INCHIUVATU // AGGHIASTRU // LAMENTU @Defrag, Roma – 18.10.2024

Non è un concerto qualsiasi. È teatro. Perché ogni siciliano vive convinto di stare sulla quinta di un palco. Lo diceva Pirandello. Ora parrebbe stucchevole, e forse un po’ lo è, menzionare lui e altri esponenti illustrissimi dell’immenso fardello culturale che si porta appresso ogni siculo, anzi, greco, premetterebbe Agghiastru, ché chi nella beddìssima Trinacria ha avuto i natali si ritiene tale più di un greco nominale magari considerato, onta suprema, un mezzo turco. Però davvero non è questione di voler mostrare di esser stati attenti all’ora di italiano al liceo. Perché sul serio penso a Verga (non a quello dei Malavoglia, bensì a quello sardonico delle novelle sulle tragiche compagnie di guitti che rievocano malfermi le epopee dei paladini), quando ci saluta come romani e constata con un sorriso amaro: “ce ne fossero”; quando ci ricorda che la vita non è che “la dolce attesa di un cancro”; quando protende un sacchetto destinato a raccogliere offerte “per il nostro dramma” che ci verranno poi restituite, tirate addosso; quando appende alle croci che svettano sul palco nastri che recitano la nostra maledizione, tale per il solo fatto di esser vivi; quando ci dà degli sciagurati; quando chiede chi cazzo siamo noi ma soprattutto chi cazzo è lui. Uno, nessuno e centomila.

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Il pacchetto proposto in questi mesi, dopo una lunga assenza dai palchi, prevede tre incarnazioni di questa inquieta anima, i cui avatar musicali si fatica a contare. Anche qua nulla di più siciliano. Sovrabbondanza. Sempre in virtù di quel peso incommensurabile, quella ridda di riferimenti dei quali non si riesce a tralasciare nulla, troppi stimoli e doverli esprimere tutti per non impazzire. Non mi chiedo perché i LAMENTU e non Astimi o La Caruta di li Dei (che disco enorme fu Mediterraneo Atto I?). Per qualche motivo, mi sembra la cosa più naturale del mondo che si inizi con l’esecuzione di Liak, unico full del progetto, inni a deità totemiche nordafricane a suono di death/thrash crudo e sanguinario. Lui è vestito come il figurante di una Semana Santa andalusa, macchie di sangue sul cappuccio. Se a un certo punto tirasse fuori una spugna chiodata da vattiente e flagellasse le prime file non mi stupirei. Il bassista Iblis a un certo punto pare soffocare sotto il pesante camuffamento. Il batterista picchia ma non si vede, avvolto dai fumi. Per la cronaca, Liak fu il primo disco in assoluto che recensii quando, qualche vita fa, iniziai a scrivere per Metal Shock. Non sono il tipo che vede cerchi che si chiudono dappertutto ma non posso fare a meno di pensarci.

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La preannunciata overture affidata ad AGGHIASTRU, vale a dire la denominazione sotto la quale sono stati pubblicati i conturbanti Incantu e Disincantu, è il momento meno palatabile e traducibile. C’è l’amore dichiarato per Nick Cave, cantastorie che non sa di essere tale e può essere quindi adottato da tradizioni a lui aliene. Maschere che si rincorrono. Maschere, maschere e ancora maschere. Un po’ mi distraggo. Cappelli alla McCoy. Chitarroni cadenzati che coprono proclami che un po’ si perdono. Ma l’effetto ricercato, lo stacco, comunque arriva. I suoni non sono ben bilanciati e quando comincia la riproposizione di Addisiu, il miglior disco black metal mai uscito dall’Italia, l’intollerabile intensità di Cu sancu a l’occhi ne esce un po’ smorzata. Poi con Ave Matri si inizia a volare, e non tanto perché si aggiustano i volumi, ma perché finalmente, dopo tre decenni circa, questo disco lo capisco. Questa canzone la capisco, comprendo che quella patina di urticante blasfemia, che da ragazzetto un po’ faceva sghignazzare (e va benissimo perché il riso e l’ironia sono una grossissima parte del gioco, guai a non capirlo) nasconde un sottotesto ben più doloroso. Ché la bestemmia è contro ogni Madre che ci ha fatto nascere nostro malgrado, e quindi siamo tutti Cristo. Il messaggio del primo Lp degli INCHIUVATU era questo. L’Imitatio Christi non è qualcosa a cui tendere, è il tuo destino sin dal concepimento e devi abbracciarlo in quanto tale, devi abbracciare la croce.

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Gli interventi delle marionette non sono pleonastici ma necessariamente didascalici. Io Addisiu l’ho capito davvero solo oggi perché me lo hanno spiegato i pupi. Peraltro io non sono d’accordo per niente, magari da adolescente avrei potuto empatizzare ma con la mezza età ho maturato una visione dell’esistenza profondamente vitalista e ritengo che alla vita si debba dire un grande Sì a prescindere. Ancora meglio quindi, perché sai che noia pagare per andare a sentire quello che già condividi. Che razza di teatro sarebbe. A distanza di tanto tempo emerge anche l’incredibile sofisticazione di quel lavoro, capisci come Agghiastru fosse allora già un musicista formato con una padronanza dei linguaggi superiore, come Addisiu non fosse stato solo il frutto di un’urgenza estetica. Michele Venezia, se avesse voluto, probabilmente avrebbe potuto tirar fuori un disco folk o jazz sulla stessa materia.Pubblicare un album black metal fu anche una scelta conscia, non solo la necessità di dare sfogo a un tracimare di idee che, in età giovanile, doveva essere stato ancora più soverchiante (gli Ep recenti pubblicati a nome Inchiuvatu appaiono abbastanza studiati a tavolino, è questa non è una critica bensì una constatazione).

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La presenza scenica è quella di un attore vero. Vengono i brividi quando su Unia le luci trasfigurano il suo volto scavato nel teschio che tutti attende. Mi torna in mente che quando presi in mano per la prima volta uno strumento uno dei primi riff che provai a imparare non fu Smoke on the Water ma il giro iniziale di Castiu di Diu. Cristu Crastu la cantiamo tutti in coro. Era uno scherzo ma quella liquida parentesi cantata in inglese fa venire i brividi ancora oggi. Perché hanno saltato la canzone del titolo e Lu jaddinu di lu piaciri? Arrivano alla fine, solo voce e piano, io e qualche altro fanatico le intoniamo ad alta voce. “E quando vi ricapita?”, fa Agghiastru. Io francamente spero che ricapiti presto. Esco turbato, con la testa piena. Non è stato intrattenimento. Non c’è stato niente di leggero, né tantomeno di catartico, au contraire. Torno a casa e penso alla morte. (Ciccio Russo)

4 commenti

  • Avatar di Gabratta

    Sembra assurdo, ma da agrigentino (che dalla Sciacca di Agghiastru dista solo pochi km) purtroppo non ho mai visto live gli Inchiuvatu (però i Lamentu sì, in uno dei due festival metal passati per la città dei templi negli ultimi 36 anni), quindi posso solo immaginare la bellezza decadente. Non c’è un metallaro siciliano uno che non abbia sentito almeno una volta Cristu Crastu. Poi, manco a farlo apposta: dalle mie parti girano voci che Nick Cave sia in parte proprietario del locale sulla spiaggia più famoso e frequentato della città, con gente che giura di averlo visto pure di presenza.

    E comunque sì, Addisiu miglior disco Black Metal italiano di sempre, e non per puro campanilismo

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    • Avatar di Ciccio Russo

      Per curiosità, secondo te perché i Lamentu hanno finito per essere il progetto che porta in giro più spesso, Inchiuvatu a parte? L’idea mia è che da una parte sono abbastanza estremi e lineari per piacere un po’ a tutti, dall’altra hanno comunque un quid di sofisticazione e stranezza che manca ad Astimi o Maleficu Santificatu.

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      • Avatar di Gabratta

        Assolutamente sì, i Lamentu sono più “faciloni” se vogliamo usare quest’aggettivo: ricordo che in quel fest erano stati molto apprezzati, e il metallaro agrigentino medio se va oltre ai Death è un mezzo miracolo.

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  • Avatar di El Baluba

    sarei voluto fortemente venire, ma ormai arrivo il venerdi sera che sono cotto e stracotto dalla settimana lavorativa ed affrontare una traversata di Roma lato a lato mi ha fatto passare completamente la voglia di venire. MI è dispiaciuto, ma l’avvicinarsi ai 50 iniziano a farsi sentire. Contento sentire da Ciccio che la serata è andata molto bene.

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