L’appropriazione culturale che continua a piacerci: IBLISS – Bintang Fajar

Qualcuno si ricorderà dei Kryptos (tipo il fedele lettore Weareblind), i quattro indiani che suonavano thrash, tedeschi come un calice da litro in Baviera. Magari qualcuno si ricorderà persino dei malesi Ibliss, incontrati di sfuggita l’anno scorso per un singolo ed un Ep ed ora arrivati con un album intero, il secondo. Intitolato Bintang Fajar come il singolo di cui sopra. E che cosa avrebbero questi Ibliss in più rispetto a decine di band necro-doom sataniste e drogate figlie degli Electric Wizard? Niente, forse qualcosa in meno. Però non possono non starci incredibilmente simpatici. Qualcuno di voi avrà letto i libri di Sandokan, scritti da Salgari. Quello mica c’è mai andato in Malesia, e neppure io. E pure se a un certo punto ero in fissa col cercare film e serie horror, action e di arti marziali da paesi asiatici alternativi, mi sa che della Malesia non ho visto un gran che. Accetto consigli. Poi rischio pure di fare confusione, cinematograficamente parlando, con Indonesia, Singapore, persino con la Thailandia (lo so, lo so, sono ignorante). Avevo visto delle cose interessanti, ma mi sa che con la Malesia (o devo scrivere Malaysia?) non c’entrano nulla. Meglio allora che mi rifaccia a Salgari. Tanto è vero che non c’è mai stato, lui, ma voglio sapere che ne sapete voi, voi che avete viaggiato tanto (in classe economica), di com’era la Malaysia a metà ottocento.

Io me la immagino con questi tipi un po’ selvaggi, coi capelli lunghi e le barbe lunghe, coi coltelli, gli schioppi, le bombarde e coi veleni. Proprio come si presentano gli Ibliss, con ben altri cannoni e coi teschi. Proveranno da tribù di tagliatori di teste? Wikipedia dice che “nel Sarawak, il gruppo più numeroso è quello dei Dayak, un tempo considerati tagliatori di teste”. Capito? Come niente ti ritrovi un gruppetto di tigrotti di Mompracem con le chitarre in mano invece dei pugnali a forma di onda. Poi comunque la Malesia è un Paese grande, multietnico, chi lo sa da che genti provengono questi Ibliss qui. E multiconfessionale, anche se la religione ufficiale è l’Islam. Ed omicidi e traffico di droga sono puniti con la Morte. Insomma, pare dura portare avanti il programma politico di Jus Osborn. Liberalizzare la droga e gli omicidi, sapete. Non so se siete d’accordo, con tale programma. Magari nemmeno gli Ibliss, ma il doom marcio che suonano è quello là. Pure graficamente, come immaginario, con le signorine che si lasciano andare, con le droghe, coi coltelli, coi simboli esoterici. Con la mania del vintage anni ’60/’70. Cosa piaccia ai tre malesi è evidente. Sono riusciti pure a farsi pubblicizzare le magliette del merchandise da una pin-up di Instagram. Questo, per dire, ai Black Spell manca.

Insomma, abbiamo capito che questi Ibliss ci stanno molto simpatici, che facciamo il tifo per loro. Ma di musica non è che si sia parlato ancora granché. Metteteci pure che Bintang Fajar è un album breve e che non ho alcuna idea di cosa voglia dire, Bintang Fajar. È anche una canzone, ovvio, ma è l’unica in una lingua ignota (a me). Le altre sono in inglese e suonano inglesi. Un po’ meno pesanti e un po’ più vintage di quanto ve li aspettereste per il solo fatto che sto tirando in ballo i ‘Wizard dall’inizio del pezzo. Dura quaranta minuti appena, inclusi i lunghi secondi di silenzio prima che parta una specie di traccia fantasma alla fine di Killing Spree. È pure in buona parte strumentale. Si canta praticamente solo su tre pezzi. Propio su Bintang Fajar, la canzone, che non sarà un capolavoro, ma di esotico non ha mica solo la lingua in cui è cantata. E anche in Sold Your Soul to the Devil, che parte con un campione di conversazione di qualche film delle loro parti (che a questo punto voglio vedere) e che poi alla fine è una standard blues con tanto di “oh baby, baby, baby, baby, baaaaaaaby”.

Gliela perdoniamo sicuro, una cosa del genere, a questi Ibliss qui. E poi niente, il disco è breve e la prosecuzione è, come dicevo, prevalentemente strumentale e molto più necro-narco ortodossa. Non paiono granché diversi dallo sciame di gruppi del genere. Ne abbiamo tanti, tantissimi pure da noi. Alla fine è tutto un genere che ruota sul lato oscuro degli ultimi ’60/primi ’70, prevalentemente inglesi. Su La Vey e su Tutti i Colori del Buio. È un canovaccio ben cristallizzato. L’hanno battezzato (con acqua sconsacrata) proprio i Wizard, anche se in fondo è solo una parte del loro repertorio. Per i cloni è Vangelo. Non è che siano proprio dei cloni, gli Ibliss. Solo che non riesci nemmeno a capire se alcuni loro aspetti peculiari, alcune sfumature che si avvertono nel suono, siano volute o conseguenza del fatto che non sono proprio la band più tecnicamente preparata in giro. Non serve in realtà la tecnica, per suonare questa roba qui. E non serve nemmeno per forza essere inglesi.

Salvo che invocare l’appropriazione culturale non sia strumentale a qualcosa. Tipo il caso di certi attori italiani che piagnucolano perché Hollywood non gli passa i ruoli da italiano (quelli che piacciono a loro, che di fare il mafioso o il pizzaiolo magari tutta ‘sta voglia non ce l’hanno). Ma l’attore non è per definizione uno che interpreta? Ma non è che niente niente il cinema italiano non conta più granché perché doti e capacità (attori, registi, sceneggiatori, tutti) sono crollati rispetto al cinema eccellente che abbiamo diffuso fino ai ’70? Che ora non sono nemmeno al livello del nostro cinema di genere dei tempi, tolte persino le idee ed il coraggio (tipo, appunto, un Tutti i Colori del Buio)? Ho visto Scamarcio in Assassinio a Venezia interpretare l’unico personaggio italiano (come Favino vorrebbero si facesse sempre), incapace pure di doppiare sé stesso in maniera dignitosa. Spero la nostra polemicuccia piagnucolosa non sia uscita più di tanto dal cortile. Comunque, tornando a noi, dormano sonni tranquilli gli Electric Wizard. Gli epigoni esotici, pur simpaticissimi, non sembrano in grado di minacciarne mai il primato. (Lorenzo Centini)

3 commenti

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    Due segnalazioni, e scusami se mi permetto, eh, Lorenzo. Con molta umiltè, se no qua ci si risente e mi si dà del maleducato.
    Vanishing Kids, è fuori da venerdì il nuovo disco. Band per me straordinaria, già Heavy Dreamer è stato per chi scrive uno dei migliori album del 2018. Doom onirico e droghe psicotrope.
    L’altra segnalazione è una lamentela, sempre in stile lettera a Savonarola, ovviamente.
    Nell’anno del signore 2019 è uscito un disco della madonna. Sto parlando dei Silvertomb di Kenny Hickey e Johnny Kelly. Qualcosa che non c’entra un cazzo di nulla con i Type O Negative, ma prendendo spunto da Soundgarden e Black Sabbath tende a spaccare il culo in modo significativo. Ora, avete dato molto spazio ad altri spin-off non proprio edificanti. Vi suggerisco, sempre con la massima umiltè, di promuovere sta gente perché merita.
    Distinti saluti.

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    Lo avevo ordinato sull’onda dell’entusiasmo, perché continuo a pensare che Heavy Dreamer sia un quasi capolavoro.
    Ascoltato una volta e zacchete. Ordine partito.
    Riascoltandolo più volte, invece, mi è calato in modo definitivo.
    Ordine annullato.
    Grazie per la pulce nell’orecchio.

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