CHELSEA WOLFE – She Reaches Out to She Reaches Out to She

Sono ormai tredici anni che Chelsea Wolfe è uscita dalle brumose retrovie dell’underground, dove secondo me ancora imperversava al momento della pubblicazione del suo primo disco The Grime and The Glow, e si è gradualmente imposta come un’artista di riferimento. Che vi piacciano o no i suoi dischi, non si può non riconoscere che, grazie al suo talento compositivo e alla sua creatività, la musicista californiana sia oggigiorno considerata una delle grandi interpreti di una forma musicale che riesce a recepire i suggerimenti della musica drone e dell’industrial, e di utilizzarli per arricchire il patrimonio del cantautorato americano, che rimane la base della sua proposta. Wolfe è una artista che lambisce più generi musicali, riesce a sintetizzarli con abilità in una formula nuova e solida. La sua discografia è lì a dimostrare che è capace di sfruttare anche sonorità estreme e di piegarle al suo volere senza snaturarne l’anima. È (stata?) spiritualmente vicina al black metal e all’ambient (pregevole la sua cover di Black Spell of Destruction di Burzum), ha saputo riconfigurare le atmosfere del doom e ha pescato a piene mani dalle proposte psichedeliche di Swans e Jarboe. Le tinte goth della forma-canzone di Wolfe non sono passate inosservate, e ha potuto quindi collaborare con un altro “menestrello maledetto” statunitense, King Dude. Nei suoi dischi hanno partecipato come ospiti musicisti come Troy van Leeuwen (QotSA) e Aaron Turner (ex ISIS e Old Man Gloom). La sua collaborazione è stata voluta fortemente da Myrkur e Deafheaven. In questo senso, ancora, ho interpretato l’“avventura” di Bloodmoon: I intrapresa assieme ai Converge: non un flirt ma una tappa quasi fisiologica del tragitto naturale di questa musicista, a cui piace sperimentare con i vari generi della musica “oscura”, pesante o no che sia.

All’oscurità della musica, mescolata però talvolta anche a una quasi imperscrutabile dolcezza, si accompagna lo stile della musa. Capelli lunghissimi, trucco elegante ma pesante attorno agli occhi, mise semplice ma ricercata, che predilige le forme vaporose e le tonalità scure o rossastre che, per contrasto, fanno risaltare l’aspetto esangue e il pallore della cantante. Le fotografie che accompagnano i suoi dischi la vedono un po’ sacerdotessa estatica, non presente a sé stessa, un po’ diva decadente, in modo da rievocare i circoli esoterici inglesi dell’Europa della Belle Époque. Grazie al cielo, non si tratta qui di misticismo da bassa lega, un tanto al chilo, ma dell’incarnazione della poetica e della cifra stilistica di Wolfe che, nonostante le sue molteplici iterazioni, rimane fedele a sé stessa senza cedere alle tentazioni dello showbiz che, per quanto se ne dica, intacca notevolmente non solo il mondo delle popstar.

She Reaches Out to She Reaches Out to She, settimo disco di Chelsea Wolfe e primo per Loma Vista Recordings, integra un tragitto musicale già forte di un’estetica artistica rodata. Come fa sapere lei stessa, l’album è stato ispirato dalle tematiche della sofferenza e della guarigione. Nella fattispecie, dalla sua disintossicazione dall’alcol e dalle riflessioni sulle relazioni tossiche di coppia, di cui è stata vittima una sua conoscente. Sarà per questa ragione che questo sembra essere un disco piuttosto “calmo”, specialmente se messo a contrasto con la precedente produzione. In realtà l’angoscia si agita nello sfondo. Whispers in the Echo Chamber ne è la prova immediata, costituita al principio solo da drone ruvidi e batteria elettronica che si sovrappongono sino a saturare l’atmosfera. Quando la voce entra in scena, ha il sapore dell’aria pura. Un respiro, sebbene fugace, perché reinghiottita nuovamente dai suoni elettronici.

In questo disco, più che in ogni altro precedente, si fondono gli stili musicali. La base su cui poggia tutto è fondamentalmente industrial, un misto tra Depeche Mode e Nine Inch Nails, e l’uso di strumentazione elettronica è consistente. Al di sopra di essa, con sapiente abilità, Wolfe riesce a convogliare la musica in più direzioni. Oltre al consueto gothic rock, che già tingeva i passati lavori dell’artista, qui non di rado si sentono influssi trip hop e darkwave e, sebbene con minor frequenza, addirittura elementi jazzistici. Il crescendo elettronico di Unseen World è veramente emozionante. Tra le altre cose, è stata per me una gradita sorpresa leggere che Chelsea Wolfe ha indicato la talentuosissima e troppo spesso sfortunatamente dimenticata Lhasa de Sela tra le ispiratrici del disco: artista straordinaria con una carriera intensissima stroncata troppo giovane da un cancro al seno. In alcuni brani, a causa della tonalità della voce, sembra di risentire in effetti la giovane Lhasa di The Living Road. Allo stesso tempo, questo è il disco in cui la melodiosità del cantato di Chelsea Wolfe mi ha ricordato più da vicino Marissa Nadler, altra cantautrice giovane dal talento cristallino e dalla dinamica vocale ammaliante. È sufficiente ascoltare i primi secondi della ballad “maledetta” dalle rifrazioni elettriche Place in the Sun per notare più di una assonanza. Quando Wolfe sceglie i registri alti, la sua voce è veramente scintillante, un’emozione veramente coinvolgente.

Chelsea Wolfe si trasforma quindi da profetessa dell’Apocalisse a chanteuse elettronica contemporanea. She Reaches Out to She Reaches Out to She è un disco raffinato. Scritto bene, suonato bene e interpretato ancora meglio. Girerà nel mio piatto per un bel po’. Forse, dovrebbe girare pure nel vostro. (Bartolo da Sassoferrato)

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