Sons of Rock Metal Fest VII @Anfiteatro comunale, Mores (SS), 23.08.2025
Alla stazione dei treni di Cagliari percorro gioviale la banchina con in mano L’Unione Sarda, aperto sulle pagine di cronaca nera nuorese. La polizia mi ferma e mi chiede i documenti. Solo a me, non stanno facendo controlli, sono il tizio con l’aria strana che attira l’attenzione delle forze dell’ordine durante una giornata di routine. Sul lavoro mi vesto in modo abbastanza formale, ho una cintura da abbinare a ogni paio di scarpe e se metti una cravatta su una button down devo trattenermi dal non guardarti male. Ma le vacanze sono vacanze, e in Sardegna il mio look estivo continua a prevedere occhiali da sole da pappone, smanicata degli Eyehategod a mostrare i tatuaggi, trucidi bermuda verde militare e scarpe da barca. Non c’è nulla che ti faccia sentire giovane come una guardia che ti chiede i documenti.
Il viaggio è lunghino. Niente alta velocità per gli isolani. Un’ora abbondante di treno fino a Oristano, poi bus sostitutivo – ci sono i lavori sulla ferrovia – fino a Ozieri e da lì, dopo un rapido salto al B&B, corriera verso Mores, paesino di 1.600 abitanti noto per uno splendido campanile e il Sons of Rock Metal Fest, un festival heavy metal, giunto ormai alla settima edizione, al quale non avevo mai partecipato. Va detto che ormai nella regione natia trascorro sì e no una settimana all’anno. Per una volta sono riuscito tuttavia a far coincidere le date, perché, memore del nulla assoluto che vigeva da queste parti quando ero ragazzino, non posso non fare il possibile per dare il mio sostegno a chi si sbatte per portare i Sinister nel bel mezzo del Logudoro, una delle aree meno antropizzate della Sardegna.

Arrivo abbastanza presto. La fermata della corriera è proprio davanti all’anfiteatro comunale dove si svolge il festival. Nell’attesa, chiacchiero con lettori (tra cui il possente Tonino della nostra altrettanto possente chat Telegram) e altri astanti conosciuti sul posto e inizia l’infernale giostra sarda delle birre che tutti iniziano a offrire a chiunque. Te ne trovi due in mano senza che nessuno ti avesse avvertito, tu combini subito dopo un giro da quattro e avanti così fino a notte fonda. Costa due euro e cinquanta, quindi appena entri capisci subito che andrà a finire malissimo.
Aprono le danze i DEXAL, band del settore meridionale autrice di un Lp del 2019 che non ha ancora avuto seguito ma prometteva bene, e non solo per titoli migliori del mondo come Fuck You We’re from Trexenta. Groove thrash che parte dai fondamentali (Pantera, Sepultura e così via) e si tuffa in un puzzolente pantano sludge, dal quale riemerge inzaccherato di scorie southern. Pezzi come Trust and Steel hanno il piglio degli esponenti più lerci di quella specifica scena Usa. Esibizione nerboruta e divertente, salubre e rinfrescante come le birre che ho già smesso di contare. A fine concerto ci si interroga sulle dinamiche della familiarità dei Dexal con Alex Magni, che compare come sponsor illustre sul loro canale YouTube e vanta pure un brano dedicato alla sua opera, intitolato 100×100, dal toccante testo metà in inglese e metà in sardo.

Mi perdo l’inizio dell’esibizione dei KREˆU perché resto imbottigliato nella fila dei panini, unico aspetto da migliorare. Per noi di Metal Skunk sono ormai un gruppo feticcio. Ci siamo innamorati del loro album omonimo, approfondito con un’intervista a Ignazio Cuga, che si presenta sul palco in costume tradizionale (la berrita però se la toglie presto, fa caldo). Ha un carisma guerresco: se in questo momento ci invitasse ad assaltare una base americana armati solo di roncole e coltelli, probabilmente lo seguiremmo.
A essere onesti, qualcosa manca rispetto al disco: va lodata la scelta di non abusare di basi e sovraincisioni ma la parte più ancestrale del suono dei Kreˆu ne esce sacrificata, il contesto non consente di apprezzare la complessa stratificazione che le composizioni hanno in studio. Si punta quindi sulla violenza, e il materiale che ha la resa migliore è quello in partenza più diretto e aggressivo, come gli estratti dalla “trilogia della vendetta”.

Dalle nuove speranze dell’underground sardo si passa alle solide certezze con gli SHARDANA. È uscito da poco il terzo album The Monarch, che li vede raffinare quello che loro definiscono blackened death metal from Sardinia. Io ci trovo ancora molto thrash, soprattutto nelle tracce prese dall’esordio No cadena, no presoni, no spada, no lei, quando la componente melodica era meno contigua agli svedesi e più maideniana tout-court, se non rasente l’epic metal, come si conviene a una formazione che rende tributo nelle sue liriche alla storia e all’identità di un popolo fiero e stoico, da secoli addestrato alla rinuncia e alla sofferenza. Dal vivo i cagliaritani hanno un tiro incredibile e abbattono tutto. Sezione ritmica potente e perentoria, riff non originalissimi ma trascinanti, voce alla carta vetrata. Che pezza, signori, non mi aspettavo tanti schiaffoni. Meriterebbero di girare di più anche nel resto d’Italia.
Già frastornati dagli Shardana, subiamo il colpo di grazia dai SINISTER, autori di una performance violentissima, tra le migliori che mi sia goduto di recente in campo death metal. Gli olandesi ti mettono all’angolo e ti percuotono fino a metterti fuori combattimento, un pezzo dopo l’altro come diretti ben assestati che vanno a sempre a segno. Tra i migliori esponenti della vecchia scuola europea, pagarono lo scotto del crollo verticale immediatamente successivo alla pubblicazione di Hate, forse il loro capolavoro.

La rinascita arrivò nel 2006 con Afterburner, che vide Aad Kloosterwaard, unico membro originale superstite, passare dalla batteria alla voce. Ora al basso c’è sua moglie Alesa e i membri, in generale, cambiano spesso. La discografia è tornata nondimeno solida, con la mia personale preferenza che va al micidiale The Carnage Ending. Una preferenza condivisa anche da Aad, dato l’ampio spazio che gli viene concesso in scaletta, con Blood Ecstacy e la title-track che reggono il confronto con gli episodi più datati, tra cui spicca una devastante Sadistic Intent. E qua vanno fatti i complimenti al fonico, che fa un lavoro migliore di tanti colleghi continentali: i suoni sono nitidi e rotondi, i volumi ben calibrati.
I Sinister hanno l’aria presa bene e sembrano divertirsi; forse non si aspettavano un’accoglienza simile in un luogo così remoto. Il pubblico, abbastanza numeroso, continua a chiedere bis. Aad dice che, se proprio insistiamo, possono azzardare Diabolical Summoning ma non si prendono la responsabilità di come verrà, dato che non la provano da un pezzo. Viene benissimo pure quella e quando arriva il momento del congedo abbiamo tutti un sorrisone dipinto sul volto. Tonino mi accompagna fino a Ozieri per poi fare marcia indietro verso la sua Sassari. Durante il tragitto parliamo di Oi!, passione in comune. Questa volta, per fortuna, le guardie non ci fermano. (Ciccio Russo)
