CORAM LETHE @Sonar, Colle val d’Elsa – 25.10.2025

Foto di Marco Belardi

Al Sonar di Colle val d’Elsa ero stato una sola volta, una vita fa, tanto che non ho neanche riconosciuto la strada dopo averla imboccata. Così come non ho riconosciuto da lontano il profilo del Sonar, e ho chiamato il chitarrista dei Coram Lethe per chiedergli se dovessi rimontare in macchina e finire da qualche altra parte.

Il locale è veramente molto, molto carino. Di faccia il classico capannone, un’anticamera avente un bancone e la consueta area attaccapanni, poi cassa, un bel bar con dietro il mixer e tanto spazio di fronte al palco. Anche le luci sono molto migliori di quel che immaginassi. A destra ci sono i cessi con un corridoio che è grosso più o meno quanto uno stabile abusivo pratese in cui riescono a dormire una ventina di cinesi; sul lato opposto una porta di sicurezza a spinta, la apri e c’è uno spazio ristoro gigantesco, pieno di tavolini e che, soprattutto, rimarrà pieno di gente per tutta quanta la serata. A noi fiorentini che abbiamo visto morire i locali metal come mosche, dico che quei cinquanta minuti di automobile che ho percorso da Firenze Nord sono un toccasana, se penso che per giungere allo Stony Pub, che fisicamente risulta a Firenze, ne impiego altrettanti se non di più.

Deviation

Deviation

La capienza la stimo fra i duecento e i duecentocinquanta spettatori, considerando che simultaneamente meno di cinquanta persone in zona ristoro difficilmente le ho viste. L’acustica mi è sembrata ottima, anche se i volumi sono stati tenuti altissimi in occasione di tutti e quattro i concerti, penalizzando con ciò la nitidezza.

Dicevo dei concerti. Sabato 25 ottobre era la data in cui avremmo visto i Coram Lethe celebrare dal vivo The Gates of Oblivion con la formazione storica, ma, se non vado commettendo un errore, non con Giacomo Occhipinti al basso, bensì con suo fratello Filippo alla chitarra. Forse il nome dei Dysthymia vi dice qualcosa in proposito. Che poi lo stesso Filippo a sua volta entrò stabilmente in line-up nei Coram Lethe più in là negli anni. Una curiosità: hanno suonato in questo stesso locale vent’anni fa di spalla ai Dismember, proprio in supporto a quell’album. Penso di averli visti dal vivo per la prima volta nel Novantanove o Duemila, al Siddharta di Prato, e da allora una miriade di volte. Ritornare a vedere i Coram Lethe nel 2025 non è stato ritornare a vedere la loro reunion (per un unico concerto o, chissà, per tanti altri ancora se ne verranno annunciati in futuro sulla base del successo riscontrato a Colle val d’Elsa): è stata la nostra reunion. È stato rivedere i ragazzi dei Sickening, con i quali ho suonato la batteria una ventina d’anni fa e oltre. È stato in linea di massima rivedere un sacco di gente, la stessa del Siddharta, del Cencio’s, la stessa del forum di MetalManiacs, con vent’anni in più sulla groppa e la stessa identica voglia di muoversi la sera per raggiungere una più o meno lontana location e godersi le stesse sensazioni d’allora. Se con questo non riusciamo a definire l’unicità del metal in un periodo storico in cui la capacità di aggregazione di intere generazioni è fortemente calata, non riusciremo a definirla altrimenti.

Deviation

Deviation

Ma sto scrivendo un articolo troppo serio e romantico, rimedio subito: la cosa che mi ha subito colpito del Sonar è che era pieno di due cose: fregna e bambini accompagnati dai genitori. Sulle prime la cosa mi ha lasciato interdetto, dopodiché ho collegato alla concentrazione delle prime la conseguente fuoriuscita dei secondi, e ho smesso di pensare a questo curioso fatto statistico.

In realtà trovo meraviglioso che le contemporanee generazioni di genitori non abbiano alcun problema nel preparare i più piccoli a questa musica. Forse perché non spaventa più come un tempo, forse perché la mentalità in tal senso è finalmente e fortunatamente mutata. All’epoca sono andato a vedere i Metallica raccontando che ero da un amico, e tenevo alcuni compact disc con la copertina rigirata perché l’apparizione a mamma e babbo dell’illustrazione di Matando Gueros avrebbe suscitato con certezza più che qualche banale cenno di discussione. Ora li si portano a vedere i concerti death metal con la faccia pittata, le cuffie in testa per non ritrovarsi sordi a otto anni di età, e ci si diverte tutti. Ed è bellissimo che sia così.

Di spalla e rigorosamente in ordine di apparizione i Deviation, i Sickening, i Kiju.

Sickening

Sickening

Praticamente, e sinceramente, non sono nelle condizioni di esprimere un parere al cento per cento imparziale riguardo a due formazioni su tre, e lo dico subito. Col chitarrista dei primi, Matteo Buti, oramai ex Subhuman poiché stanno per sciogliersi con tanto di concerto d’addio al CPA di Firenze Sud il primo novembre prossimo (però la pubblicità gliel’ho fatta), ho scritto sulle pagine virtuali di MetalManiacs una vita fa; col cantante dei secondi idem, e ci ho pure suonato. I Kiju li ricordo con piacere perché all’epoca già giravano per palchi: con loro non ho mai frequentato nessuna sala giochi, giocato a calcetto, o fotografato assieme il martin pescatore al Parco della Piana.

Se devo indicare il concerto della serata dico proprio i Deviation, una sorpresa assoluta. Death metal pesante, riffoni thrash, un frontman grosso quanto una montagna che spero di non tamponare mai con la macchina perché il rischio è di ritrovarsi a fare il CID chiuso dentro al bagagliaio. Sue le migliori foto della serata, e non è mai casuale: quando con un tizio specifico escono tutte le foto migliori della serata, è segno che il palco lo ha tenuto con assoluto carisma e presenza scenica.

Kiju

Kiju

I Sickening suonano brutal death metal, Claudio al microfono non si ferma un attimo, annuncia un pezzo dedicandolo a un regista marcio. Le cose sono due: o ha le energie di quando aveva vent’anni, o il giorno seguente l’ha passato ad assumere antidolorifici. Lui la sua risposta me l’ha fornita a fine scaletta. Il credo assoluto sono i Suffocation, il batterista lo condividono proprio con i Deviation con un rischio spremitura che lui stesso ampiamente smentirà.

All’assalto dei Kiju il locale si era quasi totalmente riempito. Ho notato che la sala ristoro continuava a pullulare di gente: noi presi a fare foto di gruppo con i reduci dell’epoca dei locali fiorentini dei primi Duemila, e a citare coloro che dal giro si erano comprensibilmente vaporizzati. Birre dappertutto, discussioni da bar sugli Slug Gore e sui Fulci anziché su Max Allegri che ha perso punti col Pisa. Bambini con le cuffie che rientravano dall’area concerti con un’aria sbigottita, come se la preparazione all’ascolto dei Sickening non fosse stata preceduta da quei consueti passaggi di mezzo, tipo Alice Cooper, il Black Album, poi magari i Pantera e avanti tutta fino alla cacofonia e ai blast beat.

Coram Lethe

Coram Lethe

Per un attimo ho pensato che ci fosse più gente a mangiare e a discutere che a vedere i Kiju: no, di là era pieno e ho faticato a prendere posizione per le fotografie. Ma era niente in confronto a quel che sarebbe avvenuto in seguito. I Kiju li ho visti particolarmente apprezzati dal pubblico, e agitati da un capacissimo frontman, ma, col loro vivace e moderno metallo macchiato di thrash e tendente al suffisso -core, un po’ fuori dal coro rispetto alla proposta unilaterale offerta dalla serata: il death metal.

Poi i Coram Lethe sono stati come andare a una messa per i fedeli. Non sto affermando con questo che i Coram Lethe fossero l’equivalente dell’ultima calata italica dei Death prima di scomparire. Per noi toscani hanno avuto un forte significato, perché con loro siamo cresciuti. Un paio di pezzi estratti da quell’album me li sono ricordati subito, non so da quanto non lo riascoltavo: più probabilmente a tenerne vivo il ricordo sono state le innumerevoli volte che li ho visti sul palco. Tutto uguale a prima: il vestiario e le posizioni in cui suona Filippo Occhipinti, l’imponente e onnipresente Mirco Borghini, centratissimo nel dialogo col pubblico. Me li sono visti seduto su una delle pedane del cantante a fronte palco: impossibile stare altrove, impossibile spostarsi, impossibile di conseguenza fotografare senza che a quel punto me ne fregasse nulla di nulla. Volevo solo godermela, anche se la stanchezza cominciava a farsi avanti a grandi passi. Gli si perdona tutto, soprattutto che essersi ripresentati in favore di questa data ha forse concesso uno scarso tempo di preparazione, pena qualche percettibile imprecisione nell’esecuzione. A partire dal discorso introduttivo è stato con certezza il loro miglior concerto che io ricordi, perché gli altri erano un concerto, questo era quel preciso concerto. E io c’ero. (Marco Belardi)

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