Ommini da vienì, sete futtuti: ARDECORE – 996: Le Canzoni di G.G. Belli Vol. 1 & 2

Ma allora cos’è questa Roma che quando ne sei lontano ti manca come fosse una parte di te, che t’hanno portato via? Non è la stessa da cui pianifichi di scappare non appena attraversi il raccordo? E poi: riuscirò a fare un pezzo praticamente su Roma senza sparlare di Milano, come faccio di solito? Ascoltare gli Ardecore pone interrogativi, come sempre, sul rapporto con la Capitale del Bene e del Male, prima ancora che sulla musica. Manco sapevo fosse finalmente uscita la raccolta di sonetti di Belli messi in musica. Felici ne parlava già da un bel po’ ma me ne ero bello che scordato, con l’attività degli Ardecore piuttosto dilatata e un percorso che, almeno prima di Vecchia Roma, pareva andare avanti per altre strade ed altre ambizioni. Seguirli li si seguiva sempre, anche perché all’esordio gli Ardecore (all’epoca quasi fraintesi per un side project degli Zu e invece il motore era sempre, essenzialmente, Giampaolo Felici), ricordiamocelo, ci hanno regalato una cosa tanto preziosa. Soprattutto per chi con Roma ha un legame indelebile. Per tutti gli altri, un esempio, come minimo. Però un’operazione così a Roma riesce diversamente. Se a metterci mano è ggente che ce mette ‘r core. Questo il caso. Insomma, vi dico la mia: lo so che l’esordio è uno di quei dischi veramente cari, preziosi, ma stavolta è come se avessero raggiunto, se non l’apice, per lo meno il risultato più vero e necessario che potessero perseguire. Il compimento di una missione, un risultato ancora più personale. Insomma, riarrangiare grandissime canzoni popolari ed interpretarle come hanno saputo fare è una cosa (grande), riprendere trentotto sonetti di Belli, scriverne pezzi bellissimi con trentotto arrangiamenti quasi tutti perfetti, beh, è qualcosa di più.

Non sono un esperto dell’opera di Belli, cantore di Roma ma più ancora della condizione umana, ma se volete approfondire sappiate che Felici e i suoi “in formazione” hanno stavolta anche un accademico, Marcello Teodonio, che ha curato l’edizione completa dei sonetti del Belli e qui offre un supporto filologico e l’introduzione al libro che accompagna i due dischi. Questo, per dire, la serietà. Ché rappresentare l’anima Roma non è una cosa banale. O meglio, lo è se ti accontenti di metterti al livello di personaggi televisivi che ostentano solo l’accento della Capitale. Roma si vende bene, in questo periodo storico, Jeeg Robot, Romanzo Criminale, le commediole borghesi e via così. Finalmente i toscani che hanno devastato l’Italia sono stati messi da parte. Bene, famose du’ risate. Ma Roma è un po’ più profonda di così. E più viscerale. Ha visto passare imperatori e lanzichenecchi, papi e dittatori, palazzinari, mafiosi. E quando le telecamere si riporteranno su Milano o da qualche altra parte, lasceranno pure le sponde del Tevere, ma lì rimarranno gli stessi problemi, gli stessi da sempre (consigliatissimo I Bassifondi dell’Antichità di Catherine Salles). Sempre sotto gli occhi sarcastici e dissacranti di chi da Roma non si schioda (quindi non i miei, detto senza vanto né senso di colpa). Quando Roma si bloccò per cinque centimetri scarsi di neve, con un sindaco piagnucolante e giornalisti indignati, ero a Santa Maria Maggiore, al negozio dove compravo accessori per la macchina fotografica. Il vecchio fotografo, un’ottantina d’anni, esce sulla soglia del negozio e dice: “è frascica, n’attacca mica“. Roma si bloccava come fosse arrivata una tempesta siberiana, sui giornali non si parlava d’altro che del fallimento di una capitale gigante e paludosa, ma la realtà era davvero più misera di come la dipingevano, agli occhi cinici e disincantati di chi ha visto passare i barbari già un milione di volte.

Però parliamo di musica, dai, che ce n’è tanta sui due cd di 996 – Le canzoni di G.G. Belli Vol. 1 & 2. Dicevo, forse il meglio tirato fuori dagli Ardecore, ad oggi, pure considerando quell’esordio. Insomma, Belli ci ha messo il senso e la metrica. Canovaccio su cui Felici e i suoi tirano fuori però canzoni personali e memorabili, praticamente tutte compiute, riuscite. C’è tantissimo folk, chiaro, sia quello neo, funebre, apocalittico, di episodi come le cupissime Campo Vaccino e La Strega, sia quello più tarantolato, da festa (ma non per questo più solare) come ne Er Cimiterio De La Morte (la migliore del lotto). Ci sono pulsioni sporche garage punk-folk e pure un po’ zingare (Er Zagrifizzio d’Abbramo, roba scura e disperata come i Movie Star Junkies). Ci sono in Uno Mejo dell’Antro i Queens of The Stone Age romanizzati a suon di kazoo (e per favore non tirate fuori Latte e Derivati che me fate ride). Splendida. C’è tanto vento western, un po’ Lanegan (diversa roba, tipo La Mmaledizzione, starebbe bene in un Field Songs), un po’ Leone/Morricone. Che in fondo pure Leone ha messo in scena praticamente sempre Roma stessa (le Fosse Ardeatine in Giù la Testa, facile, ma pensate pure al dialogo da borgata tra Tuco e suo fratello Pablo). C’è un contatto manco tanto labile con la parte più malinconica del cantautorato romano, certo De Gregori del passato, certo Sinigallia di oggi, per lo meno in certi arrangiamenti lunari. E appunto da qui a sconfinare in certo prog atmosferico nostrano ci vuole poco. Così ecco La Creazzione der Monno e La Fin der Monno, Li Manfroditi (attualissima), fra le migliori, zeppe di idee e synth. Poi, ovviamente, stornelli, qualche sparagnata. Anche un paio di forzature, secondo me, che non vale però la pena evidenziare, in fondo. Perché, ve lo dico io, questo è forse il meglio degli Ardecore da sempre. E se a Belli si deve tanto e il regista ed interprete è sempre Felici, è pur sempre un lavoro corale, una specie di desert session tiberina, in cui stavolta si ritrovano ancora Geoff Farina e Jacopo Battaglia, ma pure Giulio Ragno Favero, Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion, Gianluca Ferrante. Torna Scarful all’artwork e ci mette la maschera e la voce su due pezzi Davide Toffolo che produce con La Tempesta Dischi. Tanta gente, insomma. Non tutti de Roma, ma ci mettono tutti il loro. Ed il risultato è un suono e una manciata di canzoni che raccontano di Roma e della vita quotidiana di qualsiasi povero cristo che è anche solo passato di là. (Lorenzo Centini)

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