La lista della spesa di Griffar: marce funebri sulle piste da sci

Iniziamo parlando di un disco a firma di un progetto solista, quello di Carcasse Enchaînée con i suoi DUELLISTE, uscito dopo i due più che apprezzabili demo (I e II, entrambi stampati anche in CD, vinile e cassetta) e uno split. Dunque l’album autointitolato del quale si parla in questo trafiletto in teoria è il suo esordio ufficiale, anche se i due titoli precedenti hanno comunque un minutaggio adeguato a definirli full length… il solito casino. Va beh, procediamo.

Possiamo definire la sua musica come raw atmospheric black metal, composizioni di derivazione DarkThrone – o comunque vecchio stile scandinavo – alle quali vengono aggiunte tastiere ora più lineari ora vicine al dungeon synth. Degli 11 brani presenti in scaletta, tre sono strumentali (ma non c’è una intro, evvai!) e comunque nessuno arriva ai quattro minuti di lunghezza. Senza le tastiere sarebbe raw black ortodosso quasi punkeggiante come abbiamo ascoltato in migliaia di casi, ma i tasti bianchi e neri sparigliano le carte, mitigando la furia che di base caratterizza tutte le composizioni e rendendo l’ascolto meno ostico per chi non è avvezzo a contesti sì estremi, soddisfacenti contemporaneamente per chi del black gradisce l’aggressività e la violenza più schietta. Duelliste è un disco ben riuscito, e il progetto francese si aggiunge a tutti quegli altri in grado di proporre musica black metal di buon livello.

Fedele alla tradizione che prevede un suo nuovo disco a nome NACHTIG ogni due anni, V.V. ritorna con Der Abschied, quarto album ufficiale del gruppo; poi ci sono anche le due demo ristampate ufficialmente e va beh, solita vecchia storia. Avendone già parlato più volte in passato tanto vale farla breve: il suo stile molto burzumiano interpretato in modo personale è vincente e, tanto per dire, qui in redazione viene apprezzato come merita.

Si può dire che questo album è un po’ più melodico, c’è qualche tastiera in maggior quantità (senza mai eccedere, tranquilli), ci sono più stacchi di chitarra non distorta di pura atmosfera, la voce è sempre straziata ed angosciante ma, nel complesso, evidenti variazioni o cambi di stile non ce ne sono stati, quindi se già li conoscete e li gradite potete andare sul sicuro. I brani sono quattro, tutti di lunghezza medioalta (8, 9 minuti) per 34 minuti totali di black metal convinto e convincente. Possiamo considerarli oramai un gruppo di punta nel panorama DSBM/atmospheric black tedesco, e non è poco visti i nomi che frequentano quella scena.

Che mister TRHÄ ha fatto uscire la sua consueta svarionata di dischi già ve l’ho detto? No? Provvedo subito: tre full, due EP, uno split e una “collaborazione” (che sarà mai? Forse un disco scritto a più mani, non saprei). Inutile scrivere i titoli che sono solo lunghe stringhe di caratteri incomprensibili, andrebbero bene per una password così non ti rompono troppo le palle quando ti obbligano a cambiarla.

All’interno di questi dischi ci trovate il black metal furibondo, catastrofico e spasmodico che potete ascoltare in ogni suo disco, quale che sia prendendone uno a caso nella sua sterminata e per certi aspetti assurda discografia. Né più né meno. Come ho già avuto modo di dire, presi singolarmente funzionano tutti, e funzionano bene. Se già se ne ascoltano tre o quattro di fila il discorso cambia, subentra un sottile ma sgradevole senso di irritazione del tipo “il troppo stroppia”. Questo per ciò che riguarda me, so però di gente che in pratica ha smesso di ascoltare tutto il black tranne i Trhä. A ognuno il suo, come si suol dire.

Chiudiamo in bellezza con del malsano funeral doom con i controfiocchi. Juho Huuskola è un artista finlandese che con il suo progetto solista SHADES OF DEEP WATER se la gioca ad armi pari con mostri sacri del calibro di Skepticism, Shape of Despair, Thergothon, Dryom e via lugubreggiando. Le sue non sono canzoni, sono marce funebri terrificanti. Le si ascolta e sembra di assistere al proprio funerale, perché si è morti prematuramente e pensate: per quanto sia sterminato il vocabolario italiano non esiste una singola parola che significa “un figlio seppellito dai genitori”. Immaginatevi la scena, da rabbrividire.

Questi non sono brani, sono uno strazio; fanno venire le lacrime agli occhi da quanto sono disperatamente infelici, fanno meditare su quanto dolore sia possibile patire in vita. The Years on Borrowed Time è il quinto album del finlandese, in circa vent’anni di esistenza ha pubblicato anche parecchio altro materiale tra demo ed EP, ma, se già i lavori precedenti hanno qualsiasi caratteristica vi venga in mente tranne che portare allegria, questo nuovo album è l’abisso invocato dall’abisso. Più in fondo non si può andare. Quattro lunghi brani, lentissimi, disperati, 41 minuti di pura angoscia. Suona da solo tutti gli strumenti, anche gli archi che hanno gran rilievo nel tracciare le melodie portanti. Nel campo del funeral doom quest’anno non è uscito nulla di migliore, nemmeno di paragonabile. Andateci cauti. (Griffar)

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