In Nomine Doomini vol.5: SORCERER, SPIRITUAL VOID, GODTHRYMM

È un po’ che non ci sono aggiornamenti dal mondo doom, no? Sono effettivamente rimasto indietro, mea culpa, mea maxima culpa. Mi rimetto in pista e non sorprende, quindi, che due dischi su tre non siano freschissimi. Parlo di Spiritual Void e Godthrymm. Quello dei Sorcerer invece è freschissimo. Partiamo da lì.

Partiamo da Reign of the Reaper che è piuttosto fresco. Nel senso di appena uscito. Nuovo di pacca. Plastica ancora intatta. Ops, la plastica. No, forse no, mano c’è un suono fori posto, tutto strapulito, levigato, lucente, persino. No, alla fine i SORCERER sono doom un po’ di striscio, ormai. Nel senso: i riferimenti sono ovvi e chiarissimi, in ordine decrescente: certi Candlemass, Black Sabbath era Martin, Rainbow era Dio. Quindi heavy, heavy parecchio, ed epico. I tempi non sono più così lenti, anzi, e le atmosfere molto meno plumbee che in passato (recente e non). Fin qua è solo stile, no problem. Ci fosse però una melodia che resta, che svetta rispetto alle altre. Riff qualcuno fomentante pure (The Underworld). E poi il suono. Tipo viene il dubbio che ci siano andati veramente, in sala di registrazione. Non dico insieme, in presa diretta, per carità, non scherziamo. Comunque i Sorcerer io li aspettavo, dopo il giro di cover classiche dei mesi passati (l’Ep Reverence). Suggerivano la direzione ed i riferimenti. Tutti piuttosto irraggiungibili e infatti non raggiunti.

L’inizio di Wayfare, secondo album degli SPIRITUAL VOID, è impressionante. Un brano come Beyond the White Mountain ti fa venire freddo alle ossa. Doom, parecchio heavy, epico, glaciale. Brano formidabile, da far sperare bene, da farsi segnare un nome nuovo. Quasi nove minuti da far venire la voglia di armarsi e partire (per dove? Ah, saperlo). Poi il disco prosegue e son dolori. Non buoni. Perché si rimane impantanati in una formula ripetitiva allo sfinimento. Stesso riff, stessa linea vocale ancora per più di cinquanta minuti. Cambiano i titoli dei brani, non la sostanza. E tu ti fermi quasi subito dall’inoltrare il link dell’album a tutta la tua rubrica perché ti rendi conto che gli Spiritual Void, tedeschi (e in quanto tali determinati, inamovibili quando prendono una strada) hanno azzeccato un brano e poi ne hanno scritti altri sette come fosse una copia carbone, sbiadita, del primo. Zero sorprese, zero variazioni, e ok. Zero sussulti, e questo invece è un peccato. Cinquanta minuti e passa di sbadiglio preceduti da otto minuti e passa di fomento. Fate voi la media. La doppia copertina però è interessante.

Chiudiamo però in bellezza. Bellezza macabra e decadente. Con Distortions dei GODTHRYMM, nei quali troviamo il batterista Shaun Taylor-Steels ed il chitarrista Hamish Glencross (qui anche alla voce). Entrambi, anche se non incrociandosi se non per brevi periodi, hanno fatto parte sia dei Solstice che dei My Dying Bride. Glencross in particolare ha messo la firma su dischi come New Dark Age e The Dreadful Hours, che da queste parti piacciono assai. Bene: nei Godthrymm, senza altri ingombranti leader, i due mettono insieme una band tutta loro, quasi di famiglia (alle tastiere Catherine Glencross, moglie immaginate di chi). Abbiamo ricostruito provenienza musicale e legami familiari. Musica? Doom gotico ed epico. Ovvero una specie di sintesi dei due modelli sopradescritti. Sulla carta interessantissimo. Nella realtà pure, abbastanza. Anche se Distortions non passerà alla Storia, non è giusto che passi inosservato oggi. Specie se certe brume vi solleticano macabri appetiti. La lancetta dell’orologio è ferma agli anni ’90 (e già è tanto che l’orologio abbia ancora le lancette). L’andamento è mesto ma anche maschio (certi Metallica influenza già dei Paradise Lost, o sbaglio?). La durata non è contenuta, un’ora piena anche qui, ma se vi sta bene o no lo scoprite subito. C’è il singolo Devils già in seconda posizione. Tosto, nel riff, buon coro. Consolida il buon inizio con As Titans. Poi il disco prosegue sulla stessa linea, anche qui, alternando un po’ quelle due tendenze che dicevo. Buono. Non da gridare al miracolo, ma buono. (Lorenzo Centini)

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