Avere vent’anni: DAFT PUNK – Human After All

Human After All rientra nella categoria, a me molto cara, degli assoluti underdog all’interno della discografia di una band. Non parlo di dischi poco amati o apprezzati dalla critica, ma di quelli generalmente meno considerati tra i migliori o maggiormente rappresentativi di un gruppo e che, spesso senza un motivo ben preciso, diventano i miei preferiti. Concetto di “disco preferito”, dibattuto recentemente sulla nostra chat di Telegram (ehi, a proposito, se non siete ancora iscritti, questo è il link per farlo), che non coincide necessariamente con quello di disco “migliore”. Si tratta di quello a cui si è più legati e che, al di là di ragioni obiettive, si preferisce ad altri per motivi anche squisitamente personali.

Nel caso di specie, se Discovery è IL disco dei Daft Punk, quello più rappresentativo, quello composto solo di assolute “mine” che sono entrate nella storia, per ragioni personali e non Human After All resta il mio preferito dei francesi sin da quando è uscito. Ed è importante che i giudizi sulla musica, così come su tutte le forme artistiche, mantengano una componente soggettiva, altrimenti finiremmo per essere solo dei robot asettici, il che è proprio il fulcro di questo album, sin dal titolo.

Un album che, per quanto mi riguarda, deve essere approcciato contestualmente alla visione del meraviglioso Electroma, film a cui sono profondamente legato e che mi ha molto segnato sin dalla mia prima visione “pirata” dopo la presentazione a Cannes (non era affatto facile vederlo all’epoca) e che poi, per uno di quegli strani ed imprevedibili bivi che la vita prende, è diventato il simbolo di emozioni e sentimenti che hanno avuto il coraggio di venir fuori, proprio come nel film in cui i due robot cercano disperatamente di esternare la propria umanità, con tutto quello che comporta. Un viaggio visuale, senza parole, estremamente lento e potente che trova il culmine in un finale letteralmente abbacinante ed in cui, paradossalmente, non figura una nota del duo francese. E allora perché è importante? Perché per me Human After All è la versione audio del viaggio che i due protagonisti del film compiono verso un’umanità vista come àncora di salvezza in un contesto di asettica perfezione.

In questo disco Thomas Bangalter Guy e Manuel de Homem cercano sin dall’inizio di instillare umanità nel contesto elettronico della loro proposta. Così se Homework era il disco house e Discovery quello pop, il festeggiato del mese è quello rock, come si comprende sin dall’iniziale brano omonimo e da Robot Rock. Brani basati sulla medesima impostazione: beat sintetico a replicare una batteria e riff elettrico da puro garage rock su cui costruire le solite, pazzesche, canzoni assassine che ti si imprimono in mente e non se ne vanno più. La peculiarità del terzo Daft Punk è che, a dispetto dell’approccio appena descritto e dell’immediatezza dei ritornelli, i brani che lo compongono si aprono spesso in frammenti meno armoniosi del solito, estremamente acidi e dissonanti, pescando a piene mani da un mare magnum di stili e influenze diverse. Così si passa dalla coda quasi techno di The Prime Time of Your Life alla citazione di Iron Man dei Black Sabbath in The Brainwasher, con la cassa dritta che sale sempre di più, spezzata da riffoni hard rock. Un caleidoscopio praticamente perfetto in cui i pochi momenti pop più puri di Making Love (che anticipa le sonorità del successivo e finale Random Access Memories), si compenetrano, diventando un tutt’uno, con i Primal Scream più spigolosi in Steam Machine.

Un album essenziale sia concettualmente, sia nei suoni, sia per una strumentazione mai così minimale (chitarra, drum machine Ludwig Vistalite, Roland 808 e vocoder) e che, dopo quella botta sintetica – doppio senso voluto – di Technologic, con il beat deep house rotto dalle chitarre e dal Roland, si chiude circolarmente con l’unica possibile conclusione di questo percorso di umanizzazione, lasciata ad un’unica significativa parola: emotion. Quasi a ricordare che, nonostante tutto, in quanto uomini “sentiamo”, e quelle sensazioni che inizialmente creano scompiglio sono ciò che rende la vita meritevole di essere vissuta. A volte possono renderti felice, a dispetto delle previsioni, e devono essere accettate in quanto tali, perché homo sum, humani nihil a me alienum puto.

E in questa umanità anelata, temuta e forse alla fine conquistata, si trova la chiave di volta di questo capolavoro che dopo vent’anni brilla, se possibile, ancora di più. (L’Azzeccagarbugli)

2 commenti

  • Avatar di nxero

    la mia componente soggettiva su questo “gruppo” è che facciano incommensurabilmente cagare. Ma de gustibus eh…

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  • Avatar di Exxo

    Amo l’elettronica dalla techno più spinta all’idm e ambient anni 90 inglese, ma i daft punk non li ho mai digeriti, troppo ripetitivi e voce robotica insopportabile,la produzuone è ottima ed i suoni sono belli ma usati male. I Justice hanno fatto la stessa cosa ma molto meglio

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