Una recensione di FEAR INOCULUM ancora più lunga e pesante del disco

C’è un apice per tutti: i Tool ci sono arrivati con Aenima, per poi continuare la propria esistenza in fase calante, anche se in un primo momento in maniera così impercettibile da farci credere che stessero ancora lievitando di spessore. È il livello della loro musica che rimane e rimarrà altissimo, sempre. Il genio sta nel saper trattenere, all’interno di un qualcosa di molto complesso, quella capacità di acchiapparti alla prima, o volendo anche alla quarta, che permetterà alla musica di rimanerti dentro. Quest’aspetto è un po’ come se si fosse spostato a piccole dosi negli A Perfect Circle, ma direi non del tutto, dato che pure loro quando decidono di sfibrarti le palle ci riescono con innata serietà.

Fear Inoculum ha già vinto su di voi perché vi siete comprati l’edizione limitata da settanta, quasi ottanta euro, comprendente una cinquantina di libretti, depliant dei Testimoni di Geova, un minuscolo schermo HD che trasmette immagini allucinogene al fianco di casse che ne riproducono l’opinabile traccia extra; e poi non dimentichiamoci che ci sono il cd, la possibilità supplementare di scaricarne una versione digitale, guide turistiche del centro di Ponsacco oltre ad un supporto per montare la panna, ed alla action figure del Messicano, che potrete far combattere insieme a quella di Adam Jones in scontri semplicemente titanici. Tolto quest’aspetto annichilente, e tolti i tredici anni di attesa con relativi annunci e controannunci del caso – oltre ai redivivi A Perfect Circle – che cosa rimane di Fear Inoculum? Dico, di concreto.

È un bel po’ che me lo ascolto, e quello che davo per scontato, purtroppo, non è avvenuto: Fear Inoculum non ne vuole sapere di crescere, è rimasto più o meno lì dov’era. Se già Aenima presentava metà dei difetti attribuibili ai Tool odierni, in quell’occasione il limite di sopportazione non se l’erano proprio sentita di superarlo. Oppure al momento gli mancavano i mezzi, l’intelletto e la vecchiaia, oltre al vino di Maynard. Proprio lui, sempre in forma smagliante dato che pure qua sussurra e poi di seguito sbotta come fosse una Carmen Consoli posseduta dal Diavolo. A Fear Inoculum, nella sua ridondanza di concetti, pattern, musica e materiale, mancano molte cose. È di cose come Undertow che potei godere senza ripensarci nemmeno mezza volta, ed è di cose come Lateralus che mi rammarico, perché da quel punto in poi capii che l’aspetto funzionale dei Tool l’avrei visto gradualmente svanire. Figuriamoci dopo una pausa del genere.

Il nuovo, attesissimo album dei Tool è una sorta di paradosso: è tutto quanto molto bello, la musica così come la produzione, la clamorosa prova offerta dal solito Danny Carey e perfino la somiglianza sempre più netta tra Justin Chancellor e Rick Grimes. In parallelo si possono prendere le canzoni una ad una e queste ti presenteranno più o meno le medesime caratteristiche: intro dilatate, durata compresa tra dieci e quindici giri di lancetta ed una sensazione di crescendo che esplode in un paio di minuti di totale goduria, dopo la quale si spegneranno nuovamente le luci e non accadrà nuovamente un bel niente. Il problema dei Tool è che – pausa a parte, che un minimo di ruggine può anche portarla – questi tizi qua sono dei fenomeni a cui piace suonare ai limiti del porno tutto quel che suonano. Ed è questo aspetto a spingerli ad arricchire ogni brano con parti che, alla canzone stessa, semplicemente non servivano. Ad esempio l’intro di Pneuma, cristo, tagliatelo via quel minuto e mezzo. Anche Descending inizia con un minuto e mezzo preciso che si poteva anche sforbiciare, e in un certo senso, qua dentro, perfino brani ideologicamente opposti troveranno il modo di assomigliarsi.

Invincible ci mette oltre sei minuti per concederti quelle quattro sublimi note poste una in fila all’altra; dopodiché i Tool tornano a jammare, riprendendo dal secondo capitolo un libro che ti sembrava di aver finito. Il giochino funziona molto meglio in 7empest, il brano più energico di tutta la lista, intermezzato da parti ai limiti dello stoner, ma che però si concede di ripartire come un treno con il particolare che alcuni pattern ritmici li riprenderà a sua volta – e dico pari pari – precisamente da Invincible. Questo per me è sinonimo di stanchezza, di riciclo. Nonostante tutto 7empest è la miglior canzone di Fear Inoculum subito dopo Pneuma, quest’ultima l’unica che – pur durando una dozzina di minuti – pare in grado di conservare la capacità di colpire con la semplicità tipica di altri tempi. Pneuma ha quella dolcezza, quell’eleganza prog, che i ritmi da mal di testa consolidati con Lateralus avevano tolto da sopra al tavolo. Lei ci rimette questo tipo di caratteristiche, ma è un po’ sola.

Scrivere buone canzoni è un imperativo non solo per i Tool, ma per chiunque. Laddove la struttura è articolata, se non addirittura confusionaria, le cose funzionano bene in Descending – onestamente un brano tanto oscuro quanto coinvolgente – e più che discretamente anche nel singolo apripista che dà il nome al disco, pezzo che inizialmente bollai come nella media un po’ frettolosamente e che invece conserva un discreto fascino. Culling Voices dal canto suo è insostenibile.

Il minutaggio medio di Fear Inoculum tende a nascondere i passaggi chiave delle sue canzoni, ed il ritorno di certi clichè di Lateralus – specie nelle chitarre di Adam Jones – e di 10.000 Days per l’atteggiamento tribale delle percussioni, non aiuta a lasciargli un’impronta sufficientemente definita. È semplicemente un album dei Tool, che non assomiglia in maniera diretta o esplicita a nessuno di questi due, ma che preferisco di poco al suo predecessore nonostante questo avesse due o tre pezzi decisamente forti, come The Pot o Vicarious. Sarebbe l’ora di cambiare qualche schema, spostare il tiro, variare le strutture, e stavolta i Tool hanno imbastito un qualcosa che al primo o secondo ascolto sentivo d’avere già inquadrato: Aenima col cazzo che l’ho inquadrato subito, al limite mi ero imparato a memoria Stinkfist in un pomeriggio. È come se in quest’occasione avessi metabolizzato tutto un po’ subito e io dai Tool pretendo molto di più, e con ciò non mi riferisco alla special edition il cui schermo HD finirà presto nel dimenticatoio, e vi assicuro che non ve ne farete un bel niente di tutta quella robaccia lì.

Il perfetto crossover fra Teo Teocoli e il mio terzo cane, Lemmy

Tornando all’album, ci sento troppa musica non in funzione della canzone, e come ho accennato sopra la canzone è la base di tutto anche quando deve durare un quarto d’ora. Che sia sensato quel quarto d’ora, cazzo, A Change Of Seasons lo è per ventitré minuti che rimetteresti da capo non appena finiscono, perché si aggrappa a un preciso filo logico anche mentre i Dream Theater ti sembrano sull’orlo del delirio. Con questo non voglio affermare che una roba gigantesca come i Tool dovrebbe attenersi al canonico strofa-ritornello seguito da strofa-ritornello e casomai da un assolo. Anche in una suite deve esserci fluidità, altrimenti dovremmo rimetterci a ragionare su chi sia l’effettivo destinatario di un prodotto del genere.

Si chiude così il quinto capitolo del più grande reparto psichiatrico al mondo. Un gruppo, insisto, che potrebbe fare molto meglio di così, e più difficilmente di peggio. Difficile chiudere un occhio davanti ai roboanti risultati nelle classifiche mondiali, e, ipnosi di massa o no, dico che nel 1995 un disco del genere non avrebbe spostato una mezza nuvola dal cielo pur essendo lo stesso buon disco, megalomane e dispersivo, che Fear Inoculum è oggi. Per quanto sia impossibile definirlo brutto, le problematiche sono davvero un bel po’ e ormai questi qua non se le leveranno mai più di dosso. Vi lascio al centottantunesimo ascolto in attesa che possiate cogliere quel guizzo, quella sfumatura di grigio, ma attenti, che restando troppo tempo in attesa di Salò o le 120 giornate di Sodoma potrebbe uscir fuori qualche bella supercazzola da Amici Miei. Loro ce l’hanno per vizio. (Marco Belardi)

26 commenti

  • La frase finale è da Pulitzer! Sul disco: sono intorno al 6^-7^ ascolto e mi sento di condividere il timore che non cresca più molto con gli ascolti, come è invece lecito aspettarsi dai Tool. Se dovessi usare una parola per definirlo, direi RIDONDANTE. E poi a tratti siamo all’autocitazionismo spinto, con il riff di Jambi a metà di Invincible e il giro ipnotico di The Grudge in sottofondo a un certo punto di Culling Voices. La prova vocale non mi convince del tutto, mi sembra un po’ piatta e senza linee memorabili. Per il resto la band è in forma, soprattutto quella bestia di Carey, e comunque questo Fear Nto Culu finirà tranquillo nella mia top ten 2019, perché nonostante i difetti suona come deve suonare un disco dei Tool.

    Ah, col cazzo che ho comprato il formato fisico…vi saluta Kingdom Leaks.

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  • Belardi, capisco le tue ragioni ma non sono del tutto d’accordo. Del resto i Tool se ne fregano assolutamente di quello che possa pensare chiunque. Forse è troppo prolisso, forse non osa… da qui a dire che ia facile da inquadrare ce ne corre. Come pure dire che ci sono dei passaggi non funzionali alla canzone. Se fosse come dici tu non ti dovrebbe restare nulla alla fine dell’ascolto invece a me certi passaggi mi si piantano in testa e non se ne vanno e oggi giorno non mi capita quasi più. Per me rimane un disco di valore: che potessero osare di più è palese, ma restano di un altro pianeta secondo me alnche al lordo di tutti gli strumentali e gli intro di questo disco.

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  • non servivano certo 13 anni per farlo uscire, comunque 7empest rimane un pezzone..

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  • In 13 anni le persone cambiano. Pensa che quel che scrivi per me è applicabile ai loro precedenti album –e quindi era per me valido 13 anni fa–, mentre trovo questo lavoro assolutamente compatto e affatto auto-celebrativo.
    Poi io trovo la loro immagine coordinata semplicemente indecente da sempre, e ‘sto pack con schermino e casse gracchianti della limited è il punto più basso, e quindi più alto, del Tool Design. Ma sui pezzi di questi album, a Pneuma su tutti, nulla da dire: molto meno straccia-maroni di 10.000 days. Pneuma poi opera più commovente e matura della smielata e a tratti infantile Wings for Mary. Sono più grandi ora di allora i Tool. In tutti i sensi.

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  • “Questo sembra invece un film prima del montaggio finale, quando la vanità del regista troppo talentuoso gli fa credere di non poter scendere sotto le quattro ore. Poi arriva qualcuno e lavora di mannaia e bisturi. Ecco, questo è Fear Inoculum, una director’s cut esageratamente prolissa e innamorata di sé”.
    Qualcuno in rete ha scritto così. Belardi altrettanto, pur sottolineando al contempo qualcosa di importante. Ossia che questo disco non riesce ad essere brutto, pur provandoci ossessivamente. Troppo spesso si avvita in una prolissità stucchevole. C’è un collega che conosco, per esempio, che mi manda dei vocali di merda su WhatsApp che superano i 2 o 3 minuti. Ci provo ogni volta ad aprirli. E altrettanto pedissequamente bestemmio dio. Una persona che per dire una stronzata impiega il tempo della ricrescita del grigio della barba ha un problema serio. Anche perché costringe l’altro a buttare nel cesso il proprio tempo, di riflesso.
    Eppure, eppure….Da un altro punto di vista: quanto è provocatorio scrivere un disco vicino agli 80 minuti (in versione fisica) di questi tempi?
    Quanto è altrettanto, se non maggiormente, poco conforme ai tempi pubblicare un disco con un packaging spaventosamente elaborato?
    Marketing? O rovesciamento delle attuali leggi del marketing?
    I dati di vendita danno ragione alla band, pochi cazzi. Inutile sottolineare che nel 2006 avevano venduto in una settimana, solo in America, 570.000 copie e oggi poco meno di 300.000. Sempre solo negli States. Perché il dato va letto nel contesto attuale. Sono calati? Col cazzo. Oggi nessuno, ripeto nessuno vende un cazzo di niente a livello discografico. Le statistiche ormai si fanno con le visualizzazioni sul tubo. E loro piazzano 1 milione di copie sul globo terracqueo in 7 giorni. A 70 euri e rotti di media, diciamo. O giù di lì.
    E di questi fottuti 80 minuti a quasi un euro l’uno, te ne ricordi 40 e all’opposto ne butti 40 nel cesso della memoria a breve termine. Giocano con i contrari, cavalcano le antinomie, dividono e imperano. La grafica del cd è improntata nello stesso modo. Hanno comunque vinto loro, impattando la pochezza culturale dei nostri tempi. Pure quella che celebra i narcisismi. Questo disco ne è intriso. A metà.

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    • Andrew 'Old and Wise'

      Ok, si, va bene, ma la musica? Se sono tanto provocatori, perchè non provocare qualcosa anche con la musica? Perchè qui classe, abilità, intelligenza non mancano, ma i pezzi appaiono prolissi e ripetitivi, oltre che autocitazionisti. Metà dell’album si salva senza grossi problemi, ma l’altra metà suona come il classico secondo cd di bonus tracks abbastanza inutili. Almeno, al mio orecchio e al mio cervello suona così. In 13 anni si poteva fare di più? Ai posteri….

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  • Altra considerazione e mi levo dal cazzo. Promesso.
    C’è il disco strumentale, strutturato, chiuso di per sé dai 3/4 della band. E dall’altra parte, quasi come un organismo saprofita che interviene post mortem, Keenan.
    E si sente terribilmente questo diacronismo. Oltre agli anni che passano per un cantante sopra i 50 e perlopiù demotivato.

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  • Come al solito non condivido la tua opinione. Pero scrivi molto bene, quindi ti leggo volentieri!
    Per me é un disco davvero completo e molto psichedelico. Il lato espanso dell’”attrezzo”.

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  • A me annoiano, come l’intero genere. Vi leggo curioso.

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  • x me i Tool sono come i Gordian Knot, non fanno musica ma creano invece sculture sonore. Album immenso, anche se meno incazzato degli altri. Ne è valsa la pena di aspettare tredici luuuuuuuuuuuuunghi anni. Chiaro che non sono un gruppo per tutti. Naturalmente questa è solo la mia opinione, non una sacra verita’…

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  • Mah, io rimetto su questo:

    Venuti prima di tutto quanto e ancora oggi trovo raramente qualcuno che almeno segnali da dove han preso i tool almeno un 50% della loro ispirazione, e dove non han la forza di arrivare.

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  • Other band play, Manowar kill.

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  • Andrew 'Old and Wise'

    Mi permetto di condividere quasi in toto la recensione. Sono deluso dall’album.

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  • Andrew 'Old and Wise'

    Ovviamente l’album non è brutto, e roba da ascoltare ne contiene, per carità. ma culling voice proprio non la reggo, e fear inocolum non mi fa impazzire. diciamo che un lavoro a più basso minutaggio con pneuma, descending, invincible e 7empest mi avrebbe soddisfatto maggiormente

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  • Andrew 'Old and Wise'

    …magari tagliando qualche introduzione tediosa….

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  • Giorgio Proietti

    Ma non c’è li sentite siete tutti dei Mozart del cazzo . Questo che ha fatto la recensione andasse a lavorare sto imbecille

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  • C’è un apice per tutti: i Tool ci sono arrivati con Aenima, per poi continuare la propria esistenza in fase calante….
    Dopo questa frase di apertura mi era già venuta voglia di non leggere questa recensione , mi bastava per capire che chi scriveva non aveva ben a fuoco la produzione musicale dei tool, ma la curiosità ha preso il sopravvento e ho continuato a leggere, incredulo, nel constatare come una persona possa interpretare il lavoro di una band travisando platealmente la realtà, capisco i gusti personali ma ci sono dei fatti imprescindibili.
    Fidatevi, ve lo dico da musicista e stra appassionato di musica in generale ma soprattutto rock e metal, quest’album è un capolavoro assoluto, lo era se fosse uscito dieci anni fa e lo sarebbe se uscisse fra 20,la dedizione nel curare fin l’ultimo suono riff parte ritmica è encomiabile, il risultato sono 85 minuti di suoni travolgenti, avvolgenti, trascinanti. Alla fine vi sembreranno pochi, vorreste non finisse mai.

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    • compresi i 4 inutili intermezzi che allungano il brodo? ma ti rendi conto che li giustifichi e che li esalti pure? oh a me non dispiace per niente il disco eh, ma obliterare nella propria mente persino cose insensate come queste è da neuro

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      • Forse sei un analfabeta funzionale, e dunque non ho capito bene cosa mi vuoi dire,cmq va bene così, infondo c’è chi fa il critico musicale senza le orecchie.

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  • Andrew 'Old and Wise'

    ok, dunque, è capolavoro per forza. mi arrendo

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    • X forza proprio no,i gusti personali non li discuto come non dovresti farlo tu, ma chi recensisce deve farlo con cognizione di causa e preparazione non può scrivere così tanto per fare.
      Se per alcuni è un capolavoro tanto meglio non pensi, ma scrivere castronerie come l’inizio dell’articolo no, non si può.

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  • Mi sembra che questo album assecondi i pregiudizi di un po’ tutti, gli audiofili, gli appassionati del suonato bene, i fan cabalistici e numerologi lo troveranno geniale, chi li odia già da prima lo troverà pretestuoso, troppo lungo e onanistico.
    Io appartengo a quella schiera di disadattati per i quali i Tool hanno avuto un impatto devastante sul modo di fruire e intendere la musica, e quello che mi aspettavo prima di ascoltarlo è all’incirca quello che penso del disco cioè che è un buonissimo lavoro ma Undertow, Aenima e Lateralus sono proprio qualcosa d’altro.

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