Non un capolavoro ma quasi un miracolo: JUDAS PRIEST – Invincible Shield
Invincible Shield non è un capolavoro e non è nemmeno coinvolgente come il precedente Firepower, non di meno è un mezzo miracolo e un lavoro che, al netto di qualche riempitivo, è comunque godibilissimo. La recensione potrei chiuderla qui, ma dato che, come già sapete, mi pagano a numero di caratteri scritti, non è che posso limitarmi a due righe in croce e mi tocca farla un poco più lunga. Il fatto è che con ogni probabilità quello che è successo in casa Priest è quello che non è successo nei Maiden, cioè che l’improvvisa incapacità di uno dei membri fondatori e in ultima analisi padre/padrone, e nella fattispecie di Glenn Tipton, invece che essere la fine del gruppo ne ha salvato le sorti.
Per carità, capirete bene che quello che è capitato a Tipton (che per chi non lo sapesse ha il Parkinson da qualche anno) è una tragedia e non può che essere diversamente, ma guardando la cosa da un altro punto di vista, e cioè quello della tenuta dei Judas Priest, la condizione di Tipton ha portato ad un inevitabile rimescolamento dei ruoli all’interno del gruppo, con Richie Faulkner che per forza di cose è dovuto uscire da sotto l’ala protettiva del primo e qualcun altro che si è trovato a subentrare per supplire alla seconda chitarra, cioè Andy Sneap (che immagino sappiate tutti chi sia), entrato in pianta stabile dal vivo e reclutato come “chitarrista ombra” in studio. Questo è il motivo per il quale Firepower suona diversissimo, anche come produzione, dall’album immediatamente precedente (Redeemer Of Souls) e pure dagli altri della discografia dei Priest, ricordandomi parecchio, come scrissi nella recensione, l’ultimo periodo solista di Rob Halford.
Diciamo che compositivamente parlando, in barba ai crediti che riportano sempre la triade Halford-Faulkner-Tipton, la parte del leone in Firepower la fece Rob Halford coadiuvato da Faulkner e, in maniera più sfumata, da Sneap (nel doppio ruolo di produttore e chitarrista), mentre in questo Invincibile Shield l’influenza di Faulkner è più marcata, con quel certo sapore anni ’70 che gli stessi Judas Priest non ritrovavano, appunto, dagli anni ’70, vedi per esempio Giants in the Sky o Fight for your Life. Ecco, con Glenn Tipton al comando due pezzi così sarebbero stati impossibili da proporre o comunque sarebbe stato difficile farglieli digerire, come pure Rob Halford che canta in maniera più “comoda” e non forzando la voce rincorrendo i vent’anni che furono come a volte si può sentire su Reedemer of Souls, qualcosa che, a questo punto è chiaro, faceva di controvoglia.
Comunque Giants in the Sky e Fight for your Life sono due pezzi carini, mentre i migliori del disco per quanto mi riguarda sono As God is my Witness, The Lodger, Trial by Fire e The Serpent and tThe King. I rimanenti non è che siano brutti o che, ma, ripeto, con tre o quattro riempitivi di meno sarebbe stato meglio. In ogni caso ai Judas Priest di oggi non credo si possa proprio chiedere di più e per quanto mi riguarda Invincible Shield è sicuramente tra i dischi di questo 2024. E anche oggi mi sono guadagnato il pranzo, daje. (Cesare Carrozzi)

Sostanzialmente d’accordo con ciò che scrivi.
Ma hai tirato sicura in ballo i Maiden e quindi arriverà questo disagiato – o due – che si sentirà offeso nel fanatismo. Segno che mi sa che un po’ ti piace essere perseguitato! 😁
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È il contrario.
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“ssicura” doveva essere “ancora” ma va beh…
È il contrario nel senso che è agli altri che piace perseguitati? 😁😁😁
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Refuso nel mio commento.
È il contrario nel senso che è agli altri che piace perseguitati? 😁😁😁
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Che a me piace perseguitare loro, tutt’al più. Ma manco è vero, nel senso che, molto banalmente, scrivo quello che penso. Poi se uno se la prende, amen.
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Ma ccerto.
Ovvio che io stessi scherzando. Ci mancherebbe!
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Il paragone coi Maiden é impietoso, spiace dirlo. La sciatteria di Harris e co.nel fare dischi é imperdonabile.
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Mai mi sarei aspettato un disco del genere. Mai nella vita, sia perché reputavo il precedente un episodio irripetibile; sia per gli eventi critici che avrebbero mandato definitivamente al tappeto qualunque altra band.
E invece.
Sono sostanzialmente d’accordo con Cesare. Aggiungo qualche parola, anzitutto per esprimere la sensazione di entusiasmo e di caparbietà commovente che trasuda dalle note del disco. Una capacità di tollerare e superare la frustrazione, da parte dei Priest, straordinaria. E poi sì, esatto. Colui che si è caricato la responsabilità della riuscita dell’album sulle proprie spalle. Richie Faulkner. Nessuno mi toglie dalla testa che abbia dato una svecchiata enorme nell’approcciare l’esecuzione del disco, trascinando stilisticamente il resto della band. Ci sono licks e armonizzazioni power metal (la title track, soprattutto), e un diffuso riffing molto più speed che classic metal. In più di un momento mi sono venuti alla mente i Megadeth di Endgame, per esempio. Parlo di modo di suonare, ovviamente. Non di altro.
Per una volta: un plauso al suono di chitarra mostruoso. Veramente mostruoso. Avrei spinto un po’ di più sul basso. La batteria invece non la gradisco troppo come resa. Ma alla fine sti cazzi.
Miei brani preferiti, ad oggi (ma più ascolto, sono tipo a quota 14/15 ascolti da venerdì, più mi rendo conto che mi piacciono veramente quasi tutti i brani):
The Serpent and the King; Gates of Hell; Trial by Fire; Sons of Thunder; Fight of your Life. Ma ripeto, mi piace quasi tutto. L’unico brano leggermente sottotono è Escape from Reality. Crown of Horns stucca un po’ per la ripetizione infinita del cantato sul refrain. Comunque peli nell’uovo.
Miracoloso e commovente.
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Commento maestoso, bravo.
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E’ quello che mi aspettavo, ma un po’ meglio. Un copia incolla di Firepower, giocare sul sicuro e non rischiare. Solo che me lo aspettavo moscio, invece si ascolta volentieri. 14 canzoni (63 minuti) però sono un po’ troppe e verso la fine stanca un po’. Detto ciò: 1 – sono strasicuro che abbiano usato trucchetti di tutti i tipi per far cantare così Halford, fa strilli che non gli sentivo fare da Crucible, quindi rifiuto di credere che sia davvero lui, specialmente alla luce di tutti i progressi fatti dalla maledetta IA; 2 – è come ho scritto sopra totalmente un copia-incolla, e per un gruppo di professionisti come loro è un compitino. I Judas Priest un disco così possono farlo in 6 mesi, altro che 6 anni.
Mi piace, ma continuo a preferirgli i recenti Saxon e KK, più genuini.
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Concordo con Cesare; qualche pezzo in meno sarebbe preferibile. In compenso mi piacciono di più i pezzi che gli piacciono di meno e viceversa.
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Io invece preferisco questo a Firepower (che non mi ha mai entusiasmato, pur piacendomi moltissimo). Esattamente come per l’accoppiata Screaming e Defenders (quest’ultimo assolutamente superiore e massimo capolavoro nella discografia dei Priest): coordinate stilistiche simili ma con il secondo leggermente più evoluto, con riff, soli e refrain per me più memorabili. Soprattutto i soli. Da tantissimo non godevo così tanto nell’ascolto degli assoli in un’album dei Priest.
A proposito di professionisti e compitini: evidentemente non è così automatica la realizzazione di un capolavoro che stravolge/evolve il passato anche se di mezzo ci sono mostri sacri come i nostri e la loro discografia è lì a dimostrarlo:
Sad Wings of Destiny – Sin After Sin
Stained Class – Killing Machine
Screaming for Vengeance – Defenders of the Faith
Turbo – Ram it Dawn
Jugulator – Demolition
Firepower – Invincible Shield
Spesso e volentieri hanno composto uno dopo l’altro degli album con forti analogie tra di loro (a livello di composizione e di suoni/produzione).
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La recensione riguarda la versione con bonus track,esiste quello con la durata inferiore per quelli che lo trovano troppo lungo.
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Questione connessa al disco in oggetto ma ampiamente generalizzabile: il packaging dei CD moderni. Volevo inizialmente acquistare la versione “breve” dell’album, perché non avendo ascoltato del tutto il disco immaginavo che le bonus track fossero ampiamente trascurabili. Mi reco quindi in negozio (Discoteca Laziale, Roma) e vedo, bestemmiando come un ossesso ma senza esprimermi a parole, il solito ridicolo, merdosissimo cartoncino del cazzo, buono come sottobicchiere per una birra da un litro.
Ora: la questione non è solo estetica. Non è che la confezione che ammanta il CD è carta riciclata una ventina di volte, che fa schifo al cazzo e che si usura fino ai limiti della poltiglia di cartapesta. No. È che quando tenti di estrarre il disco da quell’involucro di merda è come se lo stessi strusciando su una superficie di compensato/truciolato di Ikea. Il risultato è che sul lato leggibile del supporto in policarbonato si produce una rigatura in più ogni volta che lo estrai. Se quel disco, per ipotesi, tu dovessi ascoltarlo almeno un centinaio di volte; togliendolo e rimettendolo nella merdosa confezione di cartone con cui normalmente si ammantano dodici birre da 50 cl (porco dio, così, mi sovviene), si ridurrebbe a un pezzo di plastica simile a qualcosa che ti sei infilato e tolto dal culo un paio di volte o tre.
Ragionando su questo e sui 19 euri da investire sul cartoncino e il policarbonato da culo, viro sulla versione “Hardback Cover Deluxe fregnaperforante mecojons plus 3 bonus tracks”. 25 Pippi e passa la paura. Così mi illudo che sia. Ci sarà un cazzo di supporto di plastica, dio lordo, che sorregge il fottuto policarbonato, in questo caso? Col cazzo. C’è l’hard, il cazzo di digibook, certo. Ma dentro indovinate un po’? Al posto della plastica c’è la consueta carta, stavolta a mò di busta da lettera, però, che contiene il cd. Carta che non è come quella della versione a 19 euro. È un po’ come la tenderly, piuttosto della vetrata con cui uno potrebbe asciugarsi il retto.
Vuoi mettere? 6 euro in più per trovare il modo di estrarre il CD dalla busta da lettera senza farlo volare in terra di taglio. Un’operazione chirurgica per pinzarlo con le dita, bestemmie a nastro e farsi venire in mente Greta Thunberg, augurandole tumori sparsi.
Andate a fanculo, voi, case discografiche di merda, la plastico-fobia come giustificazione allo spendere meno per produrre cd dignitosi e la vostra madre puttana e rotta nel culo con i cd infilati di taglio. Come un salvadanaio.
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Finalmente qualcuno che capisce quanto fanno schifo quei luridi digipak del cazzo. E quelle bustine schifose che rigano i cd. Ancora peggio quando te li vendono in una merda di sottiletta spessa 2 mm stile riproduzione dei vinili e te lo fanno pure passare per “DELUXE EDITION”. Deluxe un CAZZO! Tutto per risparmiare 5 centesimi, e cercano anche di spacciartelo come cosa figa, da collezionisti. Vogliamo poi parlare di quando quelle merde di digipak, ma con dentro la plastica, arrivano coi dentini dove vai a incastrare il cd già rotti e tu non puoi cambiare il pezzo?
Io sono ad un livello di intolleranza tale verso quelle porcate infami che quando ristampano qualcosa in quel modo piuttosto vado a cercarmi l’edizione vecchia usata con la normale confezione di plastica, a costo di pagarla più di quella nuova. I giapponesi, che sono anni luce avanti a noi, stranamente non ci cascano quasi mai e quando qui ed in America i dischi escono con quelle confezioni di merda da loro hanno il normale jewel case. E infatti spesso mi trovo a spendere il doppio per ordinare la versione giapponese, perchè solo a guardare quei digipak di merda mi viene il nervoso. Avete rotto il cazzo.
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“Vogliamo poi parlare di quando quelle merde di digipack, ma con dentro la plastica, arrivano coi dentini dove vai a incastrare il cd già rotti e tu non puoi cambiare il pezzo?”
Si può cambiare.
Qualche anno fa comprai su discogs, a un prezzo importante ma non estremo, una ristampa (ancora incelofanata) di “For Whose Advantage?” degli Xentrix. Edita da Metal Mind, formato digipack. Quando la aprii, zacchete. Tray in plastica con denti spezzati. Bestemmie in quantità industriali. Non era la prima volta (mi è capitato spesso purtroppo, soprattutto con i cd spediti) e nella fattispecie mi girarono i coglioni perché ci avevo speso abbastanza.
Siccome sono un capoccione, testardo, perfezionista di merda, ossessivo su questa roba, mi misi a cercare tray di ricambio per digipack.
Ti giro un paio di link utili:
https://www.lospecchiodelrock.it/index.php?route=product/category&path=1151
http://www.direct-source.com/groups/DSFLEXI__Flexitrays_Digipack_Trays
Piccolo tutorial.
Materiale: un phon, una pistola con colla a caldo in stick, un taglierino o un coltello sottile.
Togli il CD dal digipack con tray in plastica sdentato o danneggiato, anzitutto. Con il phon spara aria calda nell’intercapedine tra la parte in cartone e il tray in plastica. Serve ad ammorbidire la vecchia colla. La colla che tiene insieme cartone e plastica è visibile con i supporti trasparenti. È in quattro punti, di solito in prossimità dei bordi. Ma anche con tray nero sempre lì sta. Una volta ammorbidita la colla inserisci con delicatezza il taglierino a lama sufficientemente spiegata. Taglia la colla. Viene via facilmente e se lascia residui fregatene. A questo punto il tray è staccato.
Con la pistola e lo stick rimetti negli stessi punti la nuova colla. Attacca il tray di ricambio facendo attenzione a centrarlo bene.
Il gioco è fatto.
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Hai citato la Metal Mind: catalogo eccezionale, confezioni orride. Manco digipak (che comunque odio) fatti bene, tipo alcuni degli Immortal o Candlemass. No, proprio da due soldi, sciatti, schifosi. A un certo punto ho scoperto che i loro titoli in Russia invece uscivano in jewel case ed alcuni titoli mi sono sbattuto a farmeli spedire in quell’edizione pur di evitare quelle merde di cartoncino.
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A proposito invece di copertine, quella principale mi piace ma non mi fa impazzire.
La versione alternativa, invece, è stupenda.
Dopo ripetuti ascolti giusto una traccia la trovo un po’ anonima e skippabile ed è Vicious Circle. Del resto non scarto nulla.
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In Invincible Shield …mi sarebbe piaciuto un ingresso, con suoni meno duri, a seguire diverse parti sono decisamente deliziose, ma alcuni tratti troppo di corsa per essere assimilate e in altri sensazione di troppo fitto e poi , mi sarebbe piaciuto con questo brano quell’effetto giocherellato che si percepisce in diversi punti del cervello. Nel complesso comunque, ciò che mi piace è maggiore rispetto a ciò che non mi piace.
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