Si fa presto a dire NWOTHM: arriva l’inflazione, signora mia

Ecco, ora lo dico: non è che con questa storia della NWOTHM la situazione sta un po’ sfuggendo di mano? Oddio, quando escono fuori dischi validi e potenti siamo tutti felicissimi, eh, ci diamo il cinque vicendevolmente, ci allacciamo vicendevolmente le corazze di plastica, ci diciamo che presto, sicuro, uscirà il nuovo disco degli Eternal Champion, non può mancare più molto, deve essere lì, dietro l’angolo, staranno giusto decidendo il font del dorso del jewel case. Nel frattempo però di uscite che non aggiungono nulla a quanto abbiamo già sentito e stra-sentito ne arrivano parecchie. Ci sono decine, centinaia di band scarse, limitate, ok, non è quello il problema. Alcune di queste magari migliorano. Ci sono però dozzine di dischi buoni, senza infamia e al massimo con una lode o due, di quelli che, parafrasando uno che ne sapeva, li ascolti una volta e non te li ricordi più. Un account come NWOTHM Full Albums fa divulgazione pura, orizzontale, e gli va dato merito. Però a essere sinceri di album davvero validi, da tornarci su più volte, anche a distanza di tempo, se va bene ne escono due o tre all’anno. Per il resto livello medio e, sapete, a volte quasi si preferisce un disco oggettivamente brutto, ma appassionato, che non un prodotto con tutti i crismi che non lascia spettinato nessuno. L’offerta si è inflazionata, insomma.

Prendete Hail to the Force dei danesi CRUCIBLE, segnalati dal buon Ciccio per una copertina che più canone priestiano di così si muore. Speed/heavy a mille, tutto duro e veloce, mediamente epico, cantato a tratti dickinsoniano, praticamente il minimo comune multiplo del calderone eterogeno chiamato NWOTHM. Una decina di pezzi qualunque ma fatti davvero per benino, registrati bene e suonati con tigna. Che cosa differenzia i Crucible da qualche dozzina di band identiche e dello stesso livello sparse per il globo? Assolutamente nulla. Idee qua dentro non ne trovate. Emozioni, che ve lo dico a fare. Verso la fine c’è una traccia intitolata While my Guitar Gently Weeps. Pensi che forse, dai, lì una sorpresa si nasconderà, un’interpretazione un minimo personale, che forse con le cover paradossalmente è più facile, perché tanto la canzone te la fornisce qualcun altro. Invece è uno strumentale con tastiere anni ’80 e chitarre neoclassicheggianti e lagnose che non c’entra nulla con quello che pensavate. Proprio nulla. Canzoni, insomma, qua non ce n’è. Nemmeno riciclate.

Intanto, l’entusiasmo NWOTHM per il recupero delle vecchie sonorità heavy, non so se ve ne siete resi conto, sta dilagando anche da noi, da nord a sud. Poco fa ci siamo occupati degli Strega (con gente di Darkend e Ponte del Diavolo), un annetto fa dei Demon Spell di Catania (con ex Haunted) ed oggi dei TEMPTRESS, calabro-siculi (due terzi Bunker 66 e un terzo Gargoyle). Insomma, tanta della “nostra” gente, anche solitamente dedita all’estremo, sta riscoprendo il Metallo antico (o l’ha sempre ascoltato e oggi si mette pure a suonarlo). I Tempress, dicevamo, si danno al metallo ottantiano con melodia e una certa complessità (qualche gradino indietro rispetto al prog, ma in quella direzione). A dire il vero non inseguono nessun filone di cosplay in particolare e, anzi, restano un po’ “neutri”, senza un particolare carattere, un po’ NWOBHM, un po’ epici, non troppo. Comunque, Catch the Endless Dawn è solo l’esordio (direttamente su Dying Victims Production) e teoricamente spazio per migliorare ne hanno. Per ora li penalizza particolarmente la voce, ma pure la loro “genericità”. Al prossimo giro potrebbero essere più veloci, più melodici, più sinfonici, più rozzi, più rifiniti, più epici, insomma boh. Per ora sono una versione meno ottimista e meno compiuta melodicamente degli Haunt.

E, tanto più visto che li abbiamo appena chiamati in causa, non possiamo esimerci dal dare la notizia del nuovo album proprio degli HAUNT, intitolato Ignite. Uscite regolari come sempre, almeno una all’anno, come un controllo alla prostata. E Ignite è perfettamente intercambiabile con qualsiasi dei precedenti. Perfettamente. Nessun sussulto, nessuna notizia, nessuna novità, cosa che se stai uscendo da un controllo ti fa tirare un sospiro di sollievo, ma se stai ascoltando un disco può equivalere a una rottura di scatole. Trevor William Church non sbaglia praticamente nulla e al contempo non ne imbrocca veramente nessuna. Gli Haunt, nel loro stretto sub-sotto-genere (o stile, o revival) una certa quasi-popolarità ce l’hanno pure, rispetto a tanti altri, penso per la loro potabilità di ascolto e relativa giovanilità. Certo che se non si decide a cambiare qualcosa l’anno prossimo mi riprometto di non ascoltare il nuovo disco. Lo so, me lo riprometto ormai tutti gli anni, da un po’.

Dalle ceneri dei Night Viper, gagliardo gruppetto di metallo tradizionale svedese attivo una decina di anni fa, la cantante Sofie-Lee Johansson torna dopo un bel po’ con un gruppo tutto nuovo, gli SKRACKEN, e con un disco nuovo, Echoes from the Void, pure questo su Dying Victims. Le coordinate rimarrebbero più o meno le stesse, metallo ottantiano con pochi fronzoli e un po’ di rock’n’roll, ma qui si vira decisamente più verso l’oscuro. Fantastico, no? Insomma… perché gli Skracken restano sostanzialmente un gruppo anonimo, uno come tanti, che produce canzoni un po’ come tante. Su premesse simili per dire, gli Scimitar hanno, giusto poco fa, tirato fuori un dischetto notturno e davvero succulento. Gli Skracken invece non escono da una generale mediocrità e pure la voce della Johansson, in questo contesto, non graffia mica. Peccato, io ci speravo.

E chiudiamo coi cileni IRON SPELL, ovvero una di quelle dozzine di band indistinguibili tra loro, come i Crucible di cui si parlava all’inizio. Si rimane sempre abbondantemente al di qua di una certa comfort zone, fatta di ritmi veloci e chitarre armonizzate tutte uguali e voci anonime. Tanto altro in From the Grave non trovate mica. Qualche breve passaggio acustico (generico), qualche breve rallentamento epico (sommariamente) e tante chitarre rombanti. Quelle non mancano. Una baldanza quasi costante che non va davvero da nessuna parte, non ti carica e non ti sfoga. Scorre. Dietro c’è ancora una volta la Dying Victims di Essen. Sempre la Dying Victim, che ha iniziato un po’ di tempo fa ad infondere nel mercato roba validissima ma che ormai diffonde anche tantissima roba irreprensibile ma impersonale. A conti fatti, preferisco la strategia pochi-ma-buoni della Cruz del Sur. A proposito, ora metto su i Sölicitör e poi, magari, vi faccio sapere. Intanto vi lascio con un video a caso degli Haunt. (Lorenzo Centini)

6 commenti

  • Avatar di Hieiolo

    gente nn fate scherzi e pubblicate la vostra recensione del nuovo Coroner; sono 32 anni che lo aspetto!!

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  • Avatar di Ale

    Colpa (anche) proprio di certe etichette che sparano fuori album e singoli a raffica, col risultato di appiattire tutto, creare saturazione e disinteresse nel pubblico. La Dying Victims è una di queste, ormai non riesco più a seguirla.

    L’Argonauta Records (stoner-doom ecc.), che tu ben conosci, uguale:

    https://www.qobuz.com/ie-en/label/argonauta-records/download-streaming-albums/123030?ssf%5BsortBy%5D=main_catalog_date_desc

    739 releases tra album, EP e singoli su Qobuz, tutta roba che non si fila nessuna e che passa nel dimenticatoio dopo due settimane. Qualcosa di buono, tra la massa, ci sarà pure, ma vai a capire cosa esattamente! Bisognerebbe avere il tempo di filtrare tutto con calma. E continuano a metter sotto contratto nuovi gruppi!

    Ormai l’obiettivo sembra chiara: buttar fuori tanta roba, sperando che almeno uno o due album attecchiscano e possano portare un minimo di introiti.

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    • Lorenzo Centini
      Avatar di Lorenzo Centini

      Credo, ma lo dico da profano e da disinformato, perché non so nulla o quasi delle dinamiche commerciali e/o produttive delle etichette musicali in generale (e di oggi in particolare), che ormai l’etichetta sia poco più di un’agenzia di promozione. Credo che nella maggior parte dei casi, queste che hanno sotto contratto gruppi minori, che ricevano dischi pronti, già registrati con le finanze del gruppo (e con tecnologia ormai alla portata quasi di tutti). Cioè: non c’è un investimento a rischio che spinge l’etichetta a scremare. Arriva un gruppo, ha il disco pronto, io faccio promozione e stampo qualche centinaia di copie. Se va bene ristampo. E così via.

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      • Avatar di Fanta

        Esatto. E non vale solo per le etichette piccole, oramai.

        Comunque domani si va in negozio e si compra a scatola chiusa il nuovo disco dei Coroner. Perché “un uomo, che sia un uomo, ha bisogno di credere in qualcosa”.

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      • Avatar di Lucas

        Oggi le etichette hanno una o più agenzie di booking a loro collegate o di loro proprietà (da cui prendono una percentuale giustamente dei guadagni degli artisti dai concerti). L’etichetta investe solo per i gruppi grossi o per quelli che possono crescere in quel momento facendo un investimento che deve ritornare, i più piccoli si producono da soli e poi se vanno bene i concerti recuperano i soldi spesi ed iniziano a guadagnare, altrimenti vanno in perdita o al massimo in pari.

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  • Avatar di SimonFenix

    Purtroppo molto spesso nell’underground si trova anche tanto pattume, demo sfigati di band sfigate che non sono uscite dalla sala prove spacciati per kult.

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