Avere vent’anni: TAAKE – Hordalands Doedskvad
Vent’anni fa Doedskvad mi prese malissimo. Non ricordo se fui io a recensirlo sul Metal Shock cartaceo, probabilmente sì, ma in tal caso non dovrei averne parlato bene. Il fatto è che avevo un’opinione molto alta dei Taake, l’ultimo gruppo black norvegese tout-court da cui mi aspettassi qualcosa. Non dal punto di vista qualitativo: parlo di progressione in avanti, di espansione dei confini del genere. Ne ho già parlato ma riassumo in breve: per me i Taake sono gli ultimi in ordine di tempo ad aver dato effettivamente qualcosa al canone; e quindi con Nattestid e Bjoergvin era come assistere alla Storia che si sviluppava sotto ai propri occhi, a una modifica per quanto parziale o addirittura infinitesimale della definizione stessa di black metal.
Con queste premesse, chiaro che Doedskvad mi deluse. Il motivo è palese sin dal primo ascolto: è una dichiarata battuta d’arresto alla propria evoluzione, un manifesto abbandono di ogni velleità e di ogni avanzamento sul percorso simbolico della chiusura del cerchio. Quella fase era stata chiusa con Bjoergvin, dopo il quale i Taake avrebbero proseguito senza più rischiare, lasciandosi prendere dalle derive black’n’roll (peraltro abbastanza naturali nei gruppi norvegesi) e, in definitiva, cazzeggiando un pochino. Mi aspettavo un disco importante, ma arrivato a questo punto Hoest voleva solo scrivere dischi belli, non importanti. Io, come potete immaginare, non sono riuscito a entrare nelle corde della questione, così ho rigettato il disco.
Poi sono passati gli anni, i Taake hanno continuato ad esistere diventando un gruppo normale che ogni tanto fa un disco e mi sono abituato alla cosa. A dir la verità già con Noregs Vaapen del 2011 non mi ero fatto alcun problema nel considerarlo quello che era, ovvero un normale album di black norvegese riuscito abbastanza bene; alcuni pezzi continuo ad ascoltarli tuttora.
Se questa fosse una sceneggiatura di una commedia o di un film di redenzione, dovrei dirvi che ora, essendomi riaccostato a Doedskvad dopo aver assimilato tutte queste cose, sono finalmente riuscito a trovare la bellezza di questo disco, bellezza che mi ero perso a causa dei miei pregiudizi. E invece la nota stonata è che Doedskvad non mi piace tuttora, neanche a mente fredda. Mi sembra un disco di transizione tra le due fasi, il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro a cui poi alla fine non ritorni mai, perché a quel punto tanto vale sentirsi i primi due o quelli dall’omonimo in poi. Non ci sono pezzi che mi rimangano in testa, non ci sono particolari riff o passaggi che mi facciano saltare dalla sedia, non mi crea alcun tipo di atmosfera particolare, eccetera. Insomma, già questo era il disco della svolta (in negativo), in più non era manco uscito bene. Quindi avevo pure un po’ ragione io, alla fine. Visto che plot twist? (barg)



No.
Non faccio riferimento al tuo gusto personale nei riguardi del disco. Ma ci risiamo con la storia del black’n’roll.
Faccio un paio di esempi così magari ci capiamo: I di Demonaz è black’n’roll. O Nattesferd dei Kvelertak. Non questo disco. No.
Questo disco è melodic black metal con uno spettro di influenze che vanno dallo speed anni 80 (non il thrash, no) sino al folk norvegese. Ci puoi sentire anche qualcosa dei Windir o dei momenti punkeggianti. Ma basta con sta storia del black’n’roll.
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Devo dire che l’ho riascoltato giusto due giorni fa e me lo ricordavo molto più bello. Invece a parte HD I, III e la splendida VII della quale il riff da 5.26 in poi resta uno dei miei preferiti di tutto il Black Metal, ha davvero pochino rispetto non solo ai primi due, ma anche ad un Noregs Vaapen.Credo sia anche per questo che esista questa rubrica
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