La finestra sul porcile: The Human Centipede 2

The Human Centipede (First Sequence) aveva sollevato aspre critiche ma, soprattutto, portato all’attenzione della vasta platea un problema annoso: nel caso in cui un chirurgo squilibrato dovesse rapirci per creare un millepiedi umano, in quale posizione della catena è assolutamente sconsigliato stare? A parte questo interrogativo, il primo capitolo era una colossale vaccata, di una sciatteria nella rappresentazione degna dei peggiori filmacci horror dei primi anni novanta, con poche intuizioni e per giunta mal sfruttate, tanto da sfociare spesso nel comico involontario. Il secondo parte da presupposti del tutto differenti e tenta una svolta pseudoautoriale che grida “guardate quanto sono metafilmico” per tutti i novanta minuti della pellicola. Niente improbabili resurrezioni del dottor Heiter (il chirurgo tedesco con la passione per gli esperimenti sugli umani. Metafora sottile quanto una battuta di Pippo Franco), via i colori smorti e largo al bianco e nero che fa molto Eraserhead, via anche gli ultimi barlumi di dialogo dalla sceneggiatura e tanto spazio agli assenti del primo episodio: sangue e merda.

Stavolta il protagonista è Martin, un nano muto, iperobeso ed esteticamente ripugnante, guardiano di un parcheggio a Londra, assillato da una madre che lo odia e da un vicino che ascolta i Combichrist a tutto volume. Fans sfegatato di The Human Centipede, trascorre le sue giornate riguardando ossessivamente il film, collezionando materiale sullo stesso e accudendo un vero millepiedi, coltivando il sogno di poter proseguire l’opera del suo idolo. A Tom Six si deve dare almeno il merito di azzeccare le facce giuste per i ruoli giusti e se Akihiro Kitamura era una perfetta maschera tragica come “testa” del primo esperimento, stavolta è l’esordiente Laurence Harvey a dare vita ad uno dei freak più mostruosi della storia del cinema. Anche in questo caso la metafora è palese ma nella sua banalità c’è tutta la chiave, non solo del film ma anche del capitolo precedente. Martin è lo spettatore, è quel pubblico deluso dalla scarsa dose di gore e weirdismo della First Sequence dove le poche scene d’effetto valevano quanto un Turistas qualsiasi.

L’ascolto prolungato dei Combichrist può avere effetti collaterali

Il “100% medical accurate” del primo episodio era una cifra esplicativa: trama lineare e classica, eventi quasi plausibili (si fa per dire), scansione scontata della vicenda e finale catartico. Qui invece, come afferma lo slogan, siamo al 100% medical inaccurate inteso come palese disprezzo nei confronti del pubblico, tanto da creare un’opera visivamente ributtante ma anche dall’incedere lentissimo e insensato. Un disprezzo endemico che trasuda da ogni singolo fotogramma, distrugge ogni residua speranza di dare coerenza logica ad una vicenda che procede per sequenze, atte solo a titillare i bassi istinti dello spettatore, prendendosi al tempo stesso amaramente gioco di lui. Improponibile dal punto di vista artistico ma significativo del cambiamento dei tempi è il possibile paragone col Salò di Pasolini. Il Girone della Merda pasoliniano non aveva nessuna ambizione di intrattenere, era, al contrario, un pugno allo stomaco oggi ancora più attuale nel rappresentare un microcosmo di schiavi obbligati a mangiare gli escrementi dell’autorità. La merda di The Human Centipede è puro divertissement, è evento atteso e liberatorio. Lo stesso Martin vuole creare il millepiedi umano soprattutto per il gusto di vedere una colonna di persone che si defecano in bocca una dietro l’altra, se ne rammarica quando la sua creazione non risponde alle sue esigenze voyeuristiche e finisce col somministrare una massiccia dose di lassativo a tutti pur di vederli inondati di escrementi che sprizzano allegramente fuori dalle bocche maldestramente cucite agli ani. Insomma, tutto sta nell’accettare le regole del gioco e nel prendere con ironia le provocazioni del regista olandese, ammesso che le mie interpretazioni coincidano con le sue reali intenzioni. (Matteo Ferri)

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