La lista della spesa di Griffar: END, DUELLISTE
Dopo essere stati in Oregon e in Spagna nello scorso articolo, torniamo qui in Italia per il progetto parallelo di Paul dei comaschi Evilspell denominato END (viste le troppe omonimie anche Paul’s End) che dopo il debutto eponimo del 2019 concede un seguito intitolato Hunter, nove brani per una durata di circa 41 minuti. Black metal vecchio stile, di quello diretto, senza tanti lustrini, che va dritto al punto trascurando volutamente ogni orpello, barocchismo o abbellimento di sorta. Molto primi Mayhem, ma rimanendo in Norvegia trovo discreti punti di contatto con quanto proposto da Urgehal e Tsjuder, nel primo caso per la vena thrasheggiante, nel secondo per l’abilità di comporre pezzi che sembrano apparentemente semplici ma che, ad un ascolto approfondito, rivelano parecchio studio a tavolino e parecchia pratica. I brani sono tutti schietti, strutturati in modo lineare con riff in tremolo picking vecchia scuola e al massimo due tracce di chitarra armonizzate, basso e batteria tritacarne che passano con spettacolare disinvoltura dal blast beat al ritmato al thrash senza alcun intoppo o imprecisione. Necessariamente inutile ribadirlo, ma se si cerca originalità non è questo il luogo ove perlustrare. Se invece si vuole godere di una manciata di brani che emergono prepotenti da un passato che (almeno in questo caso fortunatamente) non passa mai, il disco vale tutto il tempo che gli dedicherete.
Per chiudere il cerchio ritorniamo a un raw black metal serio, polverizzatore e devastante, influenzato parecchio dai primi Darkthrone; allo stesso tempo, però, essendo i DUELLISTE francesi, il loro ineluttabile destino è ritornare nei paraggi della loro scena primi anni ’90, le Black Legions e via andare. Nel loro debutto, semplicemente intitolato Demo (del quale esistono anche copie in cassetta per mano dell’etichetta nostrana Canti Eretici, 7 brani più intro per 28 minuti effettivi), il ragazzo dal pittoresco nomignolo Carcasse Enchaînée, che si occupa della stesura di tutti i pezzi e di suonare tutti gli strumenti (mostrando qualche lacuna alla batteria, specialmente nelle parti veloci), ci mette tutto l’impegno possibile per offrire musica malvagia che possa essere apprezzata da chi adora gruppi come Seth (rimanendo però distantissimo dai fenomenali conterranei, soprattutto per via della produzione artigianale, perché sul piano squisitamente compositivo le idee ci sono eccome) mentre se si scende di un paio di piani nell’underground i Belketre vengono spesso rievocati con una certa frequenza. Interessante l’uso costante delle tastiere anche in fase ritmica, non soltanto come riempitivo o stacco atmosferico: lo strumento è parte integrante di ogni pezzo e non viene mai meno durante tutto l’album. Parzialmente influenzate dal dungeon synth, queste tastiere rendono i pezzi più tetri e oscuri di quanto sarebbe occorso in loro mancanza, donando a tutta l’opera un indiscutibile fascino al quale spero verrà riconosciuta giusta gloria. È già uscito anche un altro titolo, Demo II, per ora solo in digitale; devo ascoltarlo meglio appena riesco ma ad un primo approccio mi pare molto simile a questo debutto. Quindi materiale di tutto rispetto.
Altre cose (s)piacevoli in arrivo, stay tuned! (Griffar)
