La lista della spesa di Griffar: SKUGGOR, SÁASIL

Ancora qualche gruppo del quale vale la pena parlare, così che magari qualcuno si incuriosirà, andrà ad ascoltarlo e lo apprezzerà pure più dei grandi nomi blasonati; perché che il mondo black metal non finisce con Immortal, Marduk, Graveland e compagnia brutta.

Matthew Bell, australiano classe 1990 ora residente in Svezia, è un tipo che si dà da fare. Suona in una ventina di gruppi, tra i quali Forlorn Citadel e Spells of Fog (già recensiti qui in occasione di un 3-way split), i Mjältsjuka che hanno fatto uscire un disco da poco e devo ancora decidere se parlarne (a una prima impressione non sono malaccio, ma devo ascoltarlo meglio), poi altri dai moniker più o meno pittoreschi e infine anche questi SKUGGOR. Dopo una demo uscita solo in digitale (Drowning in the Undergrowth, 2022), quest’anno ha fatto uscire un singolo e il full di debutto a distanza di un paio di mesi l’uno dall’altro. Come detto altre volte, in questi casi considero le composizioni come facenti parte della stessa opera, perché difficilmente l’ispirazione può variare di molto in così breve tempo.

A Life in Eternal Darkness è il singolo, dura quasi 14 minuti e credo sia questo il motivo per cui è stato scorporato da Skogshypnos, il full propriamente detto, il quale contiene di suo 4 brani e dura circa 36 minuti. Visto che del full esiste una stampa in cassetta (la produce Canti Eretici) è probabile che tutti i cinque brani siano stati considerati complessivamente troppo lunghi per essere inclusi in un disco d’esordio di black atmosferico underground, dal momento che si nota da qualche tempo la tendenza a non pubblicare dischi che si dilungano eccessivamente, riducendone il minutaggio medio a 30/35 minuti. Gli Skuggor (sono in due: mister Bell e mister X che si occupa delle chitarre) assomigliano in modo abbastanza smaccato ai Lustre dei primi passi, quelli più lenti, oscuri e burzumiani. Dischi come Night Spirit, A Glimpse of Glory, They Awoke to the Scent of Spring, quel periodo lì.

Non vanno praticamente mai troppo veloce, tranne nell’iniziale Vindritual, che è quella che meno ricorda la band solista di Henrik Sunding, sebbene anch’essa più o meno a metà rallenti e inizi ad esplorare quel tipo di sonorità. I brani più Lustre-influenced sono gli altri quattro, in cui compaiono tastiere liquide e siderali su partiture lente e cadenzate, con pochi riff ripetuti che conferiscono ai pezzi un senso di oppressione e straniamento. Sono brani piuttosto ispirati e ricalcano tutti lo stesso schema compositivo, quindi se piace uno piacciono tutti, specialmente se vi garbava la musica dei Lustre più datati. Nel complesso Skogshypnos è un disco più che discreto, si vedrà se avrà un seguito perché, essendo solo uno dei tanti progetti di una singola persona, non sarebbe anomalo venisse messo in ghiaccio per un numero indefinito di anni salvo risorgere alla bisogna.

Si cambia sottogenere con i SÁASIL, progetto della messicana Victoria Hazemaze (AIAA 7, Careus – solo due mini fuori sotto quest’egida ma uno è uno split con i Trhä, bella rampa di lancio – Oculi Melancholiarum ed altri) e dello spagnolo Carlos Herrera (Non Somnia, musica atmosferica solo a tratti metal). Sáasil è una parola maya che significa “luce”; di quale luce si intenda offrire esempio qui non saprei, ma di sicuro non brillante né scintillante: la musica dei Sáasil è estremamente malinconica, un perfetto amalgama tra il post-black degli An Autumn for Crippled Children, partiture con chitarroni che vanno a solleticare reminiscenze di funeral doom stile Shape of Despair, sezioni di atmosfera pura con sole tastiere e più di un punto di contatto con il depressive black metal, soprattutto di scuola tedesca.

Lo screaming di Victoria è molto simile a quello di un uomo, e, se non fosse per le parti in pulito, credo nessuno riuscirebbe a capire che si tratta di una donna. Io non vado matto per le voci femminili nel metal, ma non posso che ammettere che in Ephemeral (il titolo del loro esordio) il suo lavoro è eccellente. È un disco per chi ama ascoltare, oltre alla sana violenza black metal, anche musica molto più soffice, delicata, intimista e romantica. Se poi tutto questo è perfettamente bilanciato all’interno dello stesso disco tanto meglio. I sei pezzi sono ben studiati, vari e cangianti, solo due di lunghezza più marcata sfiorano gli otto minuti, gli altri sono più brevi e tutto il disco conta circa 36 minuti, che come spiegavo sopra sono oramai la norma per un prodotto di questo tipo. È un disco coinvolgente, a tratti appassionante, scritto e registrato benissimo, una sorpresa. Il CD esce per la nostrana These Hands Melt records, ce ne sono anche 100 copie in vinile se vi garba. (Griffar)

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