KERES @Officina Civica, Calenzano (FI) – 22.11.2025

Tutte le foto sono di Marco Belardi

C’era questo cane, ma non l’esemplare che incontri nei centri sociali, cioè quello col pelo raso, la dermatite in bella vista e i parassiti che ti saltano addosso non appena gli transiti accanto. Invece era un cane pazzesco, una specie di via di mezzo fra il collie e il pastore australiano, anche se francamente non m’intendo di cani. A chiunque voglia puntualizzare che ne ho tre, rispondo che non ho cani bensì tre perfetti imbecilli. I musicisti erano dietro a quel cane, la fotografa ufficiale era dietro a quel cane, gli organizzatori erano dietro a quel cane. Per un’oretta abbondante sono arrivato a pensare che, se il locale avesse preso fuoco, nessuno se ne sarebbe mai accorto e ci saremmo ritrovati carbonizzati col sorriso stampato per quanto era bello quel cane.

All’Officina Civica di Calenzano, dopo la tornata toscana dei Frostmoon Eclipse, erano in arrivo i Keres, parenti alla lontana di quel meraviglioso cane in quanto autori di Homo Homini Lupus nonché di un feroce metal estremo, e truccati indovinate da che cosa. In loro apertura un visibilio di band provenienti dalle più disparate frange del rock e del metal, delle quali vi parlerò poiché, fra gli emergenti di turno, in taluni casi piuttosto navigati, in altri addirittura attempati, c’erano alcuni nomi davvero degni di nota. Molto meglio della volta scorsa, oserei.

Sul pubblico non mi sbilancio. Quando i gruppi non noti o se vogliamo locali si portano dietro gli amici, succede che il locale si riempie, un attimo dopo si svuota, poi arriva il gruppo successivo e sembra di essere a Trezzo sull’Adda per una mezz’ora. È accaduto con i Raways: fino a un attimo prima l’Officina Civica era popolata da soli metallari. Sono arrivati loro e all’improvviso ho notato i maglioncini di cotone, i vestiti beige delle donne, la gente scappata fuori dagli uffici comunali e dalle assemblee condominiali. Al termine del concerto dei Raways quelle stesse persone sono scomparse ed è apparso un altro pubblico, nuovamente metallaro, pronto a sbavare dietro ai Nihilence. Mi è pertanto impossibile dirvi se ci fosse gente oppure no, e quanta. Azzarderei sintetizzare che sì, ce ne era a sufficienza.

Foto di Marco Belardi

Rasputin

Tutti erano ingiubbottati perché faceva un freddo della madonna. La mia tattica di buttare giù quattro birre ghiacciate fra le diciotto e trenta e la mezzanotte e mezza passata, sfidando il concetto stesso di congestione, non ha scaturito i danni insperati. Naturalmente ho sentito ancora più freddo.

Hanno attaccato i ROOM6, tecnicamente preparati, a metà fra quel metallo fresco che si sentiva a inizio anni Novanta, tutto groove, cantato in lingua madre, un controcanto con gli Uh! di Tom Gabriel Warrior e qualche influenza prog metal soprattutto negli arrangiamenti. Bella l’alchimia fra i due al microfono: sfortunatamente mi portano la pizza nel momento preciso in cui attaccano e, come sempre accade quando mangio, mi spengo; al che la fotografa del locale, la Valentina, mi ha fatto notare che ho tenuto la stessa espressione facciale per un’eternità, quasi in un limbo fra la vita e la morte.

Con gli HOT CHERRY si è passati a uno stoner rock inizialmente molto stradaiolo. Mi sono guardato pure i loro videoclip e la risultante sul palco ha confermato quella impressione: più semplificano e pestano, come in Black Flag, l’ultimissimo singolo pubblicato in rete, e più gli riesce bene. Più cercano la canzone strutturata e più incontrano difficoltà nel fare emergere un ritornello funzionale, come in Enemy, e purtroppo la maggior parte delle canzoni vanno in questo ultimo senso.

Foto di Marco Belardi

Orgg

I CRYSTAL BULLETS sono il gruppo a cui assegnerei il premio simpatia: sette persone inclusa la cornamusa che li introduce, sette individui che sembrano vestiti per salire sul palco con sette gruppi diversi. Un abito in pelle parecchio aggressivo con occhiale anni Ottanta, gente in kilt, gente in felpa col cappuccio casual. Si rifanno in tutto e per tutto agli anni Ottanta, il genere che propongono lo starei a sentire per ore, però gli manca un po’ l’impatto del frontman. Ma la prendono talmente a gioco che in qualche modo, per quanto mi siano sembrati il gruppo meno a fuoco, non puoi dirgli niente lo stesso.

I BUTT SPLITTERS me li ero ripassati in settimana e li aspettavo a gloria. A metà dicembre, fra l’altro, saranno a Bologna all’Alchemica, insieme agli Speed Kills, a supportare la pancia di Gerre dei Tankard, o a finirne schiacciati. Da qualche parte ho letto che suonerebbero industrial metal: non ne trovo traccia. Sono, piuttosto, un metal piuttosto classico e debitore di quel progressive metal fra fine anni Novanta e inizio Millennio, molto fresco, con un cantante che si ispira anche al power metal americano. Molto capace lui, anche su disco si gestisce molto meglio e qui tende a salire di tono e aggredire un po’ troppo.

I RAWAYS sembrano usciti da un lungomare sull’Adriatico con una decappottabile e tanta voglia di infastidire le vostre figlie, nipoti, mamme, mogli, nonne, commercialiste. Hanno un batterista in canottiera e occhiali da sole che adoro, una sorta di Weekend con il morto sotto steroidi. Fanno un hard rock piuttosto divertente, ma sullo stesso filone, in un ambito un po’ più metallaro, gli preferii i Sexual Hurricane in una serata dello stesso Firenze Metal, un po’ di tempo fa.

Foto di Marco Belardi

Keres

Poi sono arrivati i carichi da novanta, motivo per cui spero sempre di osservare concerti come questo con la speranza di carpire un nome che oggi è in concerti come questo, a suonare alle 19 in punto davanti a gente che mastica la pizza, e che un domani sarà un passo avanti, e un altro ancora, fino a quel passo che renderà quel nome i Ponte del Diavolo di turno. Accadrà con uno su cento, o uno su mille, e, se con gruppi di quarantenni ancora non è accaduto, forse significa che quei gruppi resteranno eternamente in quel limbo facendone la propria dimensione, non necessariamente in un senso negativo. Ma all’ascolto di quei tre gruppi ho seriamente pensato che avevano delle possibilità: dopodiché dipenderà tutto da loro, nel senso della perseveranza, o determinazione, della fortuna e delle coincidenze che comportano quel genere di passo in avanti.

Intanto il cane si era appena messo nella stessa posizione del siberian husky un attimo prima di aggredire gli altri siberian husky nel film La Cosa, e io mi stavo per levare dal cazzo, giusto per sicurezza.

I NIHILENCE hanno fatto di gran lunga il concerto della serata, anche in virtù del raffreddore di kinghiana memoria che affliggeva il loro cantante, senza, con ciò, comprometterne l’esibizione. È il death metal da manuale operativo. Credo abbiano suonato all’Inferno Fest non molto tempo fa, in quel del CPA di via Villamagna, a Firenze, in un contesto completamente estremo. Ma non vorrei sbagliarmi. Se nei Crystal Bullets ho visto sette persone che si divertivano, ma che apparivano e agivano in un modo poco coeso, con i Nihilence ho avuto l’impressione di un monoblocco che si muoveva all’unisono, di una coralità incredibile. I pezzi erano magnifici, non mi metterò a paragonarli a questo o a quell’altro gruppo death metal: semplicemente, se capiteranno dalle vostre parti, andate a qualsiasi costo a vederli.

Con i RASPUTIN ho avuto la sensazione di avere a che fare con il gruppo più preparato della serata, e allo stesso tempo con quello più distante dai miei gusti musicali. Ritornelli puliti stucchevoli, metalcore trito e ritrito, la fine di una canzone che coincide con l’inizio di un’altra canzone che mi pare esser la solita che mi sono appena tolto di mezzo. Eppure sono bravissimi. Non gli si può dire niente, il palco lo tengono bene, presenza scenica ne hanno, le capacità tecniche idem. Il cantante se la cava bene sul pulito e sullo sporco: è che quel genere di cantato pulito l’ho già sentito fare a mille cantanti, tipo Danny Metal sugli Elyne, e semplicemente non lo tollero. Comunque ottimi, per chi mastica il genere, e credo che in ambito italiano di strada ne faranno diversa.

Foto di Marco Belardi

Keres

Gli ORGG sono stati il mio secondo concerto della serata dopo i Nihilence. “Black metal ambientato nelle battaglie della prima guerra mondiale sull’arco alpino”. Giuro che ho ripetuto la frase a mia moglie, a casa, quando ha visto una loro foto, e, dopo una frase carina, tipo chi cazzo sono, glieli ho sintetizzati così. Anche loro particolarmente coesi, nell’abbigliamento come nell’esecuzione e nelle movenze, con un batterista particolarmente a suo agio sui fill di rullante. Oserei dire organizzatissimi sul palco, perché un gruppo quel che porta sul palco lo deve organizzare in maniera certosina prima di salirci, non farsi prendere dalla voglia di strafare e dimostrare. Buoni dal vivo, ottimi su disco.

Fuori si iniziava a congelare, l’ho testato alla mia quarta Raffo mentre La Cosa si beava accasciandosi su un pratino umido per la guazza notturna e dentro attaccavano i trentini KERES, dieci anni di esperienza sinora culminata nella pubblicazione di un solo album. Death/black feroce, col secondo frangente che in questa serata ha continuato ad attingere da schemi più svedesi che non norvegesi. Più che agli Angelcorpse o ai God Dethroned si rifanno in qualche maniera a certi aspetti cari ai Behemoth mediani, prima che diventassero la macchietta che tutti conosciamo. Il batterista, Federico Leone, già in passato nei Subhuman e negli Hierophant, è anche qui un session ed è una macchina da guerra.

A Firenze non c’è un cazzo, si dice spesso. Non passano i gruppi che passano per Milano, per Roma, e nemmeno quelli che passano per Bologna, almeno per ora. Ma c’è un underground che ribolle vigoroso, e una situazione che l’underground lo valorizza con molta forza, soprattutto per tutto quello che concerne il metal estremo. In attesa che tornino i gruppi del livello che in passato ha popolato e animato anche questo locale (Destruction, Nile, Suffocation), godiamoci queste facce, queste scoperte, e speriamo che fra loro ci siano i futuri Fulci, o chissà che altro. Nihilence: siete stati fantastici, ma uscendo state comunque attenti al cane. (Marco Belardi)

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