Southammer Metal Fest @Flava Beach, Castel Volturno – 28/06/2025
Quando metto la testa fuori dalla stanza dell’albergo, vedo due bandiere che sventolano attaccate allo stesso pennone. La prima mostra l’effigie di Scott McTominay, lo scozzese migliore dai tempi di Christopher Bowes quando gli Alestorm erano ancora fighi. La seconda è quella del Biafra, regione della Nigeria il cui tentativo di secessione a fine anni ’60 portò a una violentissima guerra civile e a una carestia che venne utilizzata dalle mamme italiane dei due decenni successivi come ricatto morale per i bambini che non volevano mangiare il passato di verdure. I Mastini della Guerra, il libro scritto in materia da Frederick Forsyth, che fu testimone diretto del conflitto, è molto bello, recuperatelo. A proposito, R.I.P. Frederick Forsyth.
Castel Volturno è sede di una delle maggiori comunità nigeriane in Italia. Esiste ancora una corrente secessionista nel Biafra che ha una diaspora in Campania? Con l’arrivo di De Bruyne, McTominay dovrà giocare in posizione più arretrata? Mentre mi pongo queste domande esiziali, mi sparo i due chilometri che mi separano dallo stabilimento balneare dove si terrà il Southammer, reincarnazione del vecchio Shammer con dietro alcuni degli stessi ragazzi di allora. Mi avvicino al mare. La pineta è stata distrutta dalla cocciniglia e hanno iniziato a piantare gli alberi nuovi. Anche Castel Fusano, la pineta vicino Ostia, sta per fare la stessa fine. Vedete che cosa è successo quando hanno smesso di utilizzare quell’insetto del cazzo come colorante per il Campari. Avessero continuato, oggi potremmo tutti salvare i pini bevendo più Campari. La farina di bacherozzi sì e le cocciniglie nel Campari (che magari lo rendevano più nutriente e proteico) no. Vedete come nulla abbia più senso.

Quando mancano poche centinaia di metri, inizio a sentire da lontano gli HIDEOUS DIVINITY. Il gruppo romano segue una via al brutal centroitaliana che ha guadagnato una sua identità e all’estero è piaciuta, per una peculiare tendenza al cercare l’atmosfera epica che si concilia con l’immaginario universale associato all’Urbe. Tra ingresso, ambientamento e convenevoli, perdo altro tempo quindi posso sentire solo gli ultimi pezzi. Mi piazzo sotto il palco mentre attaccano Chestburst e sono già in parecchi a sfidare la calura del pomeriggio scapocciando sotto il palco al suono del death tecnico, moderno e nervoso dei capitolini. Il Conte, che la sera prima mi aveva portato in un eccezionale pub di Bacoli dal quale ero uscito in condizioni discutibili, mi spiega che anche con i primi gruppi, ovvero sotto il sole delle tre del pomeriggio, gente sotto il palco ce n’era già. Fino alle quattro e mezza dovetti lavorare. Quindi chiedo venia a Entropy, Jumpscare, Disease Illusion e Madvice se non sono riuscito ad assistere alle loro esibizioni. Il timore era che le band di apertura suonassero davanti a quattro gatti, perché di ombra ce n’è poca. E invece la si prende con filosofia e si fa un tuffo in acqua. Sono tentato ma non posso venire meno al mio dovere di cronista.

I DARKANE sono stati la sorpresa della giornata. Rusted Angel fu accolto bene perché non uscivano ancora 50 dischi simili al mese. Il filone divenne subito saturo e gli svedesi raccolsero meno di quanto meritavano. Né li ha aiutati il fatto che mo’ sarà la quarta volta che cambiano cantante (il resto della formazione è immutato dagli esordi). Tobiasz Derengowski, ad ogni modo, è un buon frontman, sa tenere il pubblico in mano pur non avendo trascorsi di rilievo. In studio hanno un allure futurista. Sono tra gli scandinavi che suonano più americano. Dal vivo vanno dritto al punto e fanno benissimo. Mazzate death/thrash pesantissime ma anche rinfrescanti, balneari, mid-tempo da pugni in aria tra cappelli da cowboy e parei. Una ragazza lancia in aria un bambolotto con il corpse paint che continuerà a saltare da un astante all’altro fino a notte fonda. I Darkane se ne vanno tra gli applausi.

I NECRODEATH so’ piezz’e core. Per me il concerto più bello è stato questo, ed ero sicuro non potesse essere altrimenti. Io e il fiero e potente Gioacchino, un affiliato della nostra amabile chat Telegram in cui potete chiederci di predirvi il futuro con i mozziconi dei tromboni, andiamo a disturbarli mentre mangiano al tavolo come fanboyz minorenni e diciamo loro che ci mancheranno tantissimo. È il tour d’addio, finirà il 27 dicembre, suppongo a Genova. Sto cercando di convincere Belardi e Mazza, colleghi fissati quanto me con i Necrodeath, se non di più, a organizzare una trasferta. Quindi toccherà cercare di vederli un altro paio di volte nel secondo semestre. Di benzina ne hanno ancora e se ne stanno andando in splendida forma, lasciando un ricordo degno della loro storia.

Il sole picchia ancora duro ma la folla si assiepa ancora di più verso le transenne. Mi metto tra le prime file, parte Hate and Scorn. Inizio a cantare i testi a memoria con il braccio alzato e le cornine. Ricordiamo che se sapete i testi a memoria è doveroso mettersi tra le prime file. Un altro motivo per cui bisogna andarli a vedere altre due o tre volte prima che sia troppo tardi è che hanno talmente tanti pezzi da potersi permettere di far girare la scaletta e sacrificare classici un tempo inamovibili per perle da lavori sottovalutati come The Whore of Salem e Lust. La doppietta Fragments of Insanity / Choose Your Death ci riporta a un passato glorioso seguito da una carriera pressoché inattaccabile, le cui fasi sperimentali furono inevitabili, per quanto meno sfruttabili dal vivo, dato che l’alternativa sarebbe stata rifare lo stesso disco per vent’anni e passa. Arimortis, la canzone del commiato. La conclusione sulfurea con At the Roots of Evil. Sarebbe pleonastico ripetere le dieci ragioni per cui bisogna sempre andare a vedere i Necrodeath dal vivo quando possibile che elencai in occasione della loro data al Defrag di Roma. Li ascolterei per due o tre ore.
SCALETTA NECRODEATH
Hate and Scorn
Forever Slaves
Necrosadist
Inferno
Master of Morphine
The Whore of Salem
Fragments of Insanity
Choose Your Death
The Triumph of Pain
The Creature
Arimortis
Lust
At the Roots of Evil

Sarò onesto, i FLESHGOD APOCALYPSE non sono il mio genere. Rispetto molto quello che fanno, sono contento come italiano che abbiano tutto questo successo all’estero e penso che siano grandissimi professionisti. È un’evoluzione del death metal che però non incontra i miei gusti. Un po’ lo stesso rapporto che ho con i Lacuna Coil, insomma. Quindi ammetto di aver seguito solo parte della loro esibizione e di essermi allontanato per rifocillarmi. L’inserimento di una cantante d’opera è ben integrato. Morphine Waltz, Pendulum e gli altri estratti da Opera mi piacciono di più degli album del periodo mediano in cui smisi di seguirli. Hanno ripreso a badare più alla scrittura che alla tecnica. Ma una Minotaur funziona meglio sul palco che in studio. Si chiude con una cover brutalizzata di una vecchia hit degli incommensurabili Eiffel 65, perché anche i Fleshgod Apocalypse hanno saputo cogliere lo spirito da spiaggia del Southammer.

E allo spirito da spiaggia penso anche durante il concerto dei ROTTING CHRIST. La scaletta pesca dai dischi dal 2010 in poi salvo una tripletta isolata con King of a Stellar War, The Sign of Evil Existence e Non Serviam, piazzata in mezzo. Non so perché Sakis tenga così tanto a fare sempre Societas Satanas dei Thou Art Lord, che magari potrebbe lasciare spazio a un brano di, che so, Theogonia. Anche perché se Sakis facesse concerti con i Thou Art Lord andrei a vederli pure ad Atene. Quando un gruppo arriva all’età dei Rotting Christ, è quasi fisiologico che cerchi una formula stabile, intorno alla quale giocare senza tentare più scossoni stilistici eccessivi, quello che si dice un invecchiamento sereno. Gli Slayer trovarono la formula stabile con Divine Intervention, per esempio. I greci ritengono di averla trovata con Κατά Τον Δαίμονα Εαυτού, da cui estraggono ben quattro brani.

In redazione siamo molto divisi sul nuovo corso dei Rotting Christ. Ritmati, cadenzati, ritualistici. Ad alcuni piace, altri lo definiscono con ironia “Uh-Ah-Satanà”. Io, a quanto pare isolato, credo che con Pro Xristou abbiano piazzato un buon colpo proprio perché hanno tentato qualcosa di diverso. E la solenne Like Father Like Son stasera è uno dei momenti migliori. Mi convince meno In Yumen – Xibalba riarrangiata secondo la sensibilità degli Lp successivi. Ma con lo spirito da spiaggia ci sta. A parte i mugugni da vecchio fan sulla scaletta, funziona tutto benissimo. Stai letteralmente al mare con il cocktail in mano, quindi sono i Rotting Christ giusti per il contesto quelli che aprono e chiudono con estratti da Aealo. E, con tutte le volte che li ho visti dal vivo, è più interessante sentire una Noctis Era che una Forest of N’Gai. C’è un tizio vestito da monaco, per un attimo spero che sia un monaco vero poi mi rendo conto che scapoccia e ha un sacco di orecchini e anelli. Grandis Spiritus Diavolos è da ballare sotto le stelle con le onde di sottofondo. Sakis è un intrattenitore affabile e sorridente. È il suo compleanno. A festeggiarlo con lui siamo un migliaio. (Ciccio Russo)
SCALETTA ROTTING CHRIST
Aealo
666
P’unchaw kachun – Tuta kachun
Fire, God and Fear
Kata Ton Daimona Eaytoy
Like Father, Like Son
Elthe Kyrie
King of a Stellar War
The Sign of Evil Existence
Non Serviam
Societas Satanas
In Yumen – Xibalba
Grandis Spiritus Diavolos
The Raven
Noctis Era

Beh cavolo, ma che gran bei nomi. Complimenti e spero fosse pieno imballato.
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