Rischio calcolato, colpo riuscito: TESTAMENT – Para Bellum

Dopo oltre quarant’anni di carriera e dopo essersi adagiati su qualche formalismo collaudato nel corso degli anni, i Testament scelgono di intraprendere una strada rischiosa, ovvero mettere insieme un album di idee, perché il loro nuovo Para Bellum è interessante, sorprende, ma quel che più importante, è un disco vivo. Avevano cominciato a pensare a un nuovo lavoro fin dal 2020, proprio durante la pandemia, poi la scrittura e le incisioni si sono protratte molto a lungo, essendo state ultimate solo alla fine dell’anno scorso, e anche la postproduzione ha richiesto tempo. C’è da aggiungere poi che hanno un nuovo batterista, giovane, atletico, velocissimo, esperto nelle tecniche più moderne e aggrovigliate: è Chris Dovas, il quale viene messo in primo piano in modo da farlo sentire per bene fin dall’apertura dell’album. Il ragazzo non è solo presente, è proprio protagonista. A farne le spese, neanche a dirlo, è l’altro protagonista della sezione ritmica, ovvero il Gran Maestro Steve DiGiorgio, che prosegue il suo ottimo lavoro, accontentandosi di emergere soltanto a tratti.

Ma non è tutto qui: a giudicare dalle prime due canzoni del disco i Testament si presentano oggi come gruppo death metal melodico: blast beat, growl con cori, chitarre armonizzate e abbellite con tastiere, opportuni cambi di tempo. In seguito tornano al thrash, ma Para Bellum è un album molto vario, fatto di canzoni singole dotate di una propria identità riconoscibile: abbiamo i primi due brani, For the Love of Pain e Infanticide A.I., che si basano su aggressività, velocità, blast e growl, poi arriva il più drammatico e intrigante Shadow People. E poi al quarto posto c’è lui, il lentone alla Testament, e questo sì che arriva dalla loro tradizione più antica, che si ritrova dai tempi di Musical Death (che però era strumentale), The Ballad, The Legacy, Return to Serenity, Trail of Tears, etc. etc. Il bello è che i lentoni dei Testament li si riconoscono fin dal titolo, raramente ci si sbaglia: quando ho letto Meant to Be ho detto: “Ecco, è lui!”. Dalle notizie e dalle dichiarazioni che sono circolate, sembra che proprio in questo brano dovesse intervenire come ospite anche Floor Jansen, ma la collaborazione sarebbe saltata perché il perentorio Chuck Billy ne aveva parlato troppo in anticipo lo scorso anno, contrariando così la cantante dei Nightwish. Vai a capire. A seguire c’è High Noon, un brano panterato e sudista, che, per quanto sia certamente di grande impatto, esula un po’ dallo stile generale dell’album, ma lo prendiamo come altro esempio di quella varietà di cui dicevamo sopra e di certo è stato pensato per il palco. La seconda metà dell’album si apre maggiormente al metal classico e troviamo anche maggiore melodia, per quanto non manchi mai la grande energia dei Testament. Poi non so se sia una paranoia personale, ma alla chiusura di Nature of the Beast c’è questa figura ritmica:

Ovvero terzina-croma terzina-croma e pausa, che è la stessa del finale di Hallowed Be Thy Name. È un caso o è un omaggio agliIron Maiden? Andatelo a sentire: è talmente uguale che io non ho dubbi e, in ogni caso, si tratta di una canzone fortemente heavy, con influenze ancestrali di Judas Priest e Van Halen. In effetti, viene il vago sospetto che i Testament si siano divertiti a citare i loro colleghi, più o meno coetanei, in alcune canzoni, perché per esempio Room 117 a tratti ricorda certi Megadeth.

C’è qualcosa di più dei soliti Testament in queste canzoni: sono tornati in grande forma e si fanno sentire con un lavoro ben suonato e ben concepito. Para Bellum non è un disco perfetto: cerca forse di compiacere molte aspettative e alcune scelte produttive, sulle quali è meglio soprassedere, pesano sulla qualità dei timbri strumentali, tuttavia è un disco molto sincero, intenso e ispirato, tanto che il gruppo dimostra di saper giocare con gli stili e con la propria storia musicale. Io poi penso sempre ai giovani ascoltatori, per i quali Para Bellum può rappresentare una soglia di ingresso verso un metal solido e ragionato, suonato da ottimi musicisti.

Wake up, why can’t you see
The ace of spades is the card that you need

(Stefano Mazza)

8 commenti

  • Avatar di Fanta

    Posso dire che trovo pacchiana la traccia di apertura? Sembra di ascoltare i peggiori Cradle of Filth. Sta cosa mi ha mal disposto. Non vi nascondo che ho bestemmiato bruttissimamente.

    E di lì non è che poi abbia avuto chissà quale sussulto, eh. Lo devo riascoltare ma boh…Un grosso boh, per adesso.

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  • Avatar di Pepato

    Sì è un disco interessante con molte idee, ma non mi ha mai colpito. A parte i due pezzi estremi in apertura e la ballad, non c’è nulla che mi abbia fatto voglia di riascoltarlo.

    Ottime le chitarre come sempre (the nature of the Beast ha davvero tante citazioni da Maiden e Thin Lizzy). Invece la batteria non mi piace: lui è bravo, ma per i Testament preferisco uno stile più quadrato e potente come quello di Hoglan, che non tutti questi svolazzi ipertecnici.

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  • Avatar di Fanta

    Mi sorprende tra l’altro che nessuno ci abbia fatto caso,

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  • Avatar di Fanta

    Cazzo ho combinato, comunque: la progressione armonica del refrain di For the Love of Pain è para para a Funeral in Carpathia. Indovinate di chi?

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  • Avatar di weareblind

    Ascoltato 6 volte, non mi ha lasciato nulla. Sempre tanto amore per i Testament, eh.

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  • Avatar di Fabryz74

    Grande disco, vario, potente e con diverse tracce fighe..onore a questi signori che a 60 anni spaccano ancora i culi

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