Avere vent’anni: GREEN CARNATION – A Blessing in Disguise

I Green Carnation sono di sicuro una delle entità meno catalogabili uscite dal panorama norvegese, tanto che spesso si fa fatica ad inserirli in un genere ben definito. Dopo il primo demo Hallucinations of Despair del ’91 (un classico death metal norvegese molto simile a quello dei nomi storici prima della svolta black influenzata da Euronymous) la band si sciolse per via dell’ingresso del fondatore Terje “Tchort” Schei negli Emperor, per poi riunirsi nel 2000 e pubblicare un paio di dischi a brevissima distanza di tempo: l’interessante ma parecchio ostico Journey Through the End of Night e il capolavoro Light of Day, Day of Darkness, per il quale rimando all’esaustiva rece dell’Azzecagarbugli anche per conoscere la triste storia che c’è dietro.

Questo A Blessing In Disguise cambia per l’ennesima volta le carte in tavola. È il primo disco se vogliamo piuttosto diretto e di facile ascolto rispetto a quanto fatto fino a quel momento, sebbene questi termini siano da prendere con le molle quando parliamo di musica prodotta dai Green Carnation.

Sin dalla singolare immagine di copertina (che credo raffiguri proprio Damien, il secondo figlio di Tchort) si percepisce che l’atmosfera generale è molto più positiva rispetto alle ombre perpetue che caratterizzavano il precedente lavoro, come si evince anche dall’hardrockeggiante apertura Crushed to Dust, paradossalmente uno dei pezzi meno belli. Si comincia a fare sul serio con la semiballata Lullaby in Winter, brano magnifico dai chiari echi pinkfloydiani che esalta le doti vocali di Kjetil Nordhus, uno dei cantanti più sottovalutati dell’intera scena metal, talmente versatile che si fa fatica a pensare che nella stupenda Writing on the Wall il cantante sia sempre lo stesso. Come dicevo, catalogare A Blessing in Disguise in un genere ben preciso è piuttosto complicato, la definizione che gli va più vicina è progressive gothic metal, anche se ciò rischia di sminuire la proposta variegatissima di cui si compongono questi nove pezzi: ad esempio in Boys in the Attic si sentono chiari rimandi al prog settantiano, mentre se As Life Flow By fosse stata cantata da Ville Laihiala sarebbe stata di sicuro un highlight di uno degli ultimi dischi dei Sentenced. Il tutto contorniato da una produzione eccelsa che mette in risalto tutti gli strumenti, linee di basso in particolare che suonano in maniera davvero divina.

Col lavoro successivo i Green Carnation accentueranno ancora di più il lato prog del loro stile, mentre Acoustic Verses (l’ultimo prima del temporaneo scioglimento) sarà quasi completamente acustico. L’ultimo del 2020 non l’ho colpevolmente ancora ascoltato, ma prometto di farlo al più presto. (Michele Romani)

3 commenti

  • Avatar di Bonzo79

    Disco bellissimo davvero! E, Michele, i primi due brani dell’ultimo album sono a dir poco clamorosi. Facce sape’!

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  • Avatar di Carolina84

    Sicuramente non da ascoltare nella torrida estate ma non appena arriva l’autunno con le sue foglie gialle e la malinconia delle giornate umide che si fanno sempre più corte e fredde diventa una colonna sonora impareggiabile. Gruppo sottovalutatissimo e unico.

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  • Avatar di Bartolo da Sassoferrato

    Il disco che mi piace di meno, e nonostante ciò lo considero un grandissimo disco. Il problema principale è sempre quello: dopo che hai trovato la materia prima e l’hai fatta quadrare per concepire e suonare una cosa come “Journey to the End of the Night”, tutto quello che viene dopo è giocoforza un gradino sotto.

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