Gli ultimi Sepultura rimasti: THE TROOPS OF DOOM – A Mass to the Grotesque

Avrete certamente letto l’altisonante dichiarazione di Max Cavalera in merito alla possibile reunion dei Sepultura con la line-up classica. Chiunque fosse capace di fare due più due l’aveva messa in conto all’epoca dell’annuncio dello scioglimento della band, ma ora la faccenda inizia a assumere i tratti di una mezza ufficialità. Distratti come siamo da un argomento così importante, è naturale che il secondo album dei The Troops of Doom di Jairo Guedz, primissimo chitarrista del gruppo brasiliano, sia completamente passato in sordina. Pensateci, è come se fossero gli ottavi Sepultura, che nella graduatoria si posizionano dietro agli storici, a quelli di Derrick Green, ai Sarcofago, ai Soulfly, ai Cavalera Conspiracy, ai Cavalera che riregistrano cose e a coloro che con tutta probabilità ritorneranno in attività come se Gloria Cavalera non fosse mai esistita. Come possono fare notizia nel 2024?

A Mass to the Grotesque mi piace ancor più del suo ispiratissimo predecessore perché assume una forma precisa. Non scimmiotta i primissimi Sepultura per poi ammiccare a sonorità filoeuropee e variare stile per una prima, una seconda e infine un’ennesima volta. È maggiormente coeso, non ha la pretesa di correre parallelo al war metal, va dritto e bilancia alla perfezione rapidità esecutiva, cattiveria e melodia. Il finale di Denied Divinity ha uno di quei lead di chitarra che potremmo definire filoeuropei, sì, ma stavolta non è una componente predominante.

Il suono di batteria è secco come piace al sottoscritto. Considerando che in occasione della pubblicazione del primo album la batteria era stato uno degli aspetti ritenuti infelici, e considerata la mia ossessione per il suddetto strumento, questo è un ulteriore aspetto positivo. La batteria di A Mass to the Grotesque suona proprio bene, dinamica e con un rullante che ben scandisce il ritmo e detta legge.

I pezzi hanno quella capacità di risultare semplicissimi e allo stesso tempo dinamici, capacità dovuta alla presenza di quel riff in più o di quell’azzeccato cambio di tempo al momento giusto. The Impostor King nulla sarebbe senza quel break centrale, probabilmente la ricorderei per l’aperta ammiccata al black metal in avvio e in conclusione. Dawn of Mephisto la migliore del lotto con il suo attacco alla Iconoclast (sì, dei Necrodeath) seguita a ruota da Faithless Requiem, un thrash/death alla Possessed che non lascia scampo. Al centro della stessa troviamo l’altra palese europeata dell’album, un riff chiaramente alla At The Gates.

Con il suo baffo da pizzaiolo hipster Jairo Guedz si conferma l’ultracinquantenne più in forma della scena thrash metal storica. Una formazione stabile da quattro anni e che francamente funziona in ogni sua parte, e, con A Mass to the Grotesque, un secondo titolo che non mostra stanchezza compositiva o anagrafica. (Marco Belardi)

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