Il gruppo che arriva sempre da dietro: INCULTER – Morbid Origin
In gioventù ogni disco è una correzione degli errori che avevano caratterizzato i precedenti, spesso figli di approssimative valutazioni riconducibili a un deficit di esperienza. Se al terzo disco non sei pronto allora c’è un problema di fondo.
Non è il caso degli Inculter, che di pubblicazioni ne vantano appunto tre e che, festeggiato il decennale d’attività concertistica e discografica, vantano un piglio pressoché da veterani. L’arma potrebbe rivelarsi di primo acchito a doppio taglio, vi spiego il perché.

Non è una questione lessicale. Il precedente album si chiamava Fatal Visions e l’appena uscito Morbid Origin ci riporta dritti al titolo di Morbid Visions, e di collegamenti con i Sepultura ne avevo già rimarcati svariati nella precedente recensione – quella che, come da mia consuetudine, parlava di cucina toscana – scritta nel 2019. Non è una questione lessicale perché siamo tutti d’accordo sul fatto che gli Inculter dovrebbero rinominarsi Inculer e divenire a tutti gli effetti paladini della N.W.O.W.H.M., la New Wave of Woke Heavy Metal, la baracconata che nessuno nel 2023 si è ancora inventato e che m’aspetto fuoriesca da un momento all’altro, come liquame verdastro da un barile d’un film anni Ottanta.
Morbid Origin è un disco particolarmente bello, ma al primo ascolto potrebbe non piacervi. È prodotto in maniera genuina dal leader Remi Nygard – se il cognome vi ha suggerito la Norvegia avete capito benissimo – e il suono appare un pelino più ripulito rispetto alla profondità e al miasma di bassi di Fatal Visions. In esso risaltano in particolar modo i riff di chitarra. Daniel Tveit, un batterista semplicemente spettacolare, è stato invece tenuto un po’ più al guinzaglio rispetto al recente passato, in cui si concedeva la libertà artistica di giocherellare sui rulli alla stregua di un Brann Dailor della prim’ora. Ritroverete in Morbid Origin ogni caratteristica dell’album precedente, fortunatamente non del debutto Persisting Devolution, sì carino, ma anche acerbo. Non ritroverete forse quel senso di spiccata germanicità per cui avevo fatto il nome dei Kreator, ma saranno presenti i Necrodeath – fate partire Age of Reprisal e dopo una manciata di secondi mi direte – e persino qualche accenno ai Darkthrone tanto per restare in tema di Norvegia. Dai Sepultura di Schizophrenia e di Arise ci si sposterà a qualche riffone dell’era Chaos A.D., ma in particolar modo sentirete affiorare l’America.
Chained to the Void ha quei riffoni che gli Exodus da sempre scrivono, Perennial Slaves corre in parallelo a The Thing that Should not Be e Lethal Salvation taglia come un rasoio da manuale del metallo americano anni Ottanta. Il capolavoro dell’album è la title track Morbid Origin, un omaggio agli Slayer che chiama in causa Postmortem senza dar l’idea di avere scopiazzato alcunché, e che a metà esatta pare ospitare Nocturno Culto sebbene sia lo stesso Remi Nygard a omaggiarne le movenze.
Sebbene sulle prime appaia nettamente inferiore a Fatal Visions, mi sto innamorando di questo album ascolto dopo ascolto, con la speranza che il futuro degli Inculter si tinga presto di rosa, di strap-on e dell’ammissione d’essere stati troppo a lungo intrappolati nel corpo di barbuti metallari norvegesi. (Marco Belardi)


“Scambio di consonante”, cantavano i Prophilax.
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