FIREWIND – Stand United: tutto bello, Gus G, ma ora dedicati un po’ ai gatti

I musicisti, amatoriali o professionisti che siano, di solito si dividono in due grandi categorie: autori ed esecutori. Nella prima si trovano tutti quelli, me compreso, per i quali il piacere più grande che deriva dallo strimpellare una chitarra (o un altro strumento) non è tanto suonare di per sé ma piuttosto creare, esprimere un voce propria e personale, insomma tirare fuori roba inedita; l’altra categoria è composta da quelli che invece dal punto di vista della creatività sono per lo più stitici e che quindi sono contenti di riproporre cose altrui, soddisfatti nell’imparare a memoria i pezzi, gli assoli, di riproporre più o meno fedelmente le tecniche e i suoni dei loro artisti preferiti. Ah, e poi chiaramente esistono le varie sfumature tra i due estremi. Però, ecco, diciamo che di base le due grandi macro categorie sono queste. Da ragazzino, mille anni fa, ricordo di aver letto un’intervista a Bruce Dickinson nella quale la nostra amata sirena, riferendosi alle capacità autoriali di Dave Murray, le descriveva più o meno così: “Per Dave scrivere un pezzo è un travaglio dolorosissimo della durata di qualche anno, non lo fa volentieri”; e ci rimasi, perché io davo invece per scontato che chiunque imbracciasse per la prima volta una chitarra o approcciasse un qualsiasi strumento, chiaramente da autodidatta, fosse naturalmente portato a cercare subito di trovarci la propria voce sopra, quando invece non è così, ci sono vocazioni e inclinazioni diverse. D’altronde se fossero tutti come me non esisterebbero le cover band (e manco il jazz), ma tant’è, non è un mondo perfetto.

Ecco, Gus G invece è uno che scrive un sacco di canzoni e non riesce proprio a farne a meno. Certo, dietro ci sono sicuramente anche esigenze contrattuali e necessità di restare sul pezzo (in ogni senso possibile) però ecco, tra dischi solisti, i Firewind, collaborazioni, apparizioni (come la Madonna) e quant’altro effettivamente non sta fermo un attimo, il che, per un creativo, non è sempre sinonimo di buona salute. Anzi. E infatti Stand United non è questo granché. Oddio, che poi io in realtà ero rimasto ad Immortals che, al netto di qualche difetto, non era manco male, ma vi assicuro che Stand United è peggiore. I pezzi sono davvero canzonette, ovvero costruiti su riff che già di loro non farebbero gridare al miracolo e poi ampliati in canzoni che sono “povere”, se mi passate il termine. Cioè non semplici, che non sarebbe manco male, ma sciatte, senza mordente, senza profondità. Ci sono un paio di eccezioni, vedi Destiny is Calling e Chains, ma tolte quelle il pezzo più riuscito è Talking in your Sleep, una cover, il che è tutto dire. Consiglio quindi al simpatico Gus G di riposare un poco appena finisce il tour con i Firewind, di dedicarsi ai gatti, al caffè e insomma a qualche passatempo che non sia quello di prendere in mano la chitarra e tirare fuori riff su riff perché ad un certo punto le cartucce finiscono e ritrovarsi a sparare a salve senza rendersene conto è un (relativo) attimo. Solo per gli appassionati, insomma. (Cesare Carrozzi)

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