Avere vent’anni: ANTHRAX – The Greater of Two Evils

Tre anni prima i Testament avevano deliziato un sacco di metallari con First Strike Still Deadly. Non apprezzai particolarmente l’operazione, se non per il fatto che avesse riportato nell’ovile uno come Alex Skolnick. I pezzi originali, prodotti da Alex Perialas, erano invecchiati peggio di quelli prodotti altrove, seppur in contemporanea, da un Flemming Rasmussen? Certamente. Ma non meritavano una produzione così contemporanea e priva di guizzi, che ammazzasse le dinamiche degli strumenti e in primis il violento picchiettare del mio amato John Tempesta. Io quel disco non l’avrei mai fatto nascere.

Per questo motivo all’annuncio di The Greater of Two Evils sentii parecchia puzza di bruciato. Gli Anthrax ero abituato a giudicarli come bambini dispettosi che, oramai, ad ogni uscita discografica mi giocavano un qualche tiro, era così all’incirca da Stomp 442. We’ve Come for You All era stato un album prolisso ma comunque infarcito di canzoni gradevolissime. E il suo essere così variopinto non era necessariamente un male, giacché era impossibile preferire uno dei suoi episodi velatamente thrash metal a una più che godereccia Cadillac Rock Box, composta sulle ali dell’hard rock più fricchettone.

Non sapevamo quel che stava accadendo agli Anthrax, ma con The Greater of Two Evils non uscì semplicemente “un album di registrazioni di brani degli anni Ottanta con John Bush alla voce”, ovvero ciò che il press flyer, recitava testuali parole, all’arrivo del promo.

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Gli Anthrax avevano chiuso con la loro fase sperimentale, il prossimo passo era chiudere in qualche modo con John Bush. Utilizzarono lo stesso metodo che utilizza il dottore per controllare la prostata a un paziente di quaranta anni: gli fecero cantare i pezzi di Belladonna, poi rimisero dentro Belladonna e Spitz, poi misero un certo Dan Nelson a tenere lontani gli uccellini dagli ortaggi in giardino affinché non depredassero il raccolto. Ripreso John Bush, lo licenziarono nuovamente. Fu come mettere e levare il gatto dalla lavatrice numerose volte perché si è rovesciato addosso dell’olio: quei figli di puttana inverecondi non riuscirono ad ammazzare il gatto, che si riprese gli Armored Saint e ne fece un qualcosa di assolutamente più efficace degli attuali Anthrax.

Il vantaggio degli Anthrax sull’album di rifacimenti dei Testament risiedeva nella produzione più fresca e genuina, che ottennero in one take in uno studio infarcito di validi professionisti, fra cui Joey Vera degli stessi Armored Saint nella veste di ingegnere del suono ausiliario. Probabilmente era lì solo per avvisare sottovoce John Bush delle vagonate di merda in arrivo sul binario uno.

Inutile soffermarsi sui brani. Non avrei riregistrato una Keep it in The Family poiché il suono di Persistence of Time era già sufficientemente moderno per poter competere con i decenni a venire. Lo stesso discorso vale per Belly of the Beast. Al confronto con il gran maestro di talleria Neil Turbin e il suo vigliacco successore, John Bush ne uscì come un Dio sceso in terra per cantare nella maniera più perfetta ipotizzabile qualunque materiale gli si proponesse. Lunga vita a John Bush, fanculo agli altri. Pronti a entrare in pilota automatico e a rimanerci a tempo indeterminato. (Marco Belardi)

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