particolari. Del resto chi si lancia in opere così complesse come trilogie basate su storie fantastiche – a loro dire ispirate sia da Lovecraft che da Spielberg – se non vuole fare un pasticcio deve avere esattamente chiaro cosa vuole fare e come, e questa maestria ai Bull Elephant non difetta. Rimane da vedere se il progetto avrà un seguito, cosa della quale io dubito fortemente. The Long War è il capitolo conclusivo della storia dell’elefante riportato in vita dai nazisti per vincere la guerra, poi le cose sono andate in vacca come logica vuole e ora che la guerra l’hanno vinta i buoni gli eserciti si disperdono e non ha alcun senso prolungarne l’esistenza. Quel che sarà, i tre dischi dei Bull Elephant sono un’eccellente dimostrazione che in giro gente che sa suonare Metallo Pesante con le palle ce n’è ancora tanta. (Griffar)




Aspettavo questa recensione! Da quello che scrivi e dal primo brano, direi che sono andati ancora oltre nel loro melting pot musicale, ma sempre con un progetto ben chiaro in mente. Sempre più contento di aver preordinato il cd.
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