TEXAS IS A STATE OF MIND – intervista a Joe R. Lansdale

Niente introduzione per questo scambio di battute con il champion Mojo storyteller di Nacogdoches. A tale scopo assolve mirabilmente il pezzo del sempiterno Matteo Cortesi che trovate subito sotto. Quindi, prima di spararvi l’intervista, leggetevelo e poi ripassate di qua. Dopodichè stappate una Lone Star, riempitevi la bocca di tabacco da masticare, caricate le pistole (anche se Hap e Leonard preferirebbero un fucile a pompa) e buon viaggio nel mondo di uno dei più grandi scrittori americani contemporanei.

L’Italia è il tuo secondo mercato dopo gli Usa: come ti spieghi un successo così vasto nel nostro paese, che peraltro hai avuto occasione di visitare diverse volte? Sicuramente siamo uno dei popoli in assoluto più legati all’immaginario americano…
“Mi sembra che gli italiani conoscano molto bene la cultura americana, in Italia ne ho trovata parecchia, per quanto il vostro paese conservi pur sempre la sua identità. Credo dipenda anche dall’attrazione per il Texas, che è in parte come ve lo aspettate, sebbene il Texas orientale sia diverso dal resto: in questo caso è quasi come leggere degli abitanti di Marte”.

Ti ho scoperto con “La notte che si persero il film horror”: fu come un pugno in faccia, e lo considero ancor oggi uno dei tuoi racconti più efficaci. Come nacque?
“La notte che si persero il film horror” è basato su diversi eventi realmente accaduti nonché, come ovvio, sulla narrazione pura. Quasi tutto quello che hai letto è successo davvero, magari non tutto nello stessa notte. Ho preso diversi fatti reali e li ho uniti tramite uno spunto inventato. E’ stata la storia che più mi ha aiutato a capire come dovevo scrivere, come dovevo elaborare un mio stile. Mi ha spalancato una porta, anche se in seguito non ho scritto sempre in quel modo. Prima di allora il mio lavoro era stato manieristico ed imitativo. Quel racconto si è abbeverato alle mie radici e alle mie esperienze di vita, e mi ha permesso di scrivere sia di esse che di materie del tutto diverse che da quel momento potevo affrontare con maggiore fiducia”.

Mi è piaciuto molto “Sotto un cielo cremisi”, l’ultimo romanzo della saga di Hap & Leonard. Hai sempre detto che Hap riflette una parte di te: dato che erano passati otto anni dal precedente “Capitani Oltraggiosi”, cosa ti ha dato l’ispirazione per rispolverare i nostri due vecchi amici?
“Avevo messo da parte questi personaggi per due motivi: il primo è che dovevo ritrovare la freschezza giusta per tornare a scriverne, il secondo è che avevo cambiato editore negli Usa. Quello vecchio avrebbe mantenuto i diritti per un po’ e non fece niente per consentire a quello nuovo di utilizzarli. Fu divertente tornare a quello vecchio. C’è un nuovo Hap & Leonard in arrivo, un libro in qualche modo più oscuro chiamato “Devil Red”. Spero mantengano il titolo, spesso lo cambiano. Dopo mi prenderò nuovamente una vacanza dai ragazzi. Non so per quanto, mi piace scrivere di loro quando ne ho voglia”.

Perché negli ultimi anni hai preferito concentrarti sulla tua vena più classica e “twainiana”, con libri come “Tramonto e polvere” e “La sottile linea scura”?
“Voglio mantenermi stimolato, e voglio percorrere tutte le strade che mi ispirano e che ho a disposizione. Credo che la narrativa pura sia la mia preferita, ma non disdegno lo sperimentale, il contemporaneo, chiamalo come ti pare. Dipende da come mi sento al momento”.

La trilogia del Drive-In esprime una visione molto pessimista dell’umanità: in una situazione di emergenza le cose vanno inevitabilmente a puttane. Quando lessi quel che si dice sia accaduto nel Superdome di New Orleans dopo l’arrivo dell’uragano Katrina pensai al primo libro della serie. Il genere umano è fondamentalmente malvagio?
“Pensai le stesse cose quando lessi del grande terremoto che c’è stato in Italia l’anno scorso. Molte promesse, ma risposte lente. Da noi è successo lo stesso. Sono meno pessimista di quanto appaia dai miei libri. Diciamo che sono un ottimista ferito. Bisogna guardare al lato oscuro per poter essere capaci di tenersi lontani dalla sua ombra. Forse il mio io interiore è più oscuro di quello esteriore, non saprei”.

“La gita per turisti”, terzo capitolo della trilogia, è molto surreale e bizzarro. Stavi cercando la stessa libertà creativa che sei solito scatenare nei racconti?
“Esatto, amo anche la scrittura sperimentale, e questo libro è stata un’occasione per dedicarmici. A volte mi piace lavorare con un “pennello” impressionista o surrealista. Mi sono divertito molto a scrivere questo terzo capitolo, cosa che non accadde con gli altri due, il che è molto raro per me. Di solito non sono uno scrittore che ama vedere il risultato finale. Mi piace scrivere. Mi piace il processo creativo. I primi due libri della serie furono, però, assai difficili, anche se rimasi molto soddisfatto di come vennero fuori”.

Qua in Italia siamo molto fieri dei nostri B-movie degli anni ’60 e ’70. Quando andavi al Drive-In da ragazzo capitava mai di beccare, che so, una “Maschera del demonio” o un “Uccello dalle piume di cristallo”?
“Ho visto e apprezzato entrambi i film, soprattutto “La maschera del demonio”, anche perché mi attizzava Barbara Steele, che appariva spesso in quel genere di pellicole”.

Hai detto che “il Texas è uno stato mentale”. Beh, sicuramente è un’area che evoca una grande epica e che sembra perfetta come sfondo per dei romanzi. E ci sono dei lati oscuri che non puoi separare da quelli luminosi. Da un certo punto di vista, mi fa venire in mente il Sud Italia, dove non puoi separare l’ospitalità e il calore della gente da un certo genere di logiche mafiose e dal conservatorismo estremo…
“Ci sono molte analogie tra il Sud Italia e il Sud degli Stati Uniti. Credo che c’entri in qualche modo il clima. Però dove vivo io ci sono alberi, acqua e molta ombra, in barba al caldo e all’umidità. Certo, ci sono anche delle differenze. Girai un documentario sul Sud Italia, e, sebbene fu a volte frustrante e irritante provare a concentrarmi sulle riprese quando avrei voluto dedicare più tempo allo studio di quanto stavo osservando, fu un’esperienza grandiosa. Ma non lo rifarei”.

Hai creato numerosi, splendidi personaggi white trash. Riflettono persone che hai veramente incontrato?
“Assolutamente. Sono tutti basati su gente che ho conosciuto. Beh, quasi tutti”.

Hai scritto un breve pamphlet satirico sulla religione (lo trovate nell’antologia “Maneggiare con cura” uscita per Fanucci) che mi divertì parecchio. Ti sei mai scontrato, in un modo o nell’altro, con il fanatismo religioso?
“Mi è capitato. Per me puoi credere in tutto quello che vuoi, ma non puoi impormi il tuo credo. Io mica ti impongo il mio. E bisogna tenere queste cose fuori dalla politica e dalla scuola”.

Quando leggo le dettagliatissime scene di lotta che compaiono nei tuoi libri non posso non pensare alla tua grande passione per le arti marziali, che ti ha portato a fondarne addirittura una: lo Shen Chuan. Il Joe scrittore e il Joe istruttore si influenzano a vicenda?
“Eccome. Le arti marziali mi mantengono disciplinato e concentrato quando devo finire un lavoro. Ho imparato a reggere agevolmente lo sforzo. Quando le cose si fanno difficili accuso il colpo, ma riesco a reagire piuttosto in fretta. Riesco a dominarmi. A fare quello che va fatto. Ad andare avanti”.

Siamo un blog di heavy metal, quindi non posso fare a meno di chiederti se hai una qualche vaga cognizione di questa musica, di questa scena … Ci sono un sacco di personaggi che si sentirebbero a casa nei tuoi libri.
“Uhm, mia moglie ne sa un po’ di più, anche se non della roba attuale. Preferisco il rockabilly, il country e il blues, o gente come Jimi Hendrix e i Cream, i precursori della scena attuale. Quindi devo ammettere che non conosco bene il genere, anche se sembra che i miei lavori attraggano molti fan dell’heavy metal. In qualche modo si somigliano. Sfacciati e impetuosi, “cazzo duro e cuore puro”.

In ogni caso la musica sembra avere un ruolo importante nella tua vita. Tua figlia è una musicista, partecipi spesso a manifestazioni musicali, i tuoi personaggi litigano per la stazione sulla quale sintonizzare la radio …
“La musica è molto importante. La mia vita ha una colonna sonora, le canzoni che ho ascoltato crescendo e così via. Non ascolto musica quando scrivo, però ci penso, e credo dia una sorta di ritmo al mio lavoro. Attualmente sto ascoltando molta roba vecchia. Blues, country, rockabilly e il primo rock’n’roll”.

A cosa stai lavorando ora?
“Ho finito il nuovo Hap & Leonard e un romanzo di formazione. Sto scrivendo una sceneggiatura per “Una stagione selvaggia”, vedremo come verrà fuori. Il libro (il primo della saga di Hap & Leonard, ndfr) è stato opzionato da dei produttori ma ovviamente ciò non significa necessariamente che il film verrà fatto. Bill Paxton sta provando a portare sullo schermo “In fondo alla palude”, chi vivrà vedrà”.

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