I MUNICIPAL WASTE furono un’apocalisse in un bicchiere di carta

Ho sempre considerato i Municipal Waste un po’ come le scarpe Superga di quegli anni: non erano “alla moda” come le Vans o le Converse, ma nemmeno delle taroccate assurde a pochi euro che si sfaldavano dopo qualche settimana. Potevi farci affidamento per un pezzo quando ne acquistavi un paio. Musicalmente li ho sempre inquadrati così: crossover thrash non in cima alle mie preferenze, con una discografia abbastanza omogenea. Se li metti su ti diverti senza troppi pensieri, e senza aspettarti il capolavoro che si erge dalla discografia.

Il più citato è sicuramente Hazardous Mutation, anche perché giunse in un periodo mediaticamente strategico per la band di Richmond: erano reduci dall’esordio autoprodotto Waste ’em All (2003), che virava più sulla Bay Area, laddove l’approdo in Earache li avvicinò maggiormente a un ibrido tra i Nuclear Assault e i DRI. Per esigenze di marketing l’album finì tuttavia sotto l’etichetta “party thrash”, che era un po’ come il “love metal” degli HIM: non serviva a un cazzo.

Nemmeno la scelta del luogo di registrazione sembrò casuale: i brani vennero incisi presso gli spazi di Karma Productions / Slave Pit Studios di Richmond, ovvero la fucina creativa dei GWAR. Lì la band trovò la guida tecnica di Cory Smoot (Flattus Maximus), che assunse il ruolo di mentore del suono. Il suo obiettivo era dare un timbro che sarebbe poi rimasto per buona parte della carriera della formazione: chitarre affilate ma asciutte, voce di Tony Foresta in primo piano, batteria netta e senza riverberi eccessivi. Il mastering, affidato ad Alan Douches, accentuò ulteriormente la percezione di volume e impatto.

Non fu solo il suono a diventare un imprinting per il futuro: anche la formazione di allora venne ricordata come la più iconica. Tony Foresta alla voce, Ryan Waste alla chitarra, Philip “Land Phil” Hall al basso e Dave Witte alla batteria. Aver assoldato gli ultimi due fu uno dei colpi più importanti della loro carriera: il primo restituì solidità alla scrittura e portò i proverbiali cori urlati, rivelandosi l’anello mancante per avere una sezione ritmica finalmente all’altezza della velocità esasperata dei brani.

Se per molti i “veri” Municipal iniziano qui, è anche per una questione estetica: l’aver commissionato l’artwork all’esperto Ed Repka, già celebre per aver illustrato album di Megadeth, Death e Nuclear Assault. Strizzare un occhio ai decenni passati, con una spruzzata di mutanti, colori acidi e figure apocalittiche, traduceva in immagini la poetica del gruppo, amante degli horror di serie B e di quelli che ora definiremmo dad jokes.

Questa apocalisse in un bicchiere di carta trovava rimandi anche nelle canzoni stesse: The Thing è ispirata a La Cosa di Carpenter, Guilty of Being Tight scherza sul classico slogan hardcore Guilty of Being White dei Minor Threat, trasformato in “tight” nel senso di “compatti/fighi”. Black Ice è puro hardcore alla Circle Jerks e fa riferimento all’incidente sul ghiaccio in cui perse la vita Cliff Burton. Rasoiate a volte persino di pochi secondi, come se si stesse giocando allo schiaffo del soldato durante la ricreazione.

E non è che il disco duri molto di più: resta sotto i 27 minuti. Un po’ di più se si considera l’edizione speciale che includeva il DVD live registrato all’Alley Katz di Richmond. L’etichetta lo ha caricato su YouTube anni fa ed è consigliato per farsi un’idea più chiara dell’attitudine cazzona dei Municipal Waste e dei loro brani, pensati principalmente per essere suonati in qualche festivalaccio di periferia senza nemmeno le transenne, con un pubblico imbenzinato che fa stage diving completamente nudo (tutta roba immortalata nel materiale filmato). Più c’è alcol, più è efficace. Di certo questa formula ha continuato a funzionare nel corso dei decenni, ma quando hai meno di trent’anni hai inevitabilmente più carte in regola per renderla al meglio. Ascoltando Hazardous Mutation vent’anni dopo… Ti stranisci che siano ancora in piedi, in qualche modo e in qualche forma. Il disco però è ancora lì e ancora regge. (Federico Francesco Falco)

6 commenti

Scrivi una risposta a Old Roger Cancella risposta