Avere vent’anni: MORBID ANGEL – Heretic

Heretic è l’ultimo dei sette dischi storici dei Morbid Angel, quello con cui chiusero idealmente il proprio ciclo vitale salvo poi tornare dopo otto anni con il famigerato Illud Divinum Insanus e, qualche tempo dopo, col rassicurante Kingdoms Disdained. Il disco non partiva con le migliori premesse. Dopo Gateways to Annihilation se n’erano andati prima Erik Rutan e poi Steve Tucker, lasciando Azagthoth da solo insieme al fido Sandoval. In qualche modo però Tucker era stato convinto a tornare, mettendo una pezza a quella che sarebbe stata una perdita probabilmente incolmabile. Ed Heretic ci regala forse la migliore prestazione in assoluto del cantante/bassista, ormai perfettamente a proprio agio nei panni di cantante dei Morbid Angel, con tutto quello che ciò comporta: qui Tucker sforna una prestazione assai personale e molto più sicura delle proprie capacità, distaccandosi così dall’antica nomea di normale cantante death metal che l’aveva messo concettualmente in contrasto con David Vincent, che di normale non aveva proprio nulla.

Con una produzione non più opera dei Morrisound ma dei DOW Studios di Juan Gonzalez (già dietro alla consolle per, tra gli altri, Hate Eternal, Karl Sanders e Terrorizer), il suono di Heretic è tremendo. Pastoso, confusionario, incasinato, a volte sconfinante nella cacofonia pura. A subirne le conseguenze sono tutti e tre gli strumenti: in primis gli assoli di Trey, che a seconda del modo in cui ci si approccia al disco sembrano venire da un’altra dimensione oppure, più semplicemente, da una cantina allagata; poi la batteria di Sandoval, la cui solita prestazione inumana è indebolita dal suono troppo artificiale, specialmente per quanto riguarda la grancassa; e infine il basso di Tucker, che proprio non si sente. Se questo da un lato tende ad affossare i pezzi presi come singoli episodi, dall’altro contribuisce a rafforzare l’alone maligno di cui l’album è avviluppato, dando una sensazione di indeterminatezza, confondendo i confini delle tracce e rendendo Heretic un disco da ascoltare tutto d’un fiato. E così, se Formulas Fatal to the Flesh era un all killer – no filler, con una successione di pezzi di autonoma dignità, Heretic sposta ancora di più l’asticella della morbosità rispetto a Gateways to Annihilation, nel quale si percepiva quasi fisicamente la malvagità aliena dei blasfemi Dèi delle Sfere Esterne.

Nonostante il disco sia interpretabile come un blocco unico di atmosfere maligne, ci sono due pezzi che spiccano sugli altri: Enshrined by Grace e Stricken Arise. Il primo, peraltro mia suoneria del telefono per un certo periodo di tempo, è una specie di inno generazionale, la cosa più vicina al pezzo corale da cantare con la birra in mano ai festival estivi, con quel ritornello da intonare gonfiando il petto e quel riffone pazzesco di Trey. Il secondo, composto da Pete Sandoval, è un assalto furioso a tratti black metal, tutto cantato in screaming, che non dà tregua e non si perde troppo in dettagli; la lunga parte centrale pare una battuta d’arresto che gira intorno a sé stessa senza andare da nessuna parte, e forse lo è, ma si dimostra funzionale a dare maggiore spinta alla barbarica accelerazione finale. Discorso a parte per le solite strumentali “ritualistiche” e soprattutto per i soliti cazzeggi in conclusione di album, che alla luce degli ultimi sviluppi di cronaca possiamo considerare un sintomo della testa matta di Trey Azagthoth. Alla fine però si finisce semplicemente per non considerarli e fare finta che non esistano.

Detto ciò, per me Heretic è il meno bello dei tre album con Steve Tucker alla voce, ma poco male, perché ho un’opinione davvero alta degli altri due. Rimane comunque l’ultima testimonianza dei veri Morbid Angel, il disco con cui raggiunsero il limite della loro follia riuscendo a mantenere ancora un barlume di lucidità. Quello che è avvenuto dopo è una farsa che un gruppo così enorme non si meritava. (barg)

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