Così vicini, così lontani: intervista coi NAAT ai tempi della pandemia

I genovesi NAAT (Francesco, Michele, Daniele e Andrea aka Gelso) sono una realtà abbastanza recente ma composta da volti già noti all’interno della “scena genovese” e forse anche oltre. Si dedicano alla musica estrema da diversi anni, e questa loro nuova incarnazione si muove in ambito post-metal con elementi di psichedelia e sludge. Il loro nuovo disco Fallen Oracles vale sicuramente un ascolto attento; ma invece di parlarne in prima persona ho deciso di far parlare direttamente loro, dal momento che questa quarantena mi ha fatto rispolverare il profilo Skype che non utilizzavo più da una quindicina d’anni. Per ovvi motivi logistici ognuno ha dovuto provvedere alla propria riserva di alcool, e quanto segue è il resoconto della nostra chiacchierata:
Allora ragazzi, benvenuti! presentatevi e raccontate qualcosa di voi.
Micce: Ciao! Siamo i NAAT! (questo lo dovete leggere con tono esplosivo, e mi sa che la sua riserva di alcool era già bella che andata, nda)
Fra: La cosa bella che io ricordo dell’inizio dei NAAT è che è tutto nato come cazzeggio e divertimento, tanto per tenerci attivi mentre con le rispettive altre band si era fermi. Alla fine ci è piaciuto talmente tanto che abbiamo promosso i NAAT a gruppo principale. Successivamente abbiamo cercato un cantante, ma senza troppo successo, e quindi abbiamo deciso di fare un gruppo strumentale. Non eravamo tanto convinti all’inizio, perché comunque non è proprio facile avere dei pezzi che la gente abbia voglia di ascoltare, ma gli ultimi nostri dischi hanno dimostrato che ci sappiamo fare abbastanza.
Micce: Per esempio io e Dani suoniamo insieme da una vita.
Gelso: Sì, peccato che non si suonerà mai più!
Si possono fare i concerti in streaming, pare vada di moda in questo periodo.
Gelso: Bello! non vedo proprio l’ora…

Parlatemi un po’ dell’album. Sembrate molto affiatati in questo disco, e anche dal punto di vista compositivo Fallen Oracles si presenta piuttosto compatto, molto di più rispetto alla precedente pubblicazione.
Gelso: Nel primo abbiamo dovuto prendere un po’ le distanze, io poi sono arrivato successivamente, e su questo Fallen Oracles abbiamo rischiato un po’ di più rischiando di ucciderci tra noi.
Addirittura? Tiro a indovinare, avete avuto problemi in studio.
Micce: No, in studio tutto benissimo, è stata un po’ il pre la parte critica.
Gelso: Più che altro uno stop drastico nel secondo pezzo che stavamo producendo e che non riuscivamo a chiudere, e che peraltro è l’ultimo del disco.
Fra: Tanto che lo abbiamo chiamato “il pezzo maledetto”!
Dani: Il secondo disco è il risultato di ciò che siamo e di come sono i nostri ascolti, è un concept un pochettino più fluido. Se il primo nasce più con una struttura da singolo pezzo, il secondo è molto più incanalato nella direzione del concept, come se fosse un’unica traccia, un’unica colonna sonora.
Fra: In Fallen Oracles siamo i NAAT al completo con tutti i nostri gusti musicali combinati nel miglior modo possibile, almeno secondo noi. Abbiamo fatto anche una scrematura del materiale: in fondo se non ci piace un pezzo non lo pubblichiamo, non è che dobbiamo fare numero. Quando siamo in saletta riascoltarci ci aiuta tantissimo. Una cosa che in presa diretta sembra non funzionare poi magari la riascolti e ti accorgi che funziona, infatti noi il registratore Zoom lo chiamiamo l’oracolo: noi riascoltiamo e lui ci dice la verità, e se una cosa ci fa cacare ce ne accorgiamo dopo, solo dopo averla riascoltata.
Gelso: Ci abbiamo lavorato anche un pochino di più, alla fine tra una palla e l’altra ci siamo stati dietro tre anni…
Dani: Sono state le fondamenta la parte più difficile. Poi, dal momento in cui capisci la direzione che avrà il disco, diventa più facile incanalare le cose e andare un po’ più di pancia.
Fra: Abbiamo messo più impegno nella composizione e nell’arrangiamento dei pezzi, in modo che fossero fatti meglio rispetto al primo disco, un pochino più organici, meno riff attaccati… Una sorta di suite. Questo non vuol dire che abbiamo fatto le cose a tavolino, tipo domani facciamo un pezzo alla Pelican o alla Russian Circle: l’idea è di prendere le nostre esperienze musicali e cercare di fonderle in modo che il risultato sia il più personale possibile. Ovvio che si sentono i nostri gusti musicali, ma non ci sforziamo di fare una cosa originale a tutti i costi, che poi potrebbe anche uscire male. Mi ricordo un intervista dei Calibro 35 dove Gabrielli diceva: “Noi sinceramente non abbiamo inventato niente, però abbiamo tirato su un gruppo con tutte le nostre influenze e creato un meltin’ pot personale che funziona e che piace alla gente”, ed è quello che anche noi cerchiamo di fare.

Sul suono chi è il più certosino? Registrazione, mix, livelli dei suoni e degli strumenti…
Gelso: Forse Fra, anche se l’unico cane in tutto questo son io.
Fra: La cosa assurda è che non abbiamo mai fatto una ricerca particolarmente approfondita sul nostro suono, ci siamo trovati ad avere dei suoni che messi insieme funzionavano. Abbiamo sempre la stessa strumentazione da 6 anni e non è cambiata granché.
Micce: Alla fine siamo talmente appagati da quello che produciamo che allo studio Greenfog, insieme a Mattia che è quel sant’uomo che ci registra, abbiamo sempre optato per delle prese dirette con la nostra strumentazione, plug’n’play pronti via. Sarebbe quasi poco rispettoso andare a stravolgere tutto quello che abbiamo registrato con effettistica strana.
Gelso: È anche l’attitudine che vogliamo dare ai pezzi: la stessa resa che abbiamo su disco è quella che avrai sul palco, quindi meglio lavorare di più in saletta e durante la scrittura.
Il video sembra aver avuto un buon riscontro, volete raccontarci qualcosa a riguardo?
Micce: A un certo punto eravamo in macchina e avevo un kit con cinepresa affacciata al finestrino, e dietro c’era uno che piangeva perché andavamo a trenta all’ora, è stato un momento molto bello!
Praticamente l’equivalente del mitologico vecchio col cappello, fossi stato io vi avrei urlato contro di sicuro, cosa probabile tra l’altro visto che in qualcuno di quei posti ci ho pure lavorato… fascinazione postindustriale?
Fra: Abbiamo fatto un mese di ricerca per i luoghi dove girare perché sapevamo che se trovi una buona location hai fatto praticamente la metà del lavoro. La location del tunnel per esempio è al Museo del Mare, un posto fighissimo che non ho mai visto in nessun altro video. Per il resto abbiamo avuto tutte le sfighe possibili, non ultima l’infortunio a una mano dell’attore, per cui ha dovuto subire un intervento. A causa di questo ritardo siamo stati costretti a concludere a dicembre alcune scene che avevamo iniziato a settembre, tra cui quella in cui l’attore è in camicia sul Monte Fasce.
Ma fa freddissimo in quel periodo, pover’uomo, è un eroe!
Dani: La sofferenza è proprio vera!
Micce: Metodo Stanislavski applicato!
A proposito di socialità, perchè il nome NAAT? Vi ho cercati su Youtube e mi è uscita una sequela di video indiani e islamici, è difficilissimo trovarvi…
Gelso: Fino a poco tempo fa quando cercavi NAAT su Spotify ti ritrovavi canti coranici o pezzi egiptian rock, e poi le nostre cose. Adesso abbiamo qualche visualizzazione in più, ma abbiamo anche un sacco di richieste di amicizia su Facebook di personaggi… diciamo poco raccomandabili. Tipo gente con dei mitra, con delle tigri o che semplicemente cavalca elefanti ai matrimoni.
Micce: È il nostro obiettivo raggiungere l’Islam! (ride)
Fra: In realtà volevamo qualcosa che non significasse assolutamente nulla, e invece…
Gelso: Se ci fossimo fermati a NAT con una A sola, ci avrebbero confusi con la ditta di edilizia acrobatica che ha quella scritta sui suoi camioncini a Genova, quindi avremmo cannato anche in quel caso.
Fra: Forse ci sarebbe andata meglio con l’edilizia acrobatica.
Gelso: No, sempre meglio farsi amici i terroristi che gli arrampicatori di palazzi.
Benissimo, siamo appena stati messi tutti sotto controllo dalla CIA. Il vostro ultimo saluto per Metal Skunk?
Gelso: Bello Metal Skunk, ciao bella gente!
Fra: Ecco perchè facciamo tutto strumentale: non sappiamo parlare.
(Maurizio Diaz)
