Avere vent’anni: STRAPPING YOUNG LAD – Alien

Nella mia recensione dell’album omonimo degli Strapping Young Lad ho già ampiamente descritto la profonda ammirazione che nutro per Devin Townsend e i suoi mille progetti, così come ho evidenziato come, nel corso degli ultimi – ahimè – vent’anni, quest’ultimo non sia riuscito a mettere a fuoco le tante idee che frullano nella sua mente. Intendiamoci, sono usciti anche album meritevoli come Synchestra, Ki o Addicted, però l’impressione generale, nel mare magnum dei mille progetti del Nostro, è che Townsend non sia più stato in grado di “limare” alcune composizioni, di “tagliare” gli album e, soprattutto, di avere, come in passato, il controllo delle svariate influenze che contraddistinguono la sua proposta.

Ma questo controllo, salvo singole eccezioni (vedi Devlab, di cui avrei dovuto scrivere un articolo l’anno scorso, ma non sono mai riuscito a finire di riascoltare), in passato ce l’aveva eccome. Anzi, al di là dei valori sui singoli brani, per quanto mi riguarda il decennio abbondante che va dal 1997 al 2008 è quello che ha reso evidente la capacità di Townsend di essere un perfetto direttore d’orchestra in mezzo al caos, di sapere gestire alla perfezione ogni singola componente della sua musica senza perdere, da un lato, in impatto e spontaneità, dall’altro facendo in modo che tutto “fluisse” alla perfezione.

Ed Alien è più tangibile prova di questo discorso. Non solo è il miglior disco degli Strapping Young Lad dopo City – inarrivabile per importanza, impatto e per mille altre ragioni – ma è anche la summa di tutto quello che è stato Townsend in quel decennio sia con i SYL, sia con gli album solisti, sia con gli altri progetti.

Parlando del disco precedente avevo evidenziato come vi fosse un certo schematismo che appiattiva determinate soluzioni, ma che, al tempo stesso, facevano capolino influenze “altre” provenienti dai suoi lavori solisti. In questo senso Alien parte proprio dalle cose migliori di SYL, con una prima metà che altro non è che un mix degli album precedenti in cui, però, la contaminazione aumenta in modo organico e perfettamente bilanciata. Così, dopo la terremotante introduzione di Imperial, molto vicino a City, si parte a razzo con la straordinaria Skeksis in cui, dietro le solite inarrivabili ritmiche affidate alla coppia Gene Hoglan/Byron Stroud, si inseriscono sezioni melodiche e cori che sembrano uscire da Infinity.

Allo stesso modo, se Shitstorm sembra in tutto e per tutto un classico brano “quadrato”, sulla scia del precedente, anche in questo caso troviamo degli inserti del tutto “anomali” che richiamano esplicitamente i lavori solisti di Townsend e che portano alla coda melodica che fa da ponte alla successiva Love?, brano molto più complesso di come appare e dove, anche in questo caso, si apprezzano notevoli aperture melodiche che rendono Alien un lavoro davvero unico nel suo genere.

In questo senso lo stacco maggiore si avverte dalla seconda metà dell’album, da Possessions in poi, ossia da quando – senza rinunciare ad una pesantezza di fondo ravvisabile tanto nelle ritmiche, quanto nelle due chitarre di Townsend e Simon – i brani escono da strutture più chiuse e, semplicemente, osano di più, anche con orchestrazioni che, in mano ad altri, potrebbero risultare di cattivo gusto. Ma, come osservato in precedenza, in quel periodo a Townsend riusciva tutto, anche di piazzare in un lavoro del genere una ballata come Two Weeks che sembra uscire da Terria, senza farla sembrare fuori contesto e facendola confluire organicamente con la clamorosa e melodica Thalamus, che ricorda alcune cose di Ocean Machine, e che per chi scrive resta tra le migliori composizioni degli Strapping Young Lad che, in modo egregio, vanno a chiudere l’album (perché nessuno può considerare Info Dump) con il botto di Zen. Una chiusura che è sia circolare – richiamando le atmosfere dei primi brani del disco – sia una summa dello spirito di Alien, con tutte le sue contaminazioni.

Alien è davvero l’emblema dell’equilibrio sopra la follia (mi si perdonerà la citazione popolare), di quella capacità di saper vedere oltre il caos e di creare qualcosa di unico e di imparagonabile, capace di reggere il passare del tempo e di non trovare mai degli epigoni. (L’Azzeccagarbugli)

2 commenti

  • Avatar di Stenlio

    quanto mancano gli strapping…
    allora non sono il solo a cui è sceso il trasporto verso questo genio della musica.
    forse la sua forza è anche il suo limite: fa troppa musica.

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  • Avatar di Antonio

    Love ormai famosissima, ma per me Possession è il pezzo migliore. Hai scritto bene: il coro di bambini che c’è nel ritornello di quest’ultima messo in mano ad altra gente sarebbe stato di cattivo gusto, Devin invece lo fa funzionare alla perfezione. Io qualche gemma persa in mezzo al caos l’ho sentita anche nel (relativamente) più recente Deconstruction, ma mi sono accorto che gli album registrati dal nostro dopo lo scioglimento degli Syl riesco ad ascoltarli solo a piccole dosi, mentre un lavoro come Terria lo apprezzo nella sua interezza.

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