KVELERTAK – Kvelertak (Indie Recordings)

Innanzitutto la copertina: meravigliosa. Con quel gufo poliposo evidentemente prossimo ad abusare delle due signorine. Dallo stile si nota lontano un miglio che il disegno sia di Baizley, cantante degli sgonfiati Baroness, che ha elaborato anche la cover di un ottimo disco dei Kylesa. Io la cantante dei Kylesa ce l’avevo amica su Facebook, poi un giorno le ho scritto una cosa tipo very bad face but very good tits e quella maleducata mi ha rimosso dandomi del classico segaiolo italiano, ma questa è un’altra storia.

Poi il video del primo singolo: meraviglioso. C’è tutto quello che dovrebbe stare in un video metal: il logo dei Motorhead in bella mostra, la dimensione live, un’ambientazione horror romeriana, un pochino di vagina, gente che si ammazza di botte, Fabrizio Socci che sbudella un cadavere e se lo mangia. Non lo so, ditemi voi che manca. L’alcol? C’è anche quello, al secondo 40; e poi mjod significa idromele (giuro, me lo ha detto google translator).

Il primo e per ora unico disco dei Kvelertak è stato la SBORRATA DEFINITIVA del 2010. Si parte, di base, da un pestone black and roll strafatto di musica hardcore, rock anni 70, Black Flag, Enslaved, un certo stoner psichedelico, sul quale spiccano le urla da tossico di Erlend Hjelvik e cori da stadio che ti fanno urlare in norvegese anche se non sai un cazzo di norvegese. Insomma, sembra che l’importante non sia tanto il genere, quanto che questo trasudi ignoranza. Qui sta la differenza fondamentale con altri gruppi black and roll, tipo gli ultimi Satyricon, che spesso risuonano qua e là; anzi, probabilmente questo è il disco che Satyr vorrebbe fare, ma non può: perché se i Satyricon, almeno concettualmente, restano un gruppo black metal, i Kvelertak sono semplicemente norvegesi. A sei anni ascoltano gli Slayer, a dodici i Mayhem, a 25 si suicidano. Si svegliano la mattina a meno quaranta gradi, sotto 8 piumoni, fanno colazione con il liquore al caffè Guglielmo e vanno alla fermata ad aspettare l’autobus dondolandosi da un piede all’altro per evitare che le scarpe si attacchino alle lastre di ghiaccio, nella speranza che arrivi il sabato così possono andare a scannare daini che si accoppiano ansimando rumorosamente tra le montagne innevate di Xzfgiiizmtsath, in pieno centro a Oslo (se Oslo sta in Norvegia, cazzo ne so). Quindi è palese che a un certo punto ti parte la chitarra a zanzara.

La cosa impressionante è come questi sei ubriachi riescano a miscelare il tutto con estrema fluidità, dal black metal fino a Jimi Hendrix, cose che sulla carta farebbero inorridire. E allora voglio essere chiaro: i Kvelertak non suonano generi diversi in canzoni diverse ne generi diversi successivi in una stessa canzone, ma esprimono canzoni che presentano costantemente e contemporaneamente le proprietà dei vari generi. Insomma, la teoria della risonanza. Se per un gruppo musicale A è possibile rintracciare n generi diversi, e si indicano con phi le equazioni relative a ciascuno di essi, si dimostra che anche una combinazione lineare delle phi, opportunatamente pesate, è un genere possibile per rappresentare il gruppo A. Nei Kvelertak, semplicemente, l’ibrido di risonanza rappresenta A meglio e con maggiore stabilità rispetto alle forme canoniche. Stabilità appunto, cioè solidità e dinamicità: uno scapocciare continuo che non avete idea. Quel dolore allucinante al collo a livello della terza cervicale che ti fa giurare che MAI PIU’ scapoccerai di nuovo in vita tua.

Forse l’unico difetto, come ha scritto Ciccio in Paradiso, è dato dalla produzione (dell’ingegner Ballou, chitarrista dei Converge) relativamente troppo pulita, anche se c’è da dire che un qualcosa di più sporco avrebbe potuto far perdere un pò negli arrangiamenti o nelle costruzioni armoniche delle tre chitarre; e poi io sono contento che il basso si senta costantemente, e che scartavetri i muri mentre ballo e faccio le cornina dal balcone al magrebino che lavora sotto casa.
Davvero, la gente non sa cosa si perde: la SBORRATA DEFINITIVA dello scorso anno. (Masticatore)

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