Nei calzoni dei PERIPHERY c’è una grossa protuberanza

Arrivano addirittura a dedicargli il titolo di un album, quasi fosse l’ingrediente segreto che hanno imparato a manovrare con quel grado di perizia che in pochi possono vantare. Djent is not a genre. Una tonnellata di spocchia di fila al numero in romano V, cinque, anche se di album ne hanno fatto qualcuno in più. Ma quale ingrediente segreto, Periphery? Suonate solo la più grande rottura di coglioni del nuovo millennio. E finirà anche questa, ma per il momento, a quanto pare, dobbiamo tenercela.
Ve la racconto io una storia su un ingrediente segreto, ma dovrò adoperare nomi – seppur toscani – fasulli o mi sarà impossibile farlo.
All’epoca in cui uscivo con una compagnia di ragazzi e ragazze, qua in zona, c’era questa fanciulla che chiamerò la Sarina che garbava in pratica a tutti. Nessuno ce l’aveva fatta con la Sarina, di cui si diceva insistentemente fosse lesbica. Le voci giravano e i comportamenti lo confermavano; e lei, oltre a non negarlo affatto, pareva bearsi di rimanere sotto a una cortina di segretezza e curiosità. Ognuno ci aveva provato almeno una volta con la Sarina.
Finché non si presentarono alla compagnia due vecchie glorie del calcio dilettantistico scandiccese, i fratelli Nardi. Il più giovane dei due era un bel ragazzotto, rampante e dal capello pettinato. La sua fama di piacione spigliato con l’altro sesso l’indusse a fare il frettoloso con la Sarina, al che ricevette lo stesso trattamento avuto da noi altri. Non fraintendetemi: non che lei se la tirasse, anzi avrebbe accettato ogni richiesta d’uscire, salvo poi chiarire che si era amici e inondare il malcapitato di discorsi di cui, a quel punto, non fregava più niente ad anima viva. Ma il fallimento del Nardi in un qualche modo ci sconvolse e mise nero su bianco che le dicerie sull’orientamento sessuale della Sarina trovavano ora un riscontro ufficiale.
Il Nardi anziano, mio coetaneo, aveva però una storia da raccontare e un segreto di cui eravamo tutti al corrente.
Mio compagno di squadra nel settore giovanile di una formazione locale, il Nardi anziano si diceva non fosse una gran furberia; un po’ per i maldestri interventi da centrale difensivo, un po’ perché un giorno entrò in campo coi pantaloni della tuta con entrambe le gambe infilate nello stesso gambale, percorrendo in codesta maniera passi non più lunghi di una ventina di centimetri. Era inoltre un ragazzo moderatamente brutto, anche se non aveva difetti estetici palesi.
Ma c’era una cosa che, per motivi che potete immaginare, di lui ci spaventava tutti: l’ora della doccia. Il suo comparire sotto l’acqua a insaponarsi faceva sì che terzini e mediani, fantasisti e centravanti, e perfino il capitano, scomparissero all’unisono. Finché un giorno egli decise, presumo di comune accordo con la famiglia (“babbo, vanno via tutti”), che avrebbe lasciato il campo sportivo subito dopo la conclusione degli allenamenti e fatto la doccia a casa sua, poco distante. Perché rischiare d’ammalarsi, in un ventoso e gelido febbraio?
Una volta cresciuto, il Nardi anziano era conoscente di molti di noi eppure amico intimo di pochissimi. Di poche parole, avevamo capito che fra i luoghi che prediligeva frequentare vi era la Piscina Comunale Costoli, per nulla lontana dallo stadio Artemio Franchi.
Era imbarazzante parlarci in piscina. Per lo stesso motivo per cui scomparì dalle docce al campo d’allenamento, scelse ogni volta il costume a boxer al posto dello slip classico a mutanda. A inquietarci era lo sguardo dei passanti, che ricadeva ogni volta sui boxer del Nardi e finiva subito dopo su di noi, interlocutori del medesimo, come per dirci “ah sì, eh? birichino di merda che un tu sei altro”. Aldilà del fatto che mi garbassero le donne, si trattava di parlare di calcio o di quanti pochi pub avesse Scandicci con un tale che nei boxer celava una mostruosa protuberanza che puntava fiera al fianco sinistro per poi scendere lungo la gamba. Era come se sui boxer avesse disegnato un tragitto di Google Maps non indicato da una freccia, ma da altro.
Il Nardi anziano, nel momento in cui giunse in compagnia, seguitò a mantenere l’atteggiamento di basso profilo che aveva sempre avuto, un indelebile marchio di fabbrica per il quale già l’ammiravamo. La croce e delizia che portava nelle mutande non era mai lui stesso a citarla, col fare sbruffone o con le facce paonazze di chi si sta vergognando. Era come se quella cosa non esistesse affatto.
Tanto lui teneva un basso profilo, tanto le donne discorrevano nell’ombra di argomenti oscuri e ignoti, e fra queste la Sarina. Un giorno all’apparenza eguale agli altri, la Sarina gli si avvicinò e sussurrò ciao seguito dal nome di persona del Nardi. Pochi passi più in là il fratello minore, vestito come un paninaro altezzoso, gorgogliava rancore in fondo alle tonsille e imparava come va il mondo appoggiato al suo scooter. Un Phantom Malaguti.
Ripercorremmo ogni ciao detto dalla Sarina a ognuno di noi. Questo ci era in effetti parso differente.
Passarono dei giorni.
Un capannello di maschi chiacchiericciava all’ombra d’un pino, in piedi, poco oltre una panchina smerdata dai passeri migratori. Era chiaro che l’argomento fossero le donne; le migliori della compagnia, le più ambite, le più proibitive; chissà se con una in particolare ci sarebbe voluto un ingrediente segreto, che so, i soldi. Ma no, il Nardi più giovane li ostentava e non era il solo lì dentro a condurre una vita agiata per via delle spalle coperte dalla famiglia. I suoi soldi e quelli di altri borghesotti sulla ventina non ebbero alcun effetto sulla pur rileccata e ben vestita Sarina. Arrivò il Nardi anziano ed occhi e domande, dato l’argomento in corso, furono per un attimo tutti per lui.
“Allora grande?”
“Allora bomber?”
“Che combini?”
“Batistuta si stava giusto parlando di te, chi meglio del Nardi eh raga?”
Fu freddo come il ghiaccio, come se avesse appena messo a segno un ennesimo tassello di una routine che quasi cominciava ad annoiarlo; gli occhi rimasero spenti, il tono di voce pacato, e disse a un branco di coglioni ammutoliti:
“E comunque a titolo informativo l’altra sera mi sono sfondato la Sarina” (Marco Belardi)
Non c’è cosa piu divina, che sfondarsi la Sarina 😉
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