Frattaglie in saldo #73

Starstorm, il brano di apertura di Prime, nuovo disco degli IMPERIALIST, ti prende dal primo ascolto. Il riff è uno di quelli che ti entrano in testa subito. Loro sono americani e suonano un black melodico misto a thrash la cui principale ispirazione sono sicuramente i Dissection. I testi invece coi Dissection non c’entrano niente, perché qui si va sulla fantascienza e cose spaziali. Se il genere vi piace, e vorrei vedere a chi non piace, vi renderete conto che il primo ascolto vi farà saltare sulla sedia. I riff di apertura sono uno più grandioso dell’altro. Purtroppo non sempre poi gli arrangiamenti reggono il peso delle ambizioni dei suddetti riff, e alcuni passaggi fanno perdere un po’ di tiro.  Al di là di questo, il disco, nella sua interezza, è comunque gagliardo e merita di essere ascoltato, se non altro perché è passato sotto le mani di Dan Swanö.

Se c’è un disco che mi sta prendendo bene, e per bene intendo che mi sta esaltando come non succedeva da anni, è Melancholia, il secondo album degli ANCIENT THRONES. Loro sono canadesi e suonano un progressive blackened death che talvolta sconfina nel metalcore (quello figo dei The Red Chord), con una grande attenzione per l’atmosfera, le melodie, gli arrangiamenti, i dettagli e la continuità tra un brano e l’altro. Melancholia è infatti un concept che racconta di un daltonico che decide di calarsi degli allucinogeni per tentare di vedere i colori. L’album è potentissimo e complesso, ma è quella complessità tipica di certo metal estremo che non cerca solo di spaccare tutto con violenza ma mira anche alla grandezza e al musicare una storia, come se ne fosse la colonna sonora. Il tutto suona ancora più impressionante se pensate che gli Ancient Thrones fanno tutto da soli, senza etichette e produttori alle spalle. È circa un mese che lo ascolto almeno una volta al giorno, e certi giorni arrivo pure a tre, quattro ascolti, se riesco. Mi dà la stessa sensazione di quando ascoltavo le prime volte Terminal Redux, ovvero di trovarmi di fronte a un’opera mastodontica, totale e grandiosa. Praticamente un capolavoro.

Proseguiamo con due EP che sono dei gioiellini. Il primo è Learning the Secrets of Acid degli UMULAMAHRI (nome fichissimo preso da una canzone di questo disco), band che suona un death avanguardistico, tutto pazzo e allucinato, e che è stata fondata dalla mente malata di Doug Moore (già nei Pyrrhon e Weeping Sores) e dal compare Andrew Hawkins, con la partecipazione alla batteria di Kevin Paradis (già nei Benighted e attualmente con altri gruppi tra cui gli Aborted). La musica contenuta qui dentro sa di fogna in cui sono stati scaricati gli escrementi di mille persone sotto acido. Ho questa immagine in mente mentre mi riascolto per la centesima volta VVVVRMS (è il titolo di una canzone, non ho schiacciato tasti a caso).

Altro EP degno di attenzione è quello dei SUFFERING HOUR, dal titolo Impelling Rebirth. Griffar li aveva definiti geniali, e io non posso che essere d’accordo. Riff dissonanti eppure sinistramente melodici. Il loro death si mischia col black, ma, a differenza dei dischi precedenti, qua le canzoni si fanno più brevi, più veloci e più thrash, segnando un marcato cambio stilistico. L’ EP dura 15 minuti circa, meno dell’ultima canzone dell’ultimo disco, e va bene così. Band devastante anche sotto questa nuova veste.

Quando vedo un disco pieno di ospitate mi viene un brivido freddo lungo la schiena. Non so perché, ma associo questa cosa ai dischi di merda. Poi clicco play e passa tutto, di solito. Capirete quindi come, vedendo le comparsate sul nuovo disco dei SANGUISUGABOGG, possa essermi partita una qualche bestemmia a denti stretti. Perché il loro precedente disco mi era piaciuto parecchio, e io sono uno di quelli che pensa che si meritino il successo che stanno avendo. Ecco, ogni timore però scompare al primo ascolto perché i Sanguisugabogg con questo Hideous Aftermath riescono a ripetersi e hanno tirato fuori un altro album di tutto rispetto. Solido, sporco, ma soprattutto maturo e concreto. Il loro death metal non si discosta da quello del suo predecessore se non per qualche piccolo particolare, ma la band ci dà dentro e prende la materia sul serio, dimostrando di essere qui per farci vedere che hanno le capacità per durare ancora molti anni. Ottima, ovviamente, la produzione di Kurt Ballou.(Luca Venturini)

Un commento

  • Avatar di Fanta

    Per chi volesse darsi una martellata sui coglioni mentre si droga (tanto per aumentare il carico autolesionistico), fare scappare i vicini o allontanare senza troppe spiegazioni gente random che vi gira per casa:

    ROTHADÁS – Töviskert… a kísértés örök érzete… lidércharang.

    Sì, il titolo letto velocemente mi ricorda gli scatarri di mio nonno dopo la quarantatreesima “Nazionale Esportazione” senza filtro fumata in poco meno di otto ore.

    Bella nonno, ma che stai a fa’ un barbecue in salone? No perché faccio fatica a distingue la sagoma. Ce stai?

    Ma bisogna considerare l’origine della band, la medesima di Ferenc Puskás. Questi non giocano a pallone, no. Però fanno un death/doom asfissiante ma dinamico. Riffoni a rotta de collo. Dolore, merda e sangue. Daje.

    Messa così la questione diventa meno nebulosa a livello fonetico (tranne mì nonno). Poi sulla semantica lasciamo perdere.

    Consigliati.

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