Once upon a time in Norway #3 – A confederacy of ruined lives

S’era nel 2002. Il sottoscritto era da poco arrivato come studente Erasmus nel paese della gente brava che sarebbe diventato la sua ancora di salvataggio da stage e call center vari. Con una mandrakata non da poco si era guadagnato un pass per il Quart festival di Kristiansand, una tre giorni di rock’n’roll di fronte al mare che passò alla storia per questa sonora chiavata on stage, e che tra una palla e l’altra le lobby cristiane norvegesi (ci torneremo più avanti) contribuirono a far chiudere un paio d’anni fa per investire soldi a palate in cacate come questa. Pensate che per ‘sta storia s’è incazzato pure Cornelius dei Solefald, il che è tutto dire.

Comunque. Avevo preso il treno per Kristiansand per arrivare in tempo per la prima giornata, che vedeva i Rammstein headliner. Solo come un cane, perché solo il giorno dopo avrei dovuto incontrare della gente che avevo appena conosciuto a Oslo, per sentire almeno un po’ di calore umano. Tra questi il poliziotto che mi firmò il permesso di soggiorno, fatto che corrobora la teoria della Norvegia paese dove ci si conosce tutti. Come quella volta che conobbi la sorella di una mia collega e scoprii che alle elementari si scambiava i giornaletti di Pusur con Nocturno Culto. La Norvegia è un posto così: prima o poi incontri qualcuno che è andato all’asilo con Hellhammer e l’ha visto almeno una volta mentre si pisciava addosso nei pantaloni alla zuava. È così che crollano i miti, ed è così che si diventa adulti.

Ma torniamo a Kristiansand. I Rammstein fecero un concerto della Madonna, ma un errore fatale dei cellulari paleolitici del tempo fece sì che l’appuntamento saltasse, e, che il vostro, colto da malinconia, tornasse anzitempo alla capitale perdendosi – ebbene sì – la reunion dei Turbonegro. Li vidi poi l’estate successiva, in un concerto in cui tirarono giù lo Spectrum, ma è un episodio di cui mi vergogno ancora, soprattutto quando vidi gli estratti del concerto di Kristiansand nel DVD Reserection e mi resi conto che avevano rotto il culo a tutti quanti.

A quasi dieci anni di distanza, la pena pare affievolirsi soltanto per rimuovere l’horribili visu della fine che hanno fatto i TRBNGR. Mettiamo subito in chiaro che la c.d. conversione di Hank von Helvete / Hans Erik Husby non mi ha fatto nessuna impressione né intendo stigmatizzarla. Dopo che ti sei calato di tutto e finisci in overdose in un ospedale milanese (me li vedo, lui e Happy Tom sull’ambulanza, uno con un razzo nel culo e l’altro vestito da marinaio gay) e che hai rischiato di andartene, se trovi la fede sono solo contento per te. La visione del succitato Reserection è illuminante, non solo per gli ottimi inserti musicali ma anche per la storia personale di come uno si tira su da una situazione oggettivamente di merda. E pazienza se per farlo devi andare a vendere merluzzi alle Lofoten.

Più che altro mi ha sconvolto la deriva artistica del personaggio, al di là degli ultimi trascurabili album del gruppo. L’anno scorso decisi di saggiare la situazione andando a vedere un Jesus Christ Superstar con appunto Husby nel ruolo principale. Sicuramente il testo in nynorsk non aiutava (se non sapete cos’è il nynorsk, ve lo spiego io a 40 euro all’ora), ma conclusi che forse non tutto era perduto. Il tizio ci stava dentro, e Gesù fatto da lui aveva un piglio rock’n’roll che sicuramente non guastava. Vana illusione, ahimè, visto quanto accaduto negli ultimi mesi. Ma su questo torneremo alla fine, perché purtroppo la deriva ha investito non solo lui, ma anche gli altri membri del gruppo.

Potremmo cominciare da Happy Tom aka Thomas Seltzer, che ormai si vede soltanto più ai vernissage più esclusivi in città e non certo in mezzo alle mignotte e ai marinai ubriachi come ai tempi in cui si usciva la sera con Giordano. Per chi non lo sapesse Seltzer conduce da qualche anno un talk show penosissimo, Trygdekontoret (“ufficio assistenza sociale”, appunto), in cui l’ospite fisso, il Pagnoncelli diciamo, è nientemeno che Fenriz, che ha già dato il peggio di sé in un paio di occasioni.

Gli altri non è che se la passino tanto meglio. Euroboy, o Knut Schreiner che dir si voglia, ha avuto un cancro qualche anno fa – che pare abbia battuto – e ora sta tentando la carriera di critico musicale sul Morgenbladet, l’Espresso della situazione. Pål Pot Pamparius l’ho perso di vista, ma spero che sia tornato all’unica cosa che sapeva veramente fare. I avutri due un sacciu cu sunu.

Ma visto che in cauda semper stat venenum, torniamo a Hans Erik Husby. La notizia che gli altri si siano rotti di lui e abbiano chiamato nel gruppo Tony Sylvester dei Dukes of Nothing non mi ha sorpreso né intristito, primo perché il gruppo è di tutto rispetto e nasce dalle ceneri degli Iron Monkey, secondo perché, alla vista di questo video con cui Hank si è dilettato sotto Natale l’anno scorso, chiunque avrebbe perso la pazienza. Capisco i buoni sentimenti, capisco la solidarietà, ma che si faccia con un po’ di stile, che diamine.

Hank ha avuto un rigurgito di sensatezza qualche tempo fa, quando ha recitato degnamente il ruolo principale in un film su Cornelis Vreeswijk (se non sapete chi è vi spiego anche questo al prezzo di cui sopra), ma il tonfo, ahimè, è arrivato. Da poco ho scoperto che il nostro è entrato nella giuria di Idol, ovvero dell’X Factor norvegese. Vedere per credere:

Sull’argomento si faceva un’interessante riflessione sociologica qualche tempo fa, di fronte alla settima Nøgne Ø. In Norvegia è possibile rifarsi una faccia ancora più velocemente che nel parlamento italiano. Qualche anno fa ti mettevi i razzi nel culo, oggi sei pagato profumatamente in TV, servito e riverito nelle tazze di rame da tutti i benpensanti. Certo hai dovuto contrirti e pentirti, ma la situazione è anche frutto di un paese dove i contatti giusti contano, anche se le istituzioni sono più brave a nasconderlo che da noi. Insomma, non è mai troppo tardi quando sei sputtanato. Questo soprattutto se si entra in certe lobby che ruotano intorno, pensate un po’, né al petrolio né all’alta finanza ma… nientemeno che alla scuola steineriana. L’influenza di quattro antroposofi che hanno imparato a scrivere coi pastelli è incalcolabile in questo paese, il che la dice lunga su che succede quando fino a due mesi fa allevavi pecore e ora siedi su tonnellate di giacimenti petroliferi.

Ad ogni modo, Sylvester o meno, mi sa che dei Turboneger c’è poco da salvare. Certo continuerò a canticchiare fornicator of the lasso / sperminator of the asshole per strada ricordandomi dei tempi che furono, facendomi forza con la recente teoria, contenuta in questo libro, secondo cui i primi trenta secondi di black metal mai suonato sulla terra sono tra 00.08 e 00.40 di Vaya con Satan.

Ma per il resto, a parte interventi della Santuzza, credo che ci sia poco da fare. O arriva un miracolo come si deve (altro che esorcismo di Necrobutcher), o possiamo consegnare definitivamente i Turbonegro alla storia. (Giuliano D’Amico)

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