Avere vent’anni: PAGAN ALTAR – Lords of Hypocrisy
La NWOBHM, oltre ad essere una delle epoche più feconde ed essenziali nella storia dell’evoluzione dell’heavy metal, è stata davvero un grande vespaio. Praticamente tutti generi dei dieci anni successivi al triennio 1979-1980-1981, periodo di maggiore attività di questa storica scena, sono stati creati e influenzati dalla scia di qualche gruppo venuto fuori in quegli anni nella perfida Albione. Il metal estremo? Venom. Il thrash o lo speed metal? Iron Maiden, Diamond Head, Raven, Tank, ecc. Era però, appunto, un vespaio, perché, come tutti i grandi movimenti culturali, ispirò tanti giovani a buttarsi nella mischia, col risultato che ai più ossessionati ci vuole l’equivalente di tre vite per collezionare o anche solo per venire a conoscenza di ogni singola banda, ogni singolo 7” o demo.
Uno dei gruppi che non lasciò praticamente nulla all’epoca in cui avrebbe dovuto sono i Pagan Altar, ormai diventati oggetto di culto sia tra gli estimatori della new wave che del doom più ammuffito e vintage. Erano infatti appartenenti a quella particolare branca che includeva anche gruppi come i Witchfinder General, che aveva come principali temi quelli dell’orrore e del gotico, e come immaginario quello delle brughiere battute dal vento, dei luoghi spettrali e abbandonati e di tutta quella roba là.
Terry Jones e sodali dovettero aspettare fino al 1998 per vedere finalmente uscire un album ufficiale a nome Pagan Altar, dopo che il demo del 1982, soltanto sedici anni prima, era stato registrato e dimenticato in qualche scaffale, facendo sì che il tempo facesse marcire i nastri. Per tutti quegli anni il leggendario primo album è stato oggetto di contraffazioni, fino a quando i Nostri hanno deciso di stamparselo da soli. Da allora i Pagan Altar sono diventati un gruppo di culto, e hanno sviscerato una tonnellata di materiale che avevano pronto da decenni, riuscendo a riempire diversi dischi con, cosa non assolutamente scontata, dell’ottima musica. Come su Lord of Hypocrisy, per esempio.
Il disco è bellissimo, ammantato di mistero, atmosfera, teatralità e, se vogliamo, anche di un tocco di epicità. Lo stesso Terry Jones a tratti ricorda parecchio Mark Shelton come stile vocale, e provate a negare che la bella The Interlude, contenuta in questo disco, non vi ricorda la parte iniziale di Dreams of Eschaton. Vi sfido.
Lord of Hypocrisy è un altro classico “mancato”, o se preferite “tardivo”, perché ha dovuto aspettare tempi più calmi e tecnologici per venire fuori per quello che è, ed è puramente a causa della legge della sfiga se Terry Jones non è riuscito a godere di ciò che il suo innegabile talento gli avrebbe dovuto garantire tempo addietro, ovvero il riconoscimento che tutti i giovani o meno giovani, sempre a caccia di rarità e di “vintage”, giustamente gli tributano ora. Il cancro se l’è infatti portato via quasi dieci anni fa. (Piero Tola)


Capolavoro!
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