Thrashwurst: VENDETTA – Black as Coal

I Vendetta sono stati a lungo un mio personalissimo gruppo feticcio, al punto di rintracciarne e acquistarne a ogni costo le due pubblicazioni ufficiali in un’era in cui i compact disc non valevano quanto un bilocale in centro. Il primo album sprizzava un’energia che era dinamite; il secondo, a breve distanza di tempo, mise in luce un’evoluzione eccelsa e le capacità innate del bassista Klaus Ulrich, su cui era stata incentrata buona parte delle introduzioni dei brani di Brain Damage. Era un gruppo che girava maledettamente bene e mai, per loro, avrei prospettato un così prematuro scioglimento. Ma ciò avvenne nel 1990, e così i Vendetta piombarono in un silenzio durato oltre un decennio.

vendetta-black-as-coal-2023

La reunion ci ha consegnato alcuni degli album più brutti che mi sia capitato di sentire dalla terra germanica. Forse non sarebbe mai accaduta se non fosse stato per quel trittico di acclamati successi che nel 2001 mise in vetrina Sodom, Kreator e Destruction e che a ruota rilanciò i Tankard. Ma è accaduta sul serio, e dobbiamo prendere atto che nel 2023 i Vendetta hanno un significato davvero risibile. Ma è piena estate e qualcosa dovrò pur recensire.

Black as Coal è sul livello di The 5th, migliore dei due precedenti ma incapace di andare oltre la sufficienza. I problemi sono sempre gli stessi: Achim Homerlein era stato il cantante ideale sui primi due titoli; l’attuale Mario Vogel sembra a suo agio nei momenti più orientati al rock, come la title track e il ritornello di Stranglehold of Terror, cui è dedicato persino un videoclip. Mario Vogel non è un cantante thrash metal e ce lo dimostra da ormai quindici anni. Paradossalmente altri interpreti inadatti si sono calati molto meglio, e con minor difficoltà, in una realtà apparentemente ostile, come capitato in casa Artillery a Michael Basthold Dahl.

Le canzoni non hanno particolare mordente. Tolte No Hands but a Gun (con Klaus Ulrich che si conferma essere il miglior interprete dello strumento in tutto il thrash germanico, insieme a Ralph Hubert), l’omonima e Time to Change ai limiti del power metal, il resto non decolla mai e i brani più aggressivi sono anche quelli vistosamente più goffi. Esempio lampante la prima Shoot to Kill, classico assalto all’arma bianca alla Destruction che non va da nessuna parte. E questo è un po’ l’emblema dei gruppi tedeschi che suonano thrash metal a cinquanta anni suonati: più suonano aggressivi e più mettono a nudo i propri difetti strutturali, con gli ultimi Protector, forse, a rappresentare l’unica eccezione a codesta deplorevole regola. In America le criticità riguardano più le scelte adottate in studio, ma i gruppi tendenzialmente girano meglio: il thrash tedesco ha avuto una notevole spinta mediatica in quel celebrato 2001 e ha rimesso in carreggiata un sacco di gente. I risultati avrei voluto fossero migliori, invece sono stati più e più volte tendenti alla mediocrità.

I Vendetta odierni vantano una discreta produzione, buoni riff e buone melodie, come quella in apertura a Death Means Relief, ma più girano al largo del thrash metal puro e più funzionano. Più si addentrano nelle proprie radici, più si dimostrano scarichi e costretti al compitino. Tanto varrebbe cambiare obiettivo a quel punto. Un album accettabile ma incapace di lasciare il segno; se desiderate il terremoto rimettete pure Go and Live, Stay and Die. (Marco Belardi)

Lascia un commento