Dal Brasile due potenziali dischi da playlist: OUTLAW e AUTREST
Che il Brasile (soprattutto dagli anni ’90 in poi) non sia mai stato esattamente una fucina inesauribile di gruppi black metal non lo scopriamo certo oggi, anche se negli ultimi tempi le cose stanno in tal senso cambiando, con una serie di band che un po’ in tutte le diramazioni di del genere se ne stanno uscendo con dei dischi più che ottimi. In questo 2025 ce ne sono due in particolare che mi hanno colpito non poco, vale a dire Burning Embers, Forgotten Wolves degli Autrest e Opus Mortis degli Outlaw.
Degli OUTLAW avevo già parlato ai tempi del precedente Reaching Beyond Assiah, disco enorme che, pur nella sua estrema derivatività dissectioniana, aveva al suo interno tre-quattro brani di livello altissimo, tanto che era finito addirittura nella top ten di fine anno. Personalmente l’attesa per questa nuovo Opus Mortis era molta ed ero veramente curioso di scoprire se la band di San Paolo avrebbe saputo assolvere all’ardito compito di non far rimpiangere il predecessore. Dal punto di visto stilistico le coordinate sono sempre quelle, anche se in questo frangente il sound si fa più aggressivo e con una parte black molto più preponderante che ricorda un po’ i Lord Belial di Enter the Moonlight Gate (sentitevi Through the Infinite Darkness e ditemi se non trovate delle similitudini). C’è anche spazio ovviamente per parti più rallentate e melodiche in tipico stile Nödveidt, come in The Crimson Rose, che è anche il pezzo migliore dell’album. Manca il fattore sorpresa e quella scintilla che aveva reso grandioso il lavoro precedente, ma parliamo in ogni caso di un acquisto obbligato per gli amanti del death/black melodico tipicamente novantiano.
Cambiamo coordinate sonore invece con gli AUTREST, che dopo un primo disco passato un po’ in sordina sono balzati agli onori delle cronache con questo Burning Embers, Forgotten Wolves, piccola gemma di black metal atmosferico di grandissima classe. Parliamo di un genere come ben saprete ultrainflazionato, in cui il rischio di confondersi con altri 300 gruppi che suonano la stessa roba è altissimo, ma non è il caso di questi brasiliani che, pur non inventandosi assolutamente nulla, riescono a dar vita ad un disco bellissimo e con una certo rifferama vecchia scuola che li differenzia da molti dei suoi epigoni. La formula è sempre quella, atmosfere in stile Filosofem (soprattutto nell’uso dei synth), rifferama minimalista e ipnotico tipo Lustre o Eldamar, ma anche, come dicevo, un certa influenza melodica novantiana un po’ alla Vordven per intenderci, il che mischiato tutto assieme rende questo prodotto di altissimo livello. La traccia omonima, Ruins of The Lost o la parte finale di Resonance in particolare sono da pelle d’oca, ma il disco in generale scorre che è una bellezza senza essere troppo zuccheroso o ripetitivo. Dategli una possibilità perché se lo meritano. (Michele Romani)



Sempre dal Brasile consiglio caldamente Mar da Deriva dei Vauruvã, ci sto in fissa da settimane
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non conosco, me li segno
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