YOB – ATMA (Profound Lore)

Tra tutte le svariate reunion degli ultimi anni non riesco a pensare a un’altra che abbia portato buoni frutti quanto quella degli YOB. Non solo tour validi ma anche due release di valore assoluto, segno evidente che l’avventura non si fosse ancora esaurita e che comunque la pietra tombale fosse stata posata in maniera quantomeno prematura.  Fin troppo ovvio poi che le ragioni che abbia una band del genere per riformarsi siano ben diverse da quelle degli Skunk Anansie (un nome a caso), la grana insomma non c’entra, monetariamente se la passavano male prima e non credo oggi navighino nell’oro (tra l’altro qualche tempo fa Mike Scheidt si vendeva pure una chitarra su Ebay). Già l’album del ritorno (The Great Cessation, 2009) mostrava una band dalle risorse intatte e la relativa title-track è forse uno dei pezzi più belli dell’ultimo lustro, solo due anni dopo il trio si riconferma e forse si supera. Formula pressoché identica al solito (5 tracce, tutte piuttosto lunghe), l’album inizia e dopo due minuti è già gigantesco, bastano pochi riffoni a catena per creare un suono imponente ed evocare tutto ciò che è altroquando. Prepare The Ground è un brano che ti cresce davanti agli occhi e nelle orecchie e al momento adatto esplode. Bomba. 

Andiamo avanti: ci vuole un certo coraggio a fare partire un pezzo con la pioggia e le campane ed è riflesso quasi incondizionato trovarsi a sollevare il sopracciglio sussurrando “sì, vabbè”…  ATMA però è un brano favoloso che aggiunge alla dimensione ultra heavy quella componente spirituale che muove l’immaginario di riferimento dal tipico orizzonte morte/demonio e colloca la band in una dimensione assoluta più vicina ai Tool che non agli Electric Wizard. Poi, come tutte queste cose, se ci sta bene è fica, altrimenti è una cacata. Qui ha senso, aggiunge e non snatura. La partecipazione del neurotico Scott Kelly conferma questa visione complessiva e sposta ancora oltre lo sguardo verso gli abissi interiori. E’ il suo contributo, apocalittico e sofferto, che renderà Before We Dreamed Of Two un brano amato da tutti quelli che desiderano stare male quando mettono su un disco. Disagio a pacchi e una pesantezza inaudita che però non è il suono tradizionalmente doom, la matrice settantiana non è rintracciabile in maniera immediata e in questo ATMA è un lavoro davvero intimamente post e non ortodosso. Non aderente ad alcuno stilema se non quello di far tremare i muri quando ciò si renda necessario. Ma il meglio, come nel precedente album, è lasciato per il finale (“dulcis in culo”, mi pare si dicesse così): Adrift In the Ocean parte dal lato più oscuro dello iommismo per finire da qualche parte fra il totale e il catartonico (mia brillante crasi dei due aggettivi catartico e catatonico). Insomma, a ‘sto giro gli YOB hanno cacato il mostro. (Stefano Greco)

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