Occult rock scollacciato per borghesi annoiati: LUCIFER – Lucifer V

Rimasi piuttosto colpito dai/dalle The Oath. Soprattutto dalla copertina, dove campeggiavano la svedese Linnéa Olsson e la teutonica Johanna Sadonis, di nera pelle vestite. Quest’ultima un poco svestita, dalla scollatura ombelicale. La musica, teoricamente, un occult heavy doom al femminile come all’epoca andava molto. Streghette 70’s retro doom sbucavano come funghi, c’erano anche cose eccellenti (Jex Thoth, Witch Mountain, Devil’s Blood). Altre meno. I/le The Oath eccellenti non erano e si sciolsero subito. La Olsson, sulle cui doti musicali mi sono già espresso, ha poi trovato una sua via, dopo aver quasi affossato i Grave Pleasures.

Alla discinta Sadonis toccava ricominciare da capo. Lee Dorrian, che dei/delle The Oath era il mentore, suggerì di arruolare Gaz Jennings. Mica pippa. Presi a bordo pure Andrew Prestridge dei Warning e Diccon Harper dei Pagan Altar (quindi messa in piedi una specie di dream team del doom inglese), i Lucifer erano pronti ad esordire. Premesse eccellenti. Metteteci pure un immaginario più tipo Franco e Rollin che Hammer, la copertina di The Oath ancora bene in mente. Però non mi dissero gran che, eccellenti non erano manco questi.

Innanzi tutto la musica, i riff, i brani. Roba che Jennings scrive con la sinistra mentre con la destra si fa il bidè (se se lo fa, visto che è inglese). Poi la Sadonis, piatta, sciatta, charme zero. Ce ne erano (ce ne sono) tanti altri di esempi simili, non li menziono che poi mi faccio nemici tra gli amici. Insomma non funzionava manco questa formula qui e Jennings (presto seguito dagli altri) molla amichevolmente. Chi glielo faceva fare, a lui. Aveva anche in ballo un progetto con un’idea simile, ma molto meglio, i Death Penalty, in cui andò a metterci tutto in suo buon gusto. Alla voce la belga Michelle Nocon, cantante per davvero, che purtroppo non aveva fatto il salto coi suoi Serpentcult. E manco coi Death Penalty, spariti dopo il disco del 2014. Metal Archives non li dà comunque per spacciati, chissà.

E Johanna Sadonis? Stavolta non s’è fatta fregare. Mollata la Rise Above che forse le stava cominciando a portare un po’ troppa sfiga, cedette alle lusinghe nientemeno che di Nicke Andersson, che forse a forza di tampinamenti e catcalling riesce nel duplice intento di impalmare la Sadonis e diventare il bardo dei suoi Lucifer, ora trasportati in casa Century Media e ormai composti integralmente da musicisti svedesi formato Ikea. Jennings con sé s’era portato via la parte più cupa. Forse non era un male. Vedere le sue idee impantanarsi non era uno spettacolo bello. Meglio a questo punto puntare sul retro rock anni ’70 più puro, roba svedese, appunto, come le polpette di cavallo e la birra dark lager fatta coi coloranti e gli aromi. Quel tipo di suono cristallizzato è davvero roba di Svezia, tipo Graveyard e tutte quelle band simili che erano uscite/stavano uscendo nel frattempo. I migliori i Witchcraft. Ma siccome qua c’è una donzella al canto, forse il confronto andrebbe fatto coi Blues Pills, devastanti a tratti, anche se per nulla esoterici. Ma al confronto con questi ultimi, manco Lucifer II, Lucifer III e Lucifer IV reggevano. La Sadonis nel frattempo si affermava per qualche ragione cone personaggio da copertina delle riviste hard&heavy internazionali, sempre pronte a lodare artiste che si sono affermate solo per oggettive ragioni artistiche.

Anticipato da un singolo banale come Maculate Heart, mi apprestavo da subito col peggior umore ad ascoltare Lucifer V. Maculate Heart pare a tutti gli effetti uno spin off sciatto degli Hellacopters, roba che Nicke Andersson scrive con la destra mentre con la sinistra si fa il bidet. Poi per fortuna la faccenda non si basa su quello standard lì, per quanto resti sempre su un easy listening, occulto ben poco e a tratti AOR. Il gioco, se gioco si può chiamare, è riconoscere le “citazioni”. Subito all’inizio Fallen Angel si basa su un riff simile a quello di In For The Kill dei “Black Sabbath”, mentre At the Mortuary su quello di The Thrill of It All. Una genialata, se ci pensate, saccheggiare lo Iommi minore. Tanto la gran parte del tuo pubblico (il fan hard&heavy generalista) conosce quei dieci/venti pezzi dei Sabbath, mentre un fan più enciclopedico si trova interdetto e magari pensa che è talmente scontata la somiglianza che non può che essere un omaggio. Il gioco mi rompe definitivamente con l’altro singolo, A Coffin Has No Silver Lining. Sono tre giorni che mi sto chiedendo dove abbia già sentito la linea vocale del ritornello. Deve essere qualcosa di abbastanza famoso. Forse nei Blue Öyster Cult? Accetto l’aiuto da casa. Pare una coveraccia dei Demon e forse lo è. Mah. Alla fine io che ho sempre parlato male degli Orchid devo riconoscere che in fondo erano più onesti e sinceri di tanti altri.

Beh, insomma, Lucifer V è quello che è ed è quello che in fondo potevo aspettarmi. Un dischetto di rock’n’roll ammiccante, oscuro e problematico ben poco. Liscio come acqua minerale. Credo il suo target sia il professionista cinquantenne/sessantenne dell’Europa settentrionale che il venerdì stacca alle 15 (belle le 37 ore) dal suo ufficio asettico di vetro, acciaio e cartongesso di una bella multinazionale, si mette un bel giubbetto di jeans o pelle e va ad ubriacarsi in un bar dove passano le canzoni rock classiche che ascoltava da ragazzo. A comprarsi un suv più grande ci pensa il giorno dopo. Chiaro che se cercate un bagliore di luce o un vero abisso, in questa musica non ne trovate. Né trasporto, espressività, niente. Joanna Sadonis un po’ ci prova, effettivamente canta un po’ meglio, ma alla fine il risultato resta quello. Gli altri musicisti fanno solo il compitino, Andersson compreso. Di copertine ne conquisteranno anche questa volta. A me sembra di aver buttato del tempo e mi viene voglia di recuperare con Night of the Demon e Secret Treaties. (Lorenzo Centini)

8 commenti

  • Concordo con la valutazione del disco.
    Il secondo album, il primo con Nicke (che, ricordiamolo, resta il principale artefice del più grande disco degli anni Duemila, “High Visibility”), aveva ancora l’effetto sorpresa e la novità dell’impasto tra il suo inconfondibile stile compositivo, la voce di Johanna Sadonis e il genere non frequentato in precedenza, e funzionava bene. Da là in poi, però, è stato un calo costante, e questo quinto album non fa nulla per risollevare il gruppo. Che comunque continuerà ad avere successo.
    L’unica cosa veramente positiva dell’album è che dimostra che anche la Nuclear Blast è ancora disposta a pubblicare un disco con una produzione diversa da quella ormai standard nelle sue uscite. Chissà che non rimanga un caso isolato.

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  • Sul disco sono abbastanza insignificanti. Ma li ho visti dal vivo un paio di anni fa ed erano veramente energici (nonostante stessero suonando davanti a 20-30 persone un mercoledì sera), specie lei.

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  • aiutino? rainbow in the dark… Dio… forse…

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  • aiutino? forse… rainbow in the dark… Dio

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    • Esatto. Ma la progressione armonica sulla prima parte del ritornello richiama un sacco di roba. Anche gli Scorpions (Rock you like an Hurricane/No One Like You) per esempio.

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  • Non li ho mai ascoltati , Ma Nickie è un grande…..ed ha anche buon gusto infatti di donne

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