The Politics of Metal Skunk #5: è ora di ripopolare le piazze di metallari
Non ci si sofferma mai a dovere su quanto sia importante il concetto di ripopolamento. Il metallaro ha un’età media che supera i quarant’anni, il che colloca la categoria entro un target di consumatore dotato di una buona capacità di spesa. Non più un ragazzino che dipende in tutto e per tutto dalle paghette settimanali o dai risparmi faticosamente accumulati consegnando capricciose con lo scooter; il metallaro è con buona probabilità un ben avviato lavoratore, e ciò lo avvicina ai costosi articoli da collezionismo. Vinili, modelli storici di walkman Sony fedelmente riprodotti, dopobarba dei Melvins. Niente di tutto questo sfuggirà ai più pretenziosi desideri del metallaro quarantenne spendaccione. Niente di tutto questo l’avrebbe comperato a venticinque anni, se ci pensate; tranne il walkman, per il semplice fatto che non costava niente. Il metallaro quarantenne è una macchina cacagettoni, ma non lo è per molto.
Entra ora in gioco la pesca sportiva, come in ogni mio articolo.
La domenica mattina il pescatore dilettante si reca al laghetto artificiale a catturare trote iridee assieme al figlioletto di nove anni. Ha pagato, e la logica dello spettacolo impone che chiunque abbia pagato debba goderne. Per quanto le sue abilità siano scarse, il gestore del laghetto a un certo punto della mattinata ripopolerà le acque del suo stabilimento salendo su un piccolo scafo a motore con un secchio di colore blu, e scaricherà, a centro lago, un quantitativo di trote iridee calcolato in base al numero dei presenti. Le trote iridee con cui ripopolerà il lago sono state precedentemente mantenute in una vasca adiacente il lago, affamate per giorni, e non solo si lanceranno con scarsa sagacia sugli inneschi a base di camole del miele, ma metteranno in competizione alimentare tutte quelle che già nuotavano nelle stesse acque. Altrimenti chi avrà pagato non potrà goderne; ma non solo, non continuerà a pagare, negando con ciò il funzionamento e la sopravvivenza dell’attività stessa.
Una volta che i metallari avranno un’età media di sessant’anni poco importa se terranno tanti di quei quattrini da parte da poterli schifare. A quell’ora vorranno davvero vedersi un concerto in streaming, una soluzione su cui abbiamo rancorosamente sputato a ridosso della pandemia globale. Poco importa se il prezzo per un posto nel pit sarà salito a settecento euro, diritti di prevendita esclusi. Non ci sarà più nessuno nell’arena, fino a pochi anni prima popolata da quarantenni e cinquantenni. E allora il gestore di tutta la baracca dovrà fare una sola cosa: ripopolare.
Sarà proprio come in Jurassic Park. Da un’ambra contenente sequenze parziali del DNA di uno di noi si estrarrà quanto occorrente a rigenerare una generazione di giovani metallari. Cresciuti in provetta, i novizi metallari gattoneranno, pronunceranno le prime parole, frequenteranno l’asilo nido e la materna, finché un giorno, divenuti adolescenti, gli scienziati che si saranno adoperati al compimento del progetto osserveranno in silenzio i risultati ottenuti con anni di investimenti e sudati sforzi.
O magari sarà come in un partito politico. Si spingerà per radunarsi nelle piazze, divulgando un verbo che da grintoso si è fatto accorato. Si suonerà ai campanelli come gli iscritti di Lotta Comunista, individuando i diciottenni e regalando loro le t-shirt da indossare affinché quei loghi e quei moniker li incuriosiscano e li istighino ad aprire Spotify e far partire quei titoli a un volume perlomeno degno. Si farà passaparola nei bar, locali, luoghi di lavoro. Saranno indette assemblee, attivi provinciali, ore di sciopero. Trasferte col pullman rigorosamente a Bologna con sosta all’Autogrill di Aglio.
Finché un giorno ci sveglieremo e comprenderemo che la logica del duro lavoro impone che chiunque abbia duramente sgobbato debba uscirne retribuito e fortificato. Ovunque, in giro, osserveremo i nuovi metallari, fieri, vigorosi e numerosi, con indosso i nostri indumenti. Sarà come incontrare dei figli un tempo disconosciuti e poterli scusare, ringraziare, abbracciare.
O forse no, forse qualcosa sarà andato storto. (Marco Belardi)
La domenica mattina il pescatore dilettante si reca al laghetto artificiale a catturare trote iridee assieme al figlioletto di nove anni. Ha pagato, e la logica dello spettacolo impone che chiunque abbia pagato debba goderne. Per quanto le sue abilità siano scarse, il gestore del laghetto a un certo punto della mattinata ripopolerà le acque del suo stabilimento salendo su un piccolo scafo a motore con un secchio di colore blu, e scaricherà, a centro lago, un quantitativo di trote iridee calcolato in base al numero dei presenti. Le trote iridee con cui ripopolerà il lago sono state precedentemente mantenute in una vasca adiacente il lago, affamate per giorni, e non solo si lanceranno con scarsa sagacia sugli inneschi a base di camole del miele, ma metteranno in competizione alimentare tutte quelle che già nuotavano nelle stesse acque. Altrimenti chi avrà pagato non potrà goderne; ma non solo, non continuerà a pagare, negando con ciò il funzionamento e la sopravvivenza dell’attività stessa.
Una volta che i metallari avranno un’età media di sessant’anni poco importa se terranno tanti di quei quattrini da parte da poterli schifare. A quell’ora vorranno davvero vedersi un concerto in streaming, una soluzione su cui abbiamo rancorosamente sputato a ridosso della pandemia globale. Poco importa se il prezzo per un posto nel pit sarà salito a settecento euro, diritti di prevendita esclusi. Non ci sarà più nessuno nell’arena, fino a pochi anni prima popolata da quarantenni e cinquantenni. E allora il gestore di tutta la baracca dovrà fare una sola cosa: ripopolare.
Sarà proprio come in Jurassic Park. Da un’ambra contenente sequenze parziali del DNA di uno di noi si estrarrà quanto occorrente a rigenerare una generazione di giovani metallari. Cresciuti in provetta, i novizi metallari gattoneranno, pronunceranno le prime parole, frequenteranno l’asilo nido e la materna, finché un giorno, divenuti adolescenti, gli scienziati che si saranno adoperati al compimento del progetto osserveranno in silenzio i risultati ottenuti con anni di investimenti e sudati sforzi.
O magari sarà come in un partito politico. Si spingerà per radunarsi nelle piazze, divulgando un verbo che da grintoso si è fatto accorato. Si suonerà ai campanelli come gli iscritti di Lotta Comunista, individuando i diciottenni e regalando loro le t-shirt da indossare affinché quei loghi e quei moniker li incuriosiscano e li istighino ad aprire Spotify e far partire quei titoli a un volume perlomeno degno. Si farà passaparola nei bar, locali, luoghi di lavoro. Saranno indette assemblee, attivi provinciali, ore di sciopero. Trasferte col pullman rigorosamente a Bologna con sosta all’Autogrill di Aglio.
Finché un giorno ci sveglieremo e comprenderemo che la logica del duro lavoro impone che chiunque abbia duramente sgobbato debba uscirne retribuito e fortificato. Ovunque, in giro, osserveremo i nuovi metallari, fieri, vigorosi e numerosi, con indosso i nostri indumenti. Sarà come incontrare dei figli un tempo disconosciuti e poterli scusare, ringraziare, abbracciare.
O forse no, forse qualcosa sarà andato storto. (Marco Belardi)

“Everything dies”, come diceva quello. Che diceva pure che “Everyone I love is dead”. Ne sapeva mica male, quello.
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amen
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C’era anche chi cantava “I kill everything I fuck” . Pure lui ne sapeva qualcosa.
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C’era pure quello che cantava “All my friends are dead”, al punto che pure lui ha seguito l’esempio alla lettera
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Oh, ma Blog di donne belle?
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Metallaro quarantenne benestante
e spendaccione?
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forse sono l’unico che pensa che debba ascoltarlo solo chi ne è degno (anche passivamente parlando)
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